SCIENZA E RICERCA

Una “scacchiera” nel mare di Barents racconta il movimento dei continenti

Una “scacchiera”. Delle geometrie naturali mai osservate prima, nel fondo del mare di Barents, permettono di confermare quanto finora era stato solo ipotizzato a livello teorico nella seconda metà del Novecento: le faglie – fratture che permettono alla crosta terrestre di estendersi o contrarsi, generando i terremoti – “comunicano” tra loro. Questa interazione può guidare l’estensione tridimensionale della crosta terrestre e la conseguente apertura degli oceani, attraverso dunque un movimento diverso dal semplice allontanamento tra due placche continentali, postulato finora dagli scienziati. A proporre questo nuovo modello di distensione continentale, esposto in un articolo su Scientific Reports, è un gruppo di ricerca formato da scienziati dell’università di Padova, dell’Istituto di Geoscienze e Georisorse del Consiglio Nazionale delle Ricerche, dell’università degli Studi di Firenze e della University of Southampton.

Per capire di cosa si stia parlando, si deve fare un passo indietro e partire dal concetto di deriva dei continenti. A formulare la teoria, pubblicata in forma completa nel 1915 nel saggio La formazione dei continenti e degli oceani, fu il geologo tedesco Alfred Wegener, che inizialmente generò non poco sconcerto nella comunità scientifica. Si dovranno attendere almeno gli anni Cinquanta del secolo scorso, perché il suo modello cominciasse ad affermarsi e venisse universalmente accettato. Gli scienziati introdussero poi la teoria della tettonica delle placche che andava a integrare gli assunti dello scienziato tedesco. Ebbene, secondo questa teoria 200 milioni di anni fa sarebbe esistito un unico grande continente, la Pangèa, che poi si sarebbe suddiviso in blocchi. Gli oceani si sono quindi formati in seguito a movimenti divergenti delle placche continentali, che hanno generato il loro graduale assottigliamento fino alla completa lacerazione e produzione di crosta oceanica. Sino ad ora quindi si pensava che le placche continentali si potessero allontanare o avvicinare, secondo un semplice movimento lineare in due dimensioni.

Proprio qui si collocano le osservazioni proposte dagli scienziati su Scientific Reports. Lo studio prende le mosse da un fortunato ritrovamento nel mare di Barents, 300 chilometri a Nord della costa settentrionale norvegese. Qui, l’acquisizione di moderni dati geofisici ha permesso di identificare due sistemi di faglie che si intersecano fra loro in modo incredibilmente regolare, producendo intersezioni a 90°.

I ricercatori hanno scoperto che la scacchiera del Barents (questo l'effetto che produce) si è formata nel corso di un unico evento tettonico, fra 230 e 160 milioni di anni fa e proprio questo sfida i modelli tradizionali per il movimento dei continenti. Se si assume infatti che i continenti si allontanino, o avvicinino, secondo un’immaginaria linea retta che si dilata o contrae, si dovrebbe pensare allo sviluppo di un unico sistema di faglie per volta. La scacchiera del Barents, con due sistemi perpendicolari che si sviluppano contemporaneamente, racconta invece una storia più complessa. “Quella che vediamo nel Barents - sottolinea Matteo Massironi, del dipartimento di Geoscienze dell’Università di Padova, che ha contribuito allo studio -  è una situazione unica in cui due oceani in espansione, l’Atlantico a Ovest e l’Artico a Nord, hanno interagito fra loro, con due direzioni di estensione che hanno agito contemporaneamente e portato a geometrie mai osservate in precedenza”.  

Argomenta Luca Collanega, del dipartimento di Geoscienze dell’università di Padova e primo autore dello studio: “Le geometrie naturali osservate in profondità nel mare di Barents mostrano un’incredibile regolarità, che ricorda una scacchiera. Quindi, sono state spiegate riproducendo in laboratorio il processo che conduce alla loro formazione, mediante modelli in scala. I processi così evidenziati hanno permesso di spiegare non solo le geometrie del Barents, ma anche quelle osservate nella Depressione di Afar in Etiopia”. Ebbene, riproducendo in laboratorio il processo di deformazione avvenuto nel Barents milioni di anni fa, si è scoperto che una faglia già formata condiziona le faglie circostanti in via di formazione, forzandole ad assumere un’orientazione perpendicolare ad essa. Siamo dunque di fronte a una “interazione” fra faglie e a un reticolo che si “auto-organizza” nel tempo. Il ripetersi di migliaia di queste interazioni è così risultato nelle geometrie incredibilmente regolari della scacchiera del Barents. Lo studio si basa su osservazioni molto economiche: i dati geofisici e i dati aerei vengono forniti gratuitamente alle università e la tecnica per riprodurre i modelli in laboratorio è estremamente semplice e poco costosa, dato che sono stati usati in prevalenza sabbie e siliconi.

“Partendo dunque da osservazioni in natura e in laboratorio – continua Collanega – abbiamo proposto un nuovo modello per la distensione continentale, introducendo l'idea di una ‘comunicazione tra faglie’ durante la loro formazione. A partire da metodologie semplici, siamo riusciti a evidenziare un processo mai osservato e previsto solo a livello teorico, fino a questo momento”. Alcuni dei lavori a cui si riferisce Collanega portano la firma di Paul Segall e David Pollard, che nel 1980 pubblicarono lo studio dal titolo Mechanics of Discontinuous Faults. Sull’argomento va poi riconosciuto il contributo di Patience Cowie, che elaborò il concetto di “fault interaction” (interazione tra faglie) nell'idea più raffinata di “self-organisation of fault patterns” (auto-organizzazione dei sistemi di faglie), proposto in un lavoro del 1998 dal titolo A healing-reloading feedback control on the growth rate of seismogenic faults. Entrambi i contributi, tuttavia, sono fondati sulla modellizzazione numerica e dunque hanno un taglio fortemente teorico ed astratto.

L’idea – spiega Collanega – è che quando una faglia si sviluppa, influenzi quelle vicine, spingendole a svilupparsi in una direzione piuttosto che nell’altra. Ed è proprio questa reciproca interazione a produrre una espansione della crosta terrestre su tre dimensioni, piuttosto che su due”. Quando si parla di movimento dei continenti, infatti, c’è una questione su cui si dibatte da tempo, e cioè se i continenti si muovano solo allontanandosi o avvicinandosi, cioè su due dimensioni, oppure se il movimento sia in tre dimensioni. Proviamo a semplificare: prendete un foglio. Afferratene i bordi con due mani e tiratelo, distendetelo per bene da un lato e dall’altro: ciò che state facendo è uno sforzo lineare, in direzioni opposte. Se a questo, però, aggiungete anche uno sforzo perpendicolare al primo, la deformazione del nostro oggetto diventa più complessa. Ciò che accade in natura è qualcosa di simile, ed è ciò su cui si concentra lo studio, che propone dunque un modello su tre dimensioni. Tale modello prende in esame le deformazioni della crosta terrestre anche in relazione al tempo che è il fattore chiave per cui le faglie possano interagire tra loro dal momento che, in un campo di deformazione tridimensionale, la genesi di una faglia puo’ inibirne o favorirne altre su diverse orientazioni.

“Si tratta di un concetto importante – conclude Matteo Massironi – per le ripercussioni che può avere nella comprensione delle attività sismiche. Comprendere l’evoluzione e la propagazione delle faglie e delle fratture nella crosta, nel tempo, consente infatti di avere delle ricadute sulla previsione di terremoti o sulle analisi sismogeniche. Inoltre, studiare l’evoluzione dei bacini sedimentari che si formano durante l’assottigliamento crostale, poco prima della deformazione che poi dà origine alle croste oceaniche, risulta importante anche perché quei bacini raccolgono risorse energetiche”.

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