SCIENZA E RICERCA

I ghiacciai alpini fondono e la terra trema

Il 2025 è l’anno internazionale per la conservazione dei ghiacciai promosso dall’Organizzazione delle Nazioni Unite, e in effetti c’è un gran bisogno di mantenere alta l’attenzione su questi giganti bianchi eppure così fragili. Sono sempre più frequenti gli allarmi di chi studia la riduzione dei ghiacciai (o la loro scomparsa) e queste notizie arrivano ormai da ogni angolo del pianeta, dall’Islanda alle Ande passando per le vette alpine. 

Uno degli ultimi studi sul tema, pubblicato a giugno 2025 sulla rivista Earth and Planetary Science Letters e firmato da Verena Simon del Politecnico di Zurigo e altri colleghi francesi, ha evidenziato un aspetto poco noto finora: il legame tra crisi climatica e rischio sismico. Il gruppo di ricerca franco-svizzero ha analizzato 15 anni di attività sismica alle Grandes Jorasses (nel massiccio del Monte Bianco, cuore delle Alpi occidentali) ed è riuscito a collegare l’aumento della sismicità annuale osservato nella zona a partire dal 2015 all’infiltrazione di acqua derivante dalla fusione di neve e ghiaccio. Questo aumento del numero di microsismi sarebbe la prova che il ritiro dei ghiacciai, causato dai cambiamenti climatici, può aumentare il rischio sismico nelle regioni alpine e artiche.

Una nuova ricerca tra i ghiacci delle Alpi

I dