SCIENZA E RICERCA
La Caporetto della comunicazione scientifica

Il palazzo della prefettura dell'Aquila in Abruzzo, dopo il terremoto/Massimo Pistore
Dopo la sentenza che ha condannato sei scienziati che parteciparono alla riunione della commissione Grandi rischi della Protezione civile prima del terremoto dell’Aquila, occorre affrontare il problema di come avvertire le popolazioni in caso di pericolo. È questo il tema dell’intervento di Giulio Di Toro, geologo, apparso su il Bo numero 5 del giugno 2012, che oggi pubblichiamo in estratto. Benché siano stati compiuti sforzi significativi negli ultimi 40 anni, le conoscenze sulla fisica dei terremoti sono ancora limitate. Ma cosa significa allora “prevedere” un terremoto?
Occorre distinguere tra previsione deterministica del luogo (coordinate geografiche), data (ora, giorno, anno) e dimensione (magnitudo) del terremoto dalla previsione probabilistica (con probabilità compresa tra 0 e 1, dove 0 è un evento impossibile e 1 un evento certo), o quante probabilità vi sono che un evento di una certa magnitudo colpirà una data area in un dato giorno. La differenza tra previsione deterministica e probabilistica distingue un ciarlatano da uno scienziato. Tutte le previsioni scientifiche sono di tipo probabilistico. Nel caso delle previsioni meteo a 24 ore l’attendibilità (“piove-non piove”) sfiora 0.9. Ma il “tempo” è un fenomeno i cui parametri principali (umidità, temperatura, ecc.) sono monitorati in tempo reale e su scala globale e quindi inseriti in una “scatola nera” (modelli matematici che simulano il comportamento dell’atmosfera tenendo conto delle leggi dei fluidi, ecc.) che produce una previsione. La previsione può essere verificata il giorno successivo: se non è corretta, si può agire sulla scatola nera. I terremoti distruttivi per l’uomo nascono a una decina di kilometri di profondità, dove non è consentito misurare i parametri fisici (temperatura, energia di deformazione elastica accumulata e proprietà frizionali delle rocce, ecc.) che controllano l’enucleazione di un terremoto; inoltre, i terremoti grandi rompono faglie di centinaia di km2 ma “nascono” da aree di faglia poco più grandi della vostra scrivania. Che dati inserire nella scatola nera che produce le previsioni di un terremoto? E, anche se avessimo una scatola nera, i terremoti distruttivi come quello dell’Aquila 2009 si ripetono ogni 250-500 anni. Come verificare la bontà della previsione?
Benché le conoscenze sulla fisica dei terremoti stiano notevolmente incrementando, non abbiamo a oggi un metodo robusto per prevedere i terremoti; non esistono segnali precursori (emissioni di Radon, sciami sismici, deformazioni del suolo, ecc.) affidabili. Per questa ragione, per l’Italia si è optato per una carta della pericolosità sismica che si basa prevalentemente sulla storia degli eventi passati: la carta indica l’accelerazione massima che nel 90% dei casi non verrà superata in un periodo prefissato di 50 anni, in condizioni ottimali di risposta locale del terreno (roccia); la carta più recente è stata pubblicata nel 2004.
La carta è costruita impiegando il catalogo dei terremoti storici Italiani, il catalogo dei terremoti strumentali, un modello di zonazione sismotettonica che rappresenta la frequenza/magnitudo degli eventi, e le proprietà di trasmissione delle onde nelle rocce. Il catalogo dei terremoti storici Italiano, il più completo al mondo, sfrutta la lunga tradizione scritta del nostro paese ed è uno straordinario esempio delle potenzialità di simbiosi tra discipline umanistiche e scientifiche: è il risultato di un certosino studio di antichi documenti conservati in monasteri, chiese, biblioteche, ecc. dove erano registrati eventi interpretabili come causati da terremoti. Secondo la carta di pericolosità sismica del territorio nazionale, L’Aquila si trova nelle zone a più alta pericolosità d’Italia. Poiché i tempi di ritorno di un evento distruttivo per l’Aquila sono di ca. 250-500 anni (l’ultimo evento distruttivo era stato nel 1703) la probabilità di avere un evento distruttivo in un dato giorno, per esempio il 6 Aprile 2009, era di ca. 0.00001 = 1 / (365 giorni x 300 anni). In altre parole, la carta non prevedeva “deterministicamente” quando, ma luogo e magnitudo sì. La carta è di riferimento per la classificazione sismica di un comune e, di conseguenza, per legge, impone vincoli sulle caratteristiche costruttive degli edifici la cui rigorosa applicazione ridurrebbe al minimo le perdite di vite umane. In realtà, per le scarse conoscenze che abbiamo della fisica dei terremoti, per le possibili lacune nei cataloghi storici e per i lunghi tempi di ritorno dei terremoti, la carta non è necessariamente “robusta”. Non è quindi un caso che nel terremoto del ferrarese M 5.9 2012 siano state misurate accelerazioni al suolo più elevate di quanto previsto dalla carta. Inoltre, questo tipo di carte non considera aspetti geologici locali di amplificazione delle onde e alcuni aspetti caratteristici dei terremoti, come la loro tendenza a “clusterizzare” in brevi periodi. Quest’ultima proprietà aumenta di molto la probabilità di un evento sismico. Uno studio del 2011 (successivo al terremoto dell’Aquila) dei terremoti registrati in Italia negli ultimi sessant’anni indica che un terremoto di magnitudo superiore a 4 ha circa l’1% di probabilità di essere seguito da un terremoto di magnitudo più grande in un raggio di 10 km dall’epicentro nelle 72 ore successive. Nel caso del terremoto M 6.3 dell’Aquila del 6 Aprile 2009 delle ore 3:32, essendo stato preceduto alle 22:48 del 5 Aprile da un evento M 4, esisteva una probabilità pari all’1% di avere un terremoto come quello che ha colpito la città poche ore dopo.
Un incremento di probabilità da 0.00001 a 0.01 è un aumento significativo (tre ordini di grandezza) da un punto di vista “scientifico”, ma numeri così piccoli evidenziano la difficoltà di comunicare la pericolosità di un evento alla popolazione e ai decision makers. Che cosa significa che la probabilità di un evento aumenta da 0.00001 a 0.01? Può il sindaco ordinare l’evacuazione di una città perché vi è una probabilità su cento che nei prossimi tre giorni vi sarà un terremoto? E se il terremoto, com’è probabile al 99%, non arriva, quanto dovrà durare l’evacuazione? Chi coprirà i costi delle giornate lavorative perse? Occorre confrontare i costi economici e sociali dell’evacuazione di una città con quello delle eventuali perdite in caso di mancata evacuazione. Questo comporta anche una valutazione del numero di potenziali vittime e del costo di una vita umana. Anche se la vita “non ha prezzo”, in realtà le società di assicurazione attribuiscono un prezzo alle nostre vite. Se moltiplichiamo i costi delle potenziali “perdite” per la probabilità di un evento e li confrontiamo con i costi di evacuazione, è possibile prendere una decisione? è evidente che occorrono delle rigorose normative (preparate lontano dall’emergenza), fondate su un’analisi razionale costi/benefici, cui affidarsi per prendere decisioni che si basano su probabilità estremamente basse di realizzazione di un evento. Nei giorni del terremoto dell’Aquila, in Versilia gli alberghieri stavano procedendo a un’azione legale nei confronti dei metereologi che, avendo stilato bollettini meteo che prevedevano pioggia quando il weekend era stato soleggiato, avevano indotto numerosi turisti a cancellare le prenotazioni negli alberghi.
Il terremoto dell’Aquila del 6 Aprile è stato preceduto da una sequenza sismica di circa sei mesi, tra cui l’evento M4.1 del 30 Marzo 2009 cui fece seguito la riunione della Commissione Grandi Rischi del 31 Marzo 2009. La riunione fu tenuta nella città dell’Aquila in un clima di tensione, sia per una popolazione sottoposta alla snervante crisi sismica, che per le voci di previsione (deterministica) di un grande terremoto ad opera di Giampaolo Giuliani. Le previsioni di Giuliani, basate su misure di emissione di radon, non hanno trovato alcun riscontro, sia pratico (le sue previsioni si sono mostrate errate sia nel tempo che nel luogo) che scientifico: nessuno dei dati raccolti da Giuliani è stato pubblicato su una rivista scientifica e i suoi dati, analizzati da una commissione di esperti internazionali, si sono mostrati non utilizzabili per prevedere un terremoto. Questo non dovrebbe sorprendere: studi rigorosi condotti negli ultimi quarant’anni hanno mostrato la non affidabilità del radon come precursore. (…) Il 31 Marzo, prima della riunione, il vice-direttore della Protezione Civile, l’Ing. De Bernardinis, affermò in un’intervista televisiva che l’Aquila non correva pericolo alcuno perché i numerosi piccoli terremoti stavano scaricando l’energia elastica accumulata nei secoli passati: i cittadini potevano stare tranquilli e bere un bicchiere di Montepulciano d’Abruzzo. La prima regola di comunicazione (e buon senso) è che non è possibile smentire voci scientificamente infondate (le previsioni deterministiche di Giuliani) con affermazioni altrettanto scientificamente infondate (le dichiarazioni di De Bernardinis sono inconsistenti con cento anni di studi di sismologia quantitativa i cui risultati sono il fondamento della previsione probabilistica di un terremoto). Queste affermazioni inesatte non furono contestate da specialisti (forse anche perché non ne erano a conoscenza) nei giorni che precedettero l’evento del 6 Aprile 2009 e, a detta dei parenti delle vittime del terremoto, hanno influenzato le loro decisioni: non abbandonare l’abitazione dopo l’evento M 4.0 delle 22:48 del 5 Aprile. (…) Come dichiarato dal sismologo Tom Jordan, direttore del Southern California Earthquake Center preposto al monitoraggio della Faglia di San Andreas, il processo segna uno spartiacque: esso costringerà i sismologi di tutto il mondo a rivedere il modo con cui comunicare la probabilità di eventi disastrosi con bassissime percentuali di verificarsi e come rapportarsi con i mass media.
La comunità scientifica deve avere la massima trasparenza e comunicare nella maniera più chiara possibile messaggi non contraddittori. Nei giorni precedenti e successivi al terremoto dell’Aquila, ricercatori e professionisti, a volte con scarsa competenza in fatto di terremoti e impreparati a gestire le domande di un giornalista, creavano ulteriore confusione. Abbiamo assistito alla Caporetto della comunicazione scientifica con una grave perdita di fiducia da parte del cittadino nei confronti della scienza. Per affrontare situazioni di questo tipo che inevitabilmente si ripeteranno (vedi il caso del Vesuvio) sono indispensabili una regia e un soggetto di riferimento attualmente assenti nella comunità scientifica Italiana (e forse globale).
Giulio Di Toro