MONDO SALUTE

In Salute. Nel rapporto tra medico e paziente il cuore della ricerca clinica

“Quando gli oncologi mi proposero di partecipare allo studio, non nego di avere avuto in principio qualche remora. Accettare cosa avrebbe implicato? ­­– racconta una paziente ­­– I medici mi spiegarono che si trattava di uno studio osservazionale prospettico: in sostanza avrei dovuto seguire la terapia standard, avendo cura però di annotare ogni giorno in un diario la regolare assunzione dei farmaci e gli eventuali effetti che avrebbero potuto produrre. Per cinque anni. Ora, non nego di avere qualche difficoltà con gli impegni a lungo termine… ma in questo caso non ebbi alcun dubbio: potevo essere utile alla ricerca, favorire nuove conoscenze, dare il mio piccolo contributo affinché pazienti come me in futuro potessero avere cure ancora più efficaci. Durante la seduta di chemioterapia mi raggiunse lo specializzando con il consenso informato, e firmai”. 

La consuetudine tra medico e paziente può essere senz’altro considerata il cuore della ricerca clinica. Senza i primi non c’è intuizione, osservazione e indagine, senza i secondi non può essere condotta alcuna sperimentazione. Solo partendo dalle necessità cliniche, ci si può spostare poi in laboratorio. Ne abbiamo parlato con Valentina Guarneri, direttrice dell’unità operativa complessa di Oncologia 2 dell’Istituto oncologico veneto, della scuola di specializzazione in oncologia medica dell’università di Padova e del master  La sperimentazione clinica in oncologia; e con Evelina Tacconelli, direttrice della divisione di Malattie infettive dell’azienda ospedaliera universitaria integrata di Verona e direttrice scientifica di Ecraid-European Clinical Research Alliance on Infectious Disease.

Senza ricerca clinica non esiste la medicina

“Gli obiettivi della ricerca clinica possono essere molti ­­– osserva Valentina Guarneri ­­–: migliorare la sopravvivenza, la risposta al farmaco, la tollerabilità, la qualità di vita e ciò avviene principalmente attraverso studi randomizzati e una procedura rigorosa dal punto di vista regolatorio nell’interesse del malato”. Per poter essere avviata una sperimentazione clinica deve ottenere l’autorizzazione da parte dell’autorità competente nazionale, in Italia l’Aifa, e il parere favorevole del comitato etico coordinatore. Chi propone lo studio deve fornire tutte le notizie disponibili sul medicinale relative agli aspetti di qualità, ai dati derivanti da studi pre-clinici, da precedenti studi clinici e dalla letteratura scientifica; deve dare informazioni di sicurezza disponibili al momento della sperimentazione, oltre al protocollo di studio e alla documentazione per il paziente (consenso informato e informazioni generali sulla sperimentazione in questione). 

“L'assenza di ricerca clinica ­­– aggiunge Evelina Tacconelli ­­– è una delle cause principali del rischio di malasanità, perché le decisioni in campo medico, qualsiasi esso sia, devono essere basate su dati incontrovertibili. Il farmaco somministrato a una paziente di 40 anni con diabete a Padova deve avere lo stesso effetto, in termini di benefici ed eventi avversi, in qualsiasi altro luogo del mondo in una donna della stessa età e con la stessa patologia. Se non si ha la certezza che le mie azioni a parità di quadro clinico producano sempre gli stessi effetti, si rischia che ogni medico agisca in modo diverso. Senza ricerca clinica, fondamentalmente, non esiste la medicina”.

Ricerca centrata sul paziente

“La ricerca ­­– spiega Guarneri ­­– nasce da una domanda e le domande sorgono dal contatto con il malato. Può accadere, per esempio, che un trattamento sia più tossico in un gruppo di pazienti piuttosto che in un altro, o che a parità di condizioni un malato guarisca e l’altro no, e un medico si chiede perché ciò avvenga. Ebbene, sono proprio le evidenze che i medici registrano durante la pratica clinica a generare i quesiti cui poi si cerca di dare una risposta. È il contatto con il paziente e con i suoi bisogni a indirizzare la ricerca”.

Sulla stessa linea Evelina Tacconelli: “La ricerca non può essere scollegata dalle necessità del malato, che si tratti di sperimentare un nuovo medicinale o di mettere a punto un nuovo metodo per usare il bisturi in sala operatoria. Investire in un farmaco che non risponde ai bisogni del paziente non ha alcun senso in ambito scientifico. Il lavoro in corsia o negli ambulatori ci permette di capire quali sono le problematiche che ancora non siamo in grado di risolvere. L’idea di una nuova ricerca, per esempio, può nascere nel momento in cui visitiamo una persona che non risponde in maniera propria a un farmaco, o che ha contratto un’infezione causata da un microrganismo mai visto in precedenza o, ancora, che manifesta un effetto avverso mai riscontrato. Chi produce il farmaco, chi lavora in laboratorio deve essere in continua relazione con il clinico che è in grado di trasferire le necessità del malato. Oggi la ricerca è centrata sul paziente e per quanto mi riguarda non esiste un altro tipo di ricerca che abbia senso”.

