MONDO SALUTE

In Salute. ADHD: un disturbo da conoscere, per non stigmatizzare

L’irrequietezza motoria, la difficoltà a rimanere concentrati e mantenere alta l’attenzione per il tempo necessario a completare una specifica attività sono i principali sintomi sperimentati da bambini e adulti con  un disturbo da deficit di attenzione / iperattività (o ADHD), una condizione in grado di compromettere a diversi livelli il rendimento scolastico e lavorativo, le relazioni sociali e il benessere emotivo di chi la vive. I tratti distintivi di questo disturbo del neurosviluppo si manifestano solitamente sin dall’infanzia, con caratteristiche che variano a seconda dell’età e dei casi specifici. La diagnosi precoce e il ricorso a un adeguato trattamento (che può richiedere, a seconda dei casi, un percorso di terapia cognitivo-comportamentale, interventi educativi e riabilitativi e/o l’uso di farmaci) sono importanti soprattutto per ridurre il rischio di comorbidità con alcuni specifici disturbi del comportamento. Abbiamo approfondito l’argomento per la serie In Salute con la dottoressa Alessandra Carta, neuropsichiatra infantile presso l’Azienda ospedaliero universitaria di Sassari.

“L’American psychiatric Association descrive l’ADHD (acronimo che deriva dall’inglese “Attention-Deficit Hyperactivity-impulsivity Desorder”), come un disturbo che compare precocemente in età evolutiva e che persiste in maniera più o meno significativa durante tutta la vita dell'individuo”, premette la dottoressa Carta. “Il disturbo in questione è caratterizzato da diversi livelli di iperattività, impulsività e inattenzione che sono disallineati rispetto al livello di sviluppo globale raggiunto dall’individuo al punto da interferire significativamente con il suo funzionamento in diversi contesti di vita: quindi in ambito scolastico, nel tempo libero, a livello familiare o nelle relazioni di amicizia per i bambini; oppure nel mondo lavorativo e nelle relazioni sociali in senso lato per gli adulti.  Questa condizione interessa circa il 5% della popolazione pediatrica mondiale, con una maggiore incidenza tra i maschi. Le stime sul rapporto tra uomini e donne affetti da ADHD variano infatti tra 2:1 e 6:1, a seconda degli studi”.

L'intervista completa alla neuropsichiatra infantile Alessandra Carta. Montaggio di Barbara Paknazar

“Essendo un disturbo che si manifesta in modo eterogeneo nella popolazione, i tratti caratteristici variano a seconda dei singoli individui anche in base all’età”, continua Carta. “Nei pazienti diagnosticati intorno ai 3-4 anni, le manifestazioni più frequenti dell’ADHD sono l’irrequietezza motoria marcata e l’iperattività: stiamo parlando di bambini che corrono e saltano sempre, non riescono a stare seduti neanche mentre consumano i pasti e faticano ad acquisire alcune competenze utili per l’ingresso nel mondo scolastico. Con l’accesso alla scuola primaria i bambini ADHD sperimentano infatti difficoltà crescenti quando viene richiesto loro di rispettare le regole e di portare a termine dei compiti che richiedono un prolungato livello di attenzione. Spesso, perciò, essi vengono considerati elementi di disturbo per la classe e incolpati di ineducazione. I continui richiami e le punizioni diventano motivo di frustrazione e possono causare lo sviluppo in tarda età scolare (tra i 7 e i 10 anni) dei primi sintomi di un problema comportamentale chiamato disturbo oppositivo provocatorio, che si manifesta quando il bambino si oppone ancora di più alle regole imposte, quasi a riaffermare il ruolo che gli è stato attribuito suo malgrado. In questi casi, ad esempio, può mostrare il proprio dissenso disturbando intenzionalmente insegnanti e compagni di classe”.

Al contrario, gli insegnanti che individuano dei tratti che possono suggerire la presenza di ADHD dovrebbero avvisare i genitori, consigliando loro di rivolgersi al neuropsichiatra infantile che effettuerà l’eventuale diagnosi tramite un lavoro d’equipe che preveda anche la presenza di psicologi e neuropsicologi. Come spiega Carta, “i bambini diagnosticati possono godere per legge, a seconda dei casi, di alcune certificazioni a tutela della loro diversità nel contesto scolastico perché esso sia adeguato ad accoglierli al 100%. Se infatti tanti anni fa questo disturbo era poco conosciuto e gli alunni con ADHD venivano emarginati anche fisicamente in classe, oggi invece si cerca di includerli con particolare attenzione, facendoli sedere preferibilmente in prima fila e lontano da potenziali fonti distraenti. In alcuni casi, anche a seconda della presenza di eventuali comorbidità e del livello di severità dell’ADHD – che viene classificato come lieve, moderato o severo – è previsto l'ausilio dell’insegnante di sostegno e/o dell’educatore”.

