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In Salute. Disturbo ossessivo compulsivo: vincere l’imbarazzo per guarire

Il disturbo ossessivo-compulsivo (DOC) colpisce circa l’1-2% della popolazione ed è caratterizzato dall’esigenza di ripetere determinati gesti e comportamenti, oppure dalla persistenza di alcuni pensieri intrusivi e azioni mentali difficili da controllare. Tali ossessioni possono ostacolare la vita quotidiana e il benessere personale a causa dei sentimenti di disagio, frustrazione o imbarazzo che spesso la condizione comporta. Tuttavia, seguendo una terapia adeguata è possibile gestire (e, in alcuni casi, addirittura eliminare) i sintomi del disturbo. Il primo passo è trovare il coraggio di parlarne.

Abbiamo approfondito l’argomento in questo articolo della serie In Salute con l’aiuto di Giuseppe Maina, professore di psichiatria all’università di Torino e direttore dell’Unità complessa di psichiatria dell’Azienda ospedaliero-universitaria San Luigi Gonzaga di Torino.

L'intervista al professor Giuseppe Maina. Servizio di Federica D'Auria. Montaggio di Barbara Paknazar.

“Sono due i principali tipi di sintomi che caratterizzano il disturbo ossessivo-compulsivo”, spiega Maina. “Il paziente li manifesta solitamente entrambi, ma in alcuni casi può presentarne uno solo.  Il primo, quello delle ossessioni, è un sintomo ideativo: si tratta di pensieri che ricorrono continuamente o che persistono nella mente della persona, infastidendola. Il paziente non li vorrebbe avere, ma non riesce a controllarli. Stiamo parlando, ad esempio, del bisogno di sapere se una finestra è aperta o chiusa, o del dubbio di essersi sporcati. Il secondo tipo di sintomi si manifesta attraverso alcuni comportamenti che il paziente attua di continuo, come lavarsi insistentemente le mani, senza però riuscire a placare la paura di essersi macchiato”.

Sebbene ogni persona possa talvolta sperimentare pensieri e bisogni di questo tipo, questi assumono contorni patologici quando interferiscono pesantemente con la vita quotidiana, lavorativa o scolastica. Chi soffre di disturbo ossessivo compulsivo può infatti incontrare specifiche difficoltà nella vita di tutti i giorni, a seconda del quadro sintomatologico che presenta.

“Alcuni dei pazienti affetti da questo disturbo vengono definiti washers, poiché il loro sintomo prevalente riguarda l’ossessione di sporcarsi o di contaminarsi”, continua Maina. “Questi individui vivono molti problemi nei rapporti sociali perché fanno fatica a dare la mano, non sopportano di essere sfiorati dalle persone ed evitano di prendere in mano oggetti toccati dagli altri; queste azioni alimentano il loro stato di agitazione e le costringono a lavarsi continuamente subito dopo (le persone con questo tipo di ossessione possono trascorrere persino svariate ore sotto la doccia). Un altro profilo tipico è quello dei pazienti checkers, che sentono il bisogno di controllare ripetutamente, ad esempio, se abbiano chiuso il gas o la finestra; tale comportamento, se ripetuto all’infinito, può addirittura impedire loro di uscire di casa per prendere il treno o recarsi al lavoro”.

Un altro grosso problema che vivono le persone che si riconoscono nella sintomatologia appena descritta riguarda la difficoltà a raccontare la loro condizione, che è spesso causa di grande imbarazzo. “Gli individui affetti da questo disturbo sono pienamente consapevoli del loro problema, che può generare in loro una forte sofferenza”, sottolinea Maina. “L’imbarazzo può addirittura dissuaderli dal chiedere aiuto; è invece molto importante farlo, perché il disturbo ossessivo-compulsivo è curabilissimo e, in qualche caso, completamente guaribile. Dopo l’ottenimento della diagnosi – che viene effettuata da un medico specialista in psichiatria – si può procedere con una terapia farmacologica e/o psicologica-psicoterapeutica. Per la scelta del trattamento, in cui si tiene conto anche del parere del paziente, viene spesso consultato uno psicologo, il quale si occuperà della terapia comportamentale, che serve ad aiutare gradualmente il paziente a cercare di “governare” quei comportamenti di cui ha perso il controllo”.

