SCIENZA E RICERCA
Il restauro della carta carbonizzata: problematiche, tecniche di analisi e nuove soluzioni
Old book bindings - Foto by Tom Murphy VII, CC BY-SA 3.0 via Wikimedia Commons
È il 26 maggio 1944 quando un incendio causato da un bombardamento aereo distrugge la metà dei manoscritti della Biblioteca di Chartres, in Francia. I manoscritti sopravvissuti all’incendio rimangono rovinati, con danni talvolta irreparabili. E come questi manoscritti, sono tanti i materiali d’archivio o codici che presentano danni a seguito di incidenti o di usura nel tempo. Per il loro restauro servono talvolta tecniche particolari che mirino non solo al recupero dei materiali originali ma anche al garantire un recupero il più duraturo possibile. E in questo campo anche all’università di Padova ci sono ricerche in corso. Ricerche che rappresentano un perfetto connubio tra l’arte (dei manoscritti) e la scienza. Di questo abbiamo parlato con Renzo Bertoncello e Alfonso Zoleo, docenti del dipartimento di Scienze chimiche.
«Sono tante le problematiche che il restauratore di manoscritti affronta con difficoltà» racconta il professor Zoleo, che si occupa della valutazione del degrado e del restauro di materiali d’archivio, manoscritti o codici «e sempre più è richiesto l’aiuto della chimica per analizzare i materiali danneggiati, valutarne l’entità del degrado, pensare a soluzioni adeguate per il loro recupero e valutare se il restauro è avvenuto in modo adeguato.»
Sui manoscritti del periodo medievale o rinascimentale, quelli di cui si occupa in particolare Alfonso Zoleo, le problematiche principali da risolvere nel loro restauro sono dovute innanzi tutto all’uso di inchiostri molto aggressivi, come quelli ferro-gallici, preparati da solfato di ferro e che nel tempo tendono a sviluppare acido solforico, un forte corrosivo.
«Qui interviene la chimica» commenta Alfonso Zoleo «sia per valutare il livello di degrado del materiale, sia per valutare la qualità del restauro. Ad esempio una volta fatto il restauro è possibile che gli ioni ferro presenti in nell’inchiostro possano migrare al di fuori delle aree stampate o scritte, generando aloni che a lungo andare comprometterebbero la leggibilità del testo.» Ecco che in questo caso le analisi chimiche vanno a verificare che il trattamento di restauro non abbia causato la diffusione di questi ioni.
«Ci sono poi alcuni pigmenti, come il pigmento verde comunemente noto col nome di verdigris» conclude Alfonso Zoleo «che sono di per sé aggressivi e tendono a dare corrosione con degrado del supporto cartaceo o della pergamena stessa.»
Le tecniche di indagine che vengono utilizzate sono preferibilmente tecniche non invasive, che non necessitano, cioè, di prelevare campioni e di danneggiare quindi il materiale da analizzare.
«Si tratta di tecniche spettroscopiche che quindi sfruttano la luce a varie lunghezze d’onda.» commenta Alfonso Zoleo «E fra le tecniche più usate c’è la spettroscopia infrarossa, adatta a materiali organici come cellulosa o a leganti come colla di lino e cellulosa. Un’altra tecnica molto importante è la spettroscopia Raman, una tecnica simile all’infrarosso ma basata su un principio completamente diverso. Ha il vantaggio di essere molto versatile, è adatta a materiali sia organici che inorganici e restituisce uno spettro che identifica molto bene diversi materiali. Un altro suo vantaggio è la portabilità: si possono fare analisi al di fuori dei laboratori, direttamente sul campo e sul sito dove il reperto è presente.»
A queste si aggiungono altre tecniche, come suggerisce Renzo Bertoncello. Viene infatti usata anche la fluorescenza a raggi x, una tecnica detta elementare perché permette la caratterizzazione di elementi all’interno dei campioni ed è utile soprattutto per rilevare i metalli pesanti come quelli presenti, ad esempio, nei pigmenti.
«Ci sono anche tecniche di analisi di superficie, non trasportabili, ma molto importanti per capire come termina il campione analizzato», sottolinea il professor Bertoncello. La superficie di un materiale, infatti, quel sottile strato di pochi nanometri, è fondamentale perché lì è dove c’è l’interazione del materiale con l’esterno. «Quindi per progettare un sistema di protezione adeguato va conosciuta a fondo la superficie.» afferma Renzo Bertoncello «Ad esempio indagando campioni di oro estremamente puro, si vede che in superficie c’è argento perché l’argento segrega in superficie, quindi se ad esempio si deve pensare di proteggere l’oro bisogna tener conto che si deve andare a proteggere anche l’argento.»
Ed è proprio partendo da tutte queste considerazioni sull’analisi del degrado di un materiale cartaceo che Renzo Bertoncello, con il suo gruppo di ricerca e lavorando poi insieme ad Alfonso Zoleo, ha ideato una soluzione innovativa per proteggere il campione danneggiato. «Abbiamo sviluppato e brevettato una tecnica di strati di vetro sol-gel molto sottili che vanno a rivestire il campione. Si tratta di un sistema estremamente versatile perché si può adattare a qualsiasi superficie e ha una durata potenzialmente eterna.»
Questa soluzione, base su cui è anche nato lo spin-off Siltea, è stata sviluppata per puntare al danneggiamento forse tra i più difficili da trattare, quello della carta carbonizzata, che in precedenza veniva trattata con polimeri plastici disciolti in un solvente che poi andava a permeare le fibre, portando però a una soluzione non permanente e che talvolta rendeva il materiale anche più fragile e meno manipolabile.
«Il grande vantaggio di questa nuova soluzione» commenta Renzo Bertoncello «oltre al fatto di essere di per sé eterna, è anche la possibilità di depositare il materiale sol-gel sul campione da trattare con una deposizione spray: il polisilicato del sol-gel si lega poi alla cellulosa per rinforzare la carta.»
L’obiettivo finale, per quanto riguarda la carta bruciata, è di renderla facilmente manipolabile, a differenza dei trattamenti usati in precedenza, proprio perché il polisilicato penetra nella matrice fibrosa della carta e la permea completamente.
«Si tratta di una tecnica che ha grandi potenzialità» afferma Renzo Bertoncello «e che dimostra come la chimica possa aiutare nel recupero di grandi patrimoni culturali che altrimenti andrebbero persi, proprio come i manoscritti di Chartres.»