L’incipit più famoso della storia è forse quello di Anna Karenina: “Tutte le famiglie felici si somigliano; ogni famiglia infelice è invece disgraziata a modo suo” e la sfida di ogni narratore è proprio quella di raccontare le relazioni, infelici per lo più.
Lo fa per Einaudi in un libro sottile e tagliente Barbara Frandino che ricorda la Yasmina Reza de Il dio del massacro: È quello che ti meriti s’intitola e allude alla frase sibillina che l’io narrante, Claudia, sussurra al suo uomo quando questi è nel frangente di difficoltà massima e la ripeterà lui quando, con prepotenza, cercherà di riappropriarsi di quel che ha intimamente perduto per aver ceduto ai “fuochi [che] avvampano all’improvviso da qualche parte nella carne, e il più delle volte non siamo noi a decidere né dove né quando”. Quel che Antonio perde è Claudia, anche se, formalmente, nessuno dei due si sposta, ma entrambi rimangono.
Non si amano più, come spesso accade dentro i matrimoni: si erano “fatti una promessa reciproca ma i desideri se ne fregano delle promesse: ardono per un po’, poi il tempo li consuma” e nel fraintendimento di fare una scelta restano lì dove sono, immobilizzati dalla paura, dall’abitudine, covando la forma più sottile e lacerante d’odio. Il risentimento.
In un susseguirsi di pensieri a singhiozzo che ricalca il flusso di emozioni accavallate e disperate della protagonista alle prese con la realtà di un marito che ha ingravidato un’altra, ma che sceglie lei – la moglie – Frandino traduce in romanzo un ménage crudele il cui destino pare non potersi compiere mai.
La morte è sfiorata, aspettata e poi temuta; la vita riprodotta anche nello scorcio dell’altra che allatta su un autobus affollato, ma era solo un sogno; il sesso negato, cercato altrove quasi per sbaglio o per vendetta, racchiuso nei corpi adesi a cucchiaio e poi preteso con violenza; la mancanza rappresentata da un ventre svuotato di quel figlio che Claudia e Antonio credevano di non volere e su cui viene negata una carezza: tutto conduce insomma alla ricostruzione di un puzzle in cui i pezzi non combaciano ma vengono tenuti insieme dalla forza di volontà.
Può funzionare? Perché Claudia ha tardato a soccorrere il marito? Perché questi accetta di consegnarle ancora e ancora la sua libertà?
Il lettore in questo romanzo non trova risposte ma paradossali dissonanze incagliate nelle ovvietà. Chi sono, in definitiva, una moglie e un marito? Nel rendere evidente che nessuno possiede mai altri se non (e forse nemmeno) se stesso, Frandino inscena la più umana delle tragedie. L’abbandono, il tradimento, la cattiveria riflessa, la ricerca disperata di salvarsi, la paura di aprire gli occhi e guardare si mescolano in una storia che non ha colpevoli, o forse i cui colpevoli sono tutti.
E l’amore? “Esistono storie d’amore irreversibili?” si chiede. “Qualunque storia d’amore è irreversibile, finché non decidiamo che è una storia finita”.