Il ruolo del paziente dunque è centrale. “La sua partecipazione allo studio clinico dipende molto dal modo in cui il trial viene presentato: è importante utilizzare un linguaggio chiaro e illustrare il beneficio che ne deriva per il singolo o per la comunità. Spesso chi presenta la ricerca al paziente fa la differenza, eppure abbiamo ancora pochi operatori formati in questo senso in Italia diversamente per esempio da ciò che accade nel nord Europa”. 

L’importanza della comunicazione 

Secondo Guarneri per i pazienti partecipare a uno studio clinico può rappresentare un'opportunità, dato che l'obiettivo è quello di offrire un trattamento più efficace rispetto alle cure standard, ma può essere anche più impegnativo per la necessità di controlli frequenti. “Quasi sempre è prevista la raccolta di materiale biologico, perché nell’ambito di un trial clinico è importante individuare modalità di valutazione precoce della risposta, che consentano di identificare anche eventuali sottogruppi che traggono maggior beneficio dal trattamento. A volte proprio la raccolta di materiale biologico è una condizione di accesso alla sperimentazione, perché magari ci sono studi dedicati a chi ha particolari alterazioni molecolari”. 

Per queste ragioni anche Guarneri sottolinea l’importanza della comunicazione medico-paziente soprattutto nelle fasi iniziali: la proposta di partecipare a una sperimentazione è un momento che richiede tempo, anche perché è fondamentale che il malato dia un consenso realmente informato. Il clinico deve spiegare dettagliatamente quali sono i vantaggi e quale l’impegno richiesto, e soprattutto deve illustrare in modo preciso il tipo di trial proposto: uno studio di fase 1, durante il quale si inizia la somministrazione del principio attivo nell’essere umano, è diverso da un trial di fase 2 o 3 e differente ancora da una sperimentazione che prevede la somministrazione di un farmaco già in uso in altro contesto, dunque con effetti collaterali e profilo di tossicità ormai noti. In presenza di fattori che consentono una migliore stratificazione del rischio poi, alcuni studi hanno anche lo scopo di valutare strategie terapeutiche alternative a quelle standard, per cercare di ridurre la quantità di farmaci con effetti collaterali particolarmente pesanti per i pazienti (come i chemioterapici). “Fare ricerca dunque – sottolinea Guarneri – non significa solo testare nuovi medicinali, ma anche personalizzare le cure”.

Nella maggior parte dei casi, in campo oncologico in particolare, i pazienti accolgono con interesse e con una predisposizione positiva la proposta di partecipare a un trial clinico. “Io ricordo sempre che le terapie standard odierne sono il frutto di una serie di studi clinici che hanno dimostrato la validità di alcune ipotesi iniziali. Un’idea di partenza va dimostrata e l’unico modo per farlo è attraverso la cornice estremamente rigorosa di uno studio clinico”.  

Il monitoraggio degli effetti collaterali

Uno degli aspetti cui si presta particolare attenzione in una sperimentazione clinica sono proprio i possibili effetti collaterali dei medicinali. “Poiché l'armamentario terapeutico negli anni si è arricchito di farmaci con tossicità peculiari – spiega Guarneri ­­–, nei trial vengono monitorati in modo molto accorto i cosiddetti eventi avversi di special interest (di interesse particolare) tipici di alcune molecole. E a volte il protocollo può richiedere la segnalazione di eventi di grado non severo ma che rientrano in questa categoria”. La docente spiega che esiste sempre un comitato di monitoraggio indipendente rispetto allo sperimentatore a cui periodicamente vengono trasmessi rapporti sulla sicurezza del farmaco oggetto della ricerca: “Uno studio può anche essere interrotto se la sicurezza non è quella che ci si attendeva in fase preliminare”. 

Secondo l’oncologa inoltre è importante registrare l’impatto che gli effetti collaterali (anche lievi e moderati) hanno sulla qualità di vita dei pazienti. “Avere nausea di grado lieve tutti i giorni per sei mesi può risultare più pesante che un solo giorno con febbre a 40. Per questo ormai tutti i protocolli prevedono anche lo studio della qualità di vita del paziente, attraverso questionari periodici declinati in maniera diversa a seconda del tipo di farmaco e delle tossicità attese”. Oggi a livello internazionale c’è consenso sul fatto che il dato relativo all’impatto sul vissuto pesi quanto il dato di outcome, al punto che le scale di valutazione dell'efficacia clinica dei nuovi farmaci tengono conto di entrambi gli aspetti. “Noi medici valutiamo sicuramente la severità dell’evento avverso, ma consideriamo anche le ripercussione che la terapia può avere sulle attività quotidiane, e soltanto il malato può fornirci questo riscontro. Il paziente è dunque parte attiva nello studio, e questo aspetto va valorizzato”. 

Evelina Tacconelli conclude con un’osservazione di carattere generale: “Sarebbe molto importante per chi fa ricerca fare network: l’Italia ha grandi centri che tuttavia sono scollegati tra loro. Nel nostro Paese poi la ricerca non rientra mai in nessun discorso di politica strategica generale, e questo cela disinteresse e scarsa conoscenza. La popolazione dovrebbe esigere un Paese più all'avanguardia sui temi della ricerca scientifica”.

 

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