SOCIETÀ

Rialto, la lotta per la vita del mercato senza città

“È lo spazio coperto outdoor più originale e caratterizzante della città di Venezia. Ben si presta negli orari pomeridiani e serali ad allestimenti ad hoc per lo svolgimento di cene e feste. Le due logge affiancate possono essere allestite con aree cucina e bagni”. L’originale “spazio outdoor” descritto nella brochure di Vela, la società del Comune di Venezia che ne cura il marketing, è la Pescheria di Rialto. Due edifici a loggia contigui, il novecentesco palazzetto sul Canal Grande e l’antico stalon retrostante, l’oblungo “stallone” che in passato fungeva da macello. Sono i due luoghi più rappresentativi del Mercato di Rialto, dove nei secoli convergevano il centro dei grandi traffici e la dimensione popolare più autentica. Ma la Pescheria, oggi, sembra valere più come sede, da affittare a caro prezzo, per feste private e cene stravip che come sito in grado di coniugare storia e vitalità economica.

Sono 922 anni che a Rialto si fanno affari: un flusso ininterrotto di beni e alimenti che già sfilavano quando il ponte ancora non c’era. La tradizione pone la nascita del mercato al 1097, quando gli Orio, signori di Rialto, donano al patrimonio pubblico le loro proprietà. Oggi quest’area è uno dei simboli del progressivo dissolversi di Venezia come città, e della sua trasformazione in una riserva di caccia in cui le prede sono sia i turisti che i residenti. Il luogo più rappresentativo del mercato di Rialto è, senza dubbio, il Palazzo della Pescheria, l’edificio neogotico realizzato nel 1907 dall’architetto Domenico Rupolo e dal pittore Cesare Laurenti. E proprio la loggia del palazzo affacciata sul Canal Grande, insieme al retrostante stalon, è oggi la semivuota riprova della crisi delle attività commerciali di Rialto. Dove fioriva il mercato ittico, i banchi che un tempo valevano una fortuna si sono diradati a vista d’occhio. E la Pescheria trova nuovo fulgore solo in occasione di party in cui viene trasformata in discoteca.

La crisi, ovviamente, non è limitata a un settore. In mancanza di statistiche ufficiali, i dati si ricavano dal Gruppo 25 Aprile, un’associazione civica che da anni si batte per la tutela della città, e dalla graduatoria del nuovo bando comunale pubblicata da poco. Il reparto ortofrutticolo nel ‘94 contava 85 banchi, oggi è ridotto a 24, con appena 12 esercenti. Le macellerie, una trentina negli anni ’50, ora sono due. Un orefice contro i 33 degli anni ’70. Quanto al pesce, orgoglio e bandiera del mercato, i 19 banchi del ’94 sono ridotti a 11, con soli 6 esercenti. Le cause sono molteplici: alcune accomunano Rialto a tutti i mercati all’aperto, schiacciati dalla grande distribuzione e dai vincoli della normativa europea (che ad esempio rende difficilissimo vendere molluschi ai ristoranti). Ma a Venezia tutto è aggravato dal progressivo svanire della popolazione residente, e dal parallelo scomparire di qualunque attività non richiesta dai turisti.

Come nel caso delle grandi navi, del proliferare degli alberghi e degli alloggi turistici, dei flussi debordanti di visitatori, anche il mercato di Rialto è stato un tema su cui i veneziani hanno manifestato, raccolto firme, animato campagne. Il progetto più concreto su cui si sta lavorando è la trasformazione del mercato in un nuovo polo a destinazione mista, culturale e commerciale. Una rappresentanza di comitati civici, esercenti, docenti universitari e urbanisti ha proposto di utilizzare lo spazio più prestigioso, la loggia sul Canal Grande (di proprietà comunale) per ospitare un museo dedicato alla storia di Rialto e del commercio veneziano, facendolo sorgere nel cuore di un mercato vivo e riqualificato, dove sia possibile non solo acquistare alimenti ma anche consumarli in loco, con aree dedicate alla ristorazione di qualità nel quadro di una programmazione regolare di eventi culturali. Una ricetta che si ritrova in molti mercati nelle grandi città europee, dove il pubblico è attratto non solo e non tanto dalla merce in vendita, ma dalla possibilità di trascorrere il tempo in un luogo piacevole, dove acquistare, assaggiare e assistere a presentazioni di libri o piccoli spettacoli.

La sfida è quella che Venezia ha perduto tante volte: resistere alle sirene dei grandi gruppi del lusso e del turismo, pronti ad accaparrarsi l’ennesimo tassello della città e del suo passato per una manciata di milioni, pochi ma sempre graditi da amministrazioni in perenne difficoltà finanziaria. Una svendita inarrestabile, in corso da decenni, della quale politici, amministratori, e gli stessi residenti-elettori portano la responsabilità. Un fallimento della classe dirigente locale profetizzato dal motto, non poco autoironico, che campeggia su un portone in ferro a lato dello stalon: “piscis primum a capite foetet”. Il pesce, anche a Rialto, inizia a puzzare dalla testa.

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