Man mano che la persona cresce, il tratto ADHD predominante non è più l’irrequietezza motoria, bensì la difficoltà di concentrazione. “Per gestire questo problema può rendersi necessario un approccio combinato che preveda sia la psicoterapia a indirizzo cognitivo comportamentale, affiancata da un parent training (un programma educativo rivolto ai genitori con lo scopo di supportarli nella gestione delle esigenze specifiche del figlio o della figlia, ndr), e dall’uso di farmaci”, prosegue Carta. “Il farmaco d'eccellenza per il trattamento del deficit di attenzione è il metilfenidato, appartenente alla categoria degli psicostimolanti. È a discrezione del neuropsichiatra – nel rispetto di alcune precise linee guida – valutare, in base al caso specifico, se intervenire fin dal momento della diagnosi con un approccio terapeutico combinato che includa anche il farmaco oppure se provare prima l’efficacia della sola psicoterapia cognitivo comportamentale in associazione con altri strumenti riabilitativi specifici per il potenziamento dell'attenzione. Qualora questi soli trattamenti non si dimostrino efficaci a distanza di almeno sei mesi, bisogna ricorrere al farmaco che – come dimostrato dai risultati di alcuni studi randomizzati controllati internazionali – ha un profilo di sicurezza ed efficacia ottimale sul lungo termine. La terapia farmacologica riduce inoltre il rischio di ricorrere in età adolescenziale ad altre metodiche di automedicazione per gestire i sintomi del disturbo d’ansia, che pure si manifesta talvolta in associazione con l’ADHD quando questo non è trattato adeguatamente”.

Alla luce di queste considerazioni emerge chiaramente l’importanza di un’adeguata sensibilizzazione rispetto all’ADHD. “Si tratta di un disturbo che, nonostante i molti passi avanti percorsi fino ad oggi, viene ancora frequentemente misconosciuto, con la conseguente mancanza di un intervento precoce e un impatto negativo importante sul benessere dei ragazzi adolescenti e giovani adulti”, riporta la neuropsichiatra.

Talvolta, inoltre, l’ADHD si presenta in comorbidità con un disturbo dello spettro autistico. “Gli studi sulla popolazione generale attestano la co-occorrenza dei due disturbi in una percentuale di casi che varia tra il 13 e il 50%”, spiega Carta. “Gli studi clinici, al contrario, condotti in specifici contesti di valutazione del potenziale di ADHD, riportano stime leggermente più elevate, che variano tra il 20% e l’85%. Quando in un paziente già diagnosticato per l’ADHD viene individuato un disturbo dello spettro autistico, tale condizione rientra solitamente in ciò che un tempo veniva definita come “sindrome di Asperger” e che oggi, invece, si chiama “disturbo dello spettro autistico senza compromissione cognitiva”. La comorbidità dei due disturbi viene identificata attraverso alcune specifiche scale di valutazione somministrate tramite questionari standardizzati e interviste strutturate rivolte sia ai pazienti he ai genitori”.

Restano ancora in parte sconosciuti, infine, i meccanismi neurobiologici che spiegano l’insorgenza dell’ADHD. “Ciò che sappiamo sull’eziologia del disturbo è la sua associazione con una connessione disfunzionale tra la corteccia prefrontale dorsolaterale – deputata al corretto svolgimento di alcune funzioni esecutive tra cui la memoria di lavoro, la capacità di pianificazione e il mantenimento di un livello di attenzione sostenuta nel tempo – e alcuni circuiti sottocorticali che coinvolgono anche i gangli della base”, spiega Carta. “Nonostante ciò, l’eziopatogenesi dell’ADHD è ancora sconosciuta: fino ad oggi, infatti, non sono state riscontrate alterazioni nella struttura organica del cervello degli individui con ADHD rispetto a quelli dei soggetti privi del disturbo”.

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