Reuters - Kevin Lamarque
Un paio di settimana fa Nature ha proposto in un editoriale, che esprime la linea ufficiale della rivista scientifica più diffusa al mondo, un insolito elenco e, soprattutto, un insolito appello. L’elenco comprende: Jair Bolsonaro, presidente del Brasile; Donald Trump, presidente degli Stati Uniti; Viktor Orbán, primo ministro in Ungheria; Narendra Modi, primo ministro in India; Recep Tayyip Erdogan, presidente della Turchia. A tenere insieme questi nomi, secondo Nature, vi è una linea rossa da spezzare: una serie di attacchi recentissimi che, in un modo o nell’altro, attentano alla libertà di ricerca e, dunque, alla scienza.
L’appello della rivista inglese si rivolge a tutti gli scienziati del mondo perché tengano alta la vigilanza e si mobilitino a favore di un bene – la libertà di ricerca, appunto – che non è solo della comunità scientifica ma dell’intera società. Non c’è democrazia senza libertà di ricerca.
“ A tenere insieme questi nomi vi è una linea rossa da spezzare: una serie di attacchi recentissimi che attentano alla libertà di ricerca e alla scienza
Il problema del rapporto, invero delicato, tra scienza e potere si ripropone, dunque. E quasi sempre la comunità scientifica internazionale si è fatta cogliere impreparata. È successo in passato e sembra, tutto sommato, stia succedendo nel presente. Nature sembra più un cane che abbaia alla luna piuttosto che il trombettiere che annuncia il contrattacco.
Ora, per strana coincidenza, in questo 2019 cadono almeno due anniversari che riguardano il rapporto scienza e potere. L’uno risale al 1949 e riguarda la vicenda di uno scienziato vittima di una palese ingiustizia in un grande paese democratico, gli Stati Uniti d’America; l’altro risale a dieci anni prima e riguarda la pubblicazione di un testo teatrale destinato a diventare famoso. Entrambi i fatti tuonano contro il “silenzio degli scienziati”.
Di scienziati vittime del potere ce ne sono stati, nella storia, a migliaia. Soprattutto nei paesi totalitari. Nei soli anni ’30 del secolo scorso hanno subito persecuzioni inimmaginabili in Germania, in Italia, in Unione Sovietica. In tutti i casi nel silenzio della gran parte della comunità scientifica. La quale, talvolta, è stata persino corresponsabile. Si è associata alla persecuzione.
Parliamo ora di un caso avvenuto in un paese democratico, gli Stati Uniti, non solo perché ce ne offre l’occasione l’anniversario dell’inizio della persecuzione, ma soprattutto perché quando fatti del genere avvengono in un paese democratico è come se questo paese stesse tradendo se stesso.
“ Sono democratiche, la ragione e la scienza, perché chiare e attingibili a tutti
Bene, nel 1949 un giovane fisico, David Bohm, dell’università di Princeton, nel New Jersey, fu accusato di presunte attività antiamericane (sette anni prima era stato iscritto per soli nove mesi al partito comunista degli Stati Uniti) e fu arrestato per un presunto oltraggio al Congresso. Il processo si tenne pochi mesi dopo e David Bohm fu completamente scagionato. Assolto con formula piena. Ma negli Stati Uniti era ormai iniziata la cosiddetta “caccia alle streghe”, il clima era pesante e l’università di Princeton decise di non rinnovare il contratto a David Bohm. Per non avere grane.
Per non schierarsi contro il potere.
Quello che di fatto fu un licenziamento senza giusta causa, lasciò senza lavoro David Bohm. La fortuna del fisico fu l’amicizia con Albert Einstein, uno dei pochi scienziati che si è battuto come un leone per impedire e poi frenare l’ondata maccartista che a inizio anni ’50 inondò gli Stati Uniti. In breve, Einstein raccomandò David Bohm all’università di San Paolo, in Brasile. Che, sulla base di quell’autorevole segnalazione, diede una posizione a Bohm. Il quale ripagò realizzando nel 1952 quella che è stata definita la “seconda rivoluzione quantistica”: elaborando una “teoria a variabili nascoste” efficace quanto quella egemone della cosiddetta “interpretazione di Copenaghen”. Detta in altri termini, gli Stati Uniti avevano costretto all’esilio di fatto, con la corresponsabilità dell’università di Princeton, l’autore di uno dei più grandi successi della fisica teorica del dopoguerra.
Un boomerang.
