CULTURA

La scienza come professione (e vocazione). Il pensiero di Max Weber a 100 anni dalla sua scomparsa

Fare scienza, secondo Max Weber, conteneva qualcosa di intrinsecamente assurdo: gli scienziati, infatti, lavorano per formulare delle ipotesi che sono destinate ad essere smentite e superate nel corso del tempo. Questo, però, non è certo un buon motivo perché non seguano la loro vocazione, anzi.

Il 14 giugno di 100 anni fa si spegneva per sempre Max Weber, le cui idee sulla situazione intellettuale e politica del suo tempo hanno influenzato il lavoro delle successive generazioni di sociologi, e non solo.

Qual è stato il contributo di Weber alla storia del pensiero sociologico? E qual era l'importanza che aveva, secondo la sua opinione, la figura dello scienziato? Ce lo ha raccontato Matteo Bortolini, professore di logica delle scienze sociali all'università di Padova.

Servizio di Federica D'Auria. Montaggio di Elisa Speronello

“Max Weber è stato sicuramente uno dei più importanti scienziati sociali a cavallo tra Ottocento e Novecento, ma oggi, nel 2020 è qualcosa di più. Il suo lavoro ha ispirato non solo i sociologi, ma anche gli storici dell'economia, i filosofi della politica e innumerevoli altri intellettuali, studenti e studiosi che vogliono capire la nostra società”, spiega il professor Bortolini.
“Di fatto, Weber ha scritto tantissimi articoli, ma mai un libro intero. Il suo lavoro, quindi, è molto frammentato e mai univoco, ma sempre ambiguo e dialettico, proprio come lui voleva che fosse. Ed è questo che permette a persone diverse di interpretarlo e discuterlo in modi differenti”.

Weber osservava attorno a sé una società che si “spezzettava”, e nella quale non c'erano valori comuni, le scienze andavano specializzandosi e la politica cambiava continuamente.
“Il suo lavoro, per questo motivo, riflette l'idea che sia quasi impossibile ritrovare un'unità non solo del sapere, ma anche della realtà, come appare evidente in uno dei suoi testi più importanti e famosi: La scienza come professione, nel cui titolo originale (Wissenschaft als Beruf), il termine tedesco beruf può essere tradotto nella nostra lingua sia come “professione” che come “vocazione”, commenta il professor Bortolini.

“In questa conferenza, Weber si trova a riflettere sul senso di fare scienza. Un'attività assurda, secondo il suo punto di vista, perché prevede che gli scienziati lavorino per cercare dati e interpretazioni che verranno superate nel giro di qualche mese o di qualche anno.

Pensiamo a quante notizie scientifiche si succedevano continuamente nel periodo del lockdown durante la pandemia, anche contraddicendosi una con l'altra, dando al cittadino comune l'idea che gli scienziati non sapessero che pesci pigliare.
In realtà, invece, è proprio questa l'idea della scienza: una conoscenza che continuamente si muove e nega se stessa.
Inoltre, l'attività scientifica, diceva Weber, è in gran parte lasciata al caso, perché il duro lavoro e l'ispirazione non sostituiscono mai la scintilla dell'idea, che, se si è fortunati, può capitare una volta nella vita”.

Che senso ha, allora, la vita dello scienziato? È una vita che non solo comporta fatica e conduce a dei risultati che saranno presto superati, ma durante la quale è anche possibile che la scintilla dell'idea non arrivi mai.
Come spiega il professor Bortolini, “la cosa più bella che ci dice Weber nella conferenza in questione è che la vita scientifica ha valore per due motivi: perché ognuno di noi ha una sua passione, un “demone”, e le persone che lo trovano nella scienza fanno bene a proseguire in quel campo; e poi perché fare gli scienziati, e poi insegnare, serve a raggiungere la chiarezza: che consiste nell'essere consapevoli di ciò che si sta facendo.

La cosa più importante che un docente può fare per i suoi studenti è proprio aiutarli a raggiungere la chiarezza: a capire, cioè, se quello che stanno facendo e che vogliono fare nella loro vita è coerente con le scelte che hanno fatto e con i loro valori”.

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