“Il tasso di guarigione è elevato”, continua Maina. “Circa il 70-80% delle persone curate riferisce un miglioramento significativo, e almeno il 30% di esse sperimenta una remissione totale. Coloro che non guariscono completamente riescono comunque a condurre una vita del tutto normale e libera dalla sofferenza continuando a seguire nel tempo le terapie farmacologiche o psicologiche”. Nonostante ciò, è importante segnalare quanto sia cruciale la pazienza. “Sono necessari circa due mesi (6-8 settimane circa) perché la cura inizi a mostrare i primi risultati. È importante esserne consapevoli, altrimenti si rischia di scoraggiarsi e interrompere la terapia prima che inizi a dare i suoi frutti”, rimarca il professore.

Per quanto riguarda invece la ricerca delle cause scatenanti del DOC, è necessario tenere conto della natura multifattoriale di questo disturbo. “La familiarità sembra giocare un ruolo importante”, afferma Maina. “Chi ha un legame di parentela con una persona DOC corre un rischio maggiore di manifestare i sintomi del disturbo. Non è chiaro, però, se la causa di questa familiarità sia genetica in senso stretto oppure ambientale: ad esempio, per una persona che ha sempre vissuto con un genitore ossessionato dalla pulizia è più facile sviluppare la stessa fissazione. Comunque, la componente ambientale si estende anche oltre il rapporto con i familiari; alcune esperienze infantili e adolescenziali al di fuori del contesto casalingo possono contribuire a provocare questi scompensi ossessivi. Anche il consumo di alcune droghe – come la cocaina o la cannabis – può contribuire allo sviluppo di una sintomatologia ossessivo-compulsiva”.

Vale la pena considerare, infine, l’impatto che può avere su una persona con disturbo ossessivo-compulsivo la consapevolezza di essere osservati o giudicati dagli altri. Tali dinamiche rischiano infatti di aumentare la sensazione di imbarazzo e di spingere l’individuo a evitare o limitare i rapporti sociali, pur di nascondere i propri sintomi.

“Per quanto riguarda chi è privo di questo disturbo, qualora notasse qualcuno dei segnali che possono suggerire la presenza di DOC in una persona con cui non si ha molta confidenza, è meglio sorvolare e fare finta di nulla”, consiglia Maina. “Si tratta di un accorgimento importante per evitare di alimentare il senso di imbarazzo”. Al contrario, se a mostrare i sintomi è una persona vicina a noi, allora possiamo trovare il momento giusto per dirle di aver notato in lei alcuni comportamenti ripetitivi, rassicurandola però rispetto alla curabilità del disturbo e magari offrendole il nostro supporto nella ricerca di uno specialista a cui chiedere un consulto”.

Il professor Maina si rivolge infine a quei genitori che potrebbero aver notato una tendenza alla ripetitività nei loro figli piccoli. “Il disturbo inizia a manifestarsi solitamente durante l’età infantile o adolescenziale”, spiega. “Ciò non significa che tutti i bambini che presentano atteggiamenti ossessivi sviluppano il disturbo, perché questi sintomi tendono a scomparire nel corso della crescita. Perciò, piuttosto che interferire direttamente sul comportamento del bambino o della bambina – ad esempio, cercando di vietare loro esplicitamente di ripetere alcune azioni – è meglio parlarne con il pediatra e tenere i sintomi sotto osservazione. Nel caso in cui questi persistano o si aggravino, allora si può procedere con una valutazione e una terapia anche solo psicologica – e non, quindi, farmacologica – con risultati spesso eccellenti”.

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