“ Dunque, scienziati: dicono Brecht e Nature, impegnatevi contro chi attenta alla vostra libertà. Impegnatevi contro chi attenta alla libertà
Ora facciamo un passo indietro di dieci anni e andiamo al 1939, quando il tedesco Bertold Brecht, esule in Scandinavia, porta a termine la prima versione della Vita di Galileo. Le altre due saranno elaborate nel 1943’-'45 e poi nel 1956. Scopo del testo teatrale non è ricostruire la vicenda storica dello scienziato toscano, ma, come rileva Ludovico Geymonat, quello di affrontare il tema della responsabilità dello scienziato in campo etico, filosofico e politico.
Il Galileo di Brecht per la verità somiglia molto al Galileo storico quando indica nella ragione una forza che è insieme di progresso e democratica:
Solo i morti non si lasciano smuovere da un argomento valido!
La ragione e, dunque, la scienza generano (anche oggi) progresso, dice Brecht per bocca di Galileo. E sono democratiche, la ragione e la scienza, perché chiare e attingibili a tutti. D’altra parte è per questo che il Galileo storico impegnerà gran parte della sua vita e dimostrerà le sue doti di grande scrittore nel pubblicare testi in volgare. Perché tutti possano capire. Perché la scienza possa giungere a tutti e tutti si formino delle opinioni sulla base di argomenti validi
Ma il galileo di Brecht interroga lo scienziato. Di ogni tempo e luogo:
Che scopo si prefigge il vostro lavoro? Io credo che la scienza possa proporsi altro scopo che quello di alleviare la fatica dell'esistenza umana. Se gli uomini di scienza non reagiscono all'intimidazione dei potenti egoisti e si limitano ad accumulare sapere per sapere, la scienza può rimanere fiaccata per sempre, ed ogni nuova macchina non sarà fonte che di nuovi triboli per l'uomo. E quando, coll'andar del tempo, avrete scoperto tutto lo scopribile, il vostro progresso non sarà che un progressivo allontanamento dall'umanità.
Il Galileo di Brecht (come quello storico, peraltro) ha chiaro quale sia il dovere di ogni uomo di scienza nei confronti del resto della società. Per questo Bertold Brecht definisce con un termine molto duro, di “tradimento” il comportamento di quello scienziato che si rifugia nella sua torre d’avorio e non si interessa dei rapporti tra la sua scienza – tra tutta la scienza – e la società. E accusa di tradimento proprio Galileo, non tanto per l’abiura pronunciata dal toscano il 22 giugno 1633, quanto perché:
Per alcuni anni ebbi la forza di una pubblica autorità; e misi la mia sapienza a disposizione dei potenti perché la usassero, o non la usassero, o ne abusassero, a seconda dei loro fini. […] Ho tradito la mia professione; e quando un uomo ha fatto ciò che ho fatto io, la sua presenza non può essere tollerata nei ranghi della scienza.
È ancora Galileo che parla. Il Galileo di Brecht, ovviamente. Un Galileo in scena che è certamente ingeneroso con il Galileo storico. E tuttavia, come sostiene ancora Ludovico Geymonat, il Galileo di Brecht è nel giusto quando condanna il disimpegno degli scienziati.
Un disimpegno che viene favorito da due forze sinergiche. La prima è, appunto, la tentazione del tradimento. La teorizzazione e la pratica da parte dello scienziato che il suo solo compito è chiudersi in laboratorio a interrogare la natura e non curarsi d’altro.
La seconda forza che punta nella medesima direzione è quella che fa dire al procuratore dello Studio di Padova, Priuli:
E cos'ha da spartire un matematico come il signor Galilei con la filosofia?
Il procuratore Priuli rappresenta quella parte della società che, come succede a molti intellettuali, nega alla scienza ogni valore culturale, quindi etico e filosofico, e cerca pertanto di espungere gli scienziati dal dibattito politico.
Il capolavoro di Brecht è certamente ingeneroso con il Galileo storico. Allo scienziato toscano tutto si può attribuire tranne che il disimpegno. Anzi, ha pagato per l’eccessivo impegno. Per quello che lo stesso Geymonat ha definito l’”ardito progetto”: convincere la Chiesa di Roma che la scienza costituisce il futuro, che non è nemica della fede e che non può essere lasciata nelle mani dei protestanti. Ma Brecht con il suo galileo lancia un richiamo forte e chiaro e – come dimostra l’editoriale di Nature, estremamente attuale – alla necessità, sia per la scienza sia per la società, dell’impegno sociale e anche politico (nel senso più nobile della parola) degli scienziati. Chi si sottrare, tradisce la scienza e la società.
Dice il Galileo di Brecht:
Ho tradito la mia professione; e quando un uomo ha fatto ciò che ho fatto io, la sua presenza non può essere tollerata nei ranghi della scienza.
Dunque, scienziati: dicono Brecht e Nature, impegnatevi contro chi attenta alla vostra libertà. Impegnatevi contro chi attenta alla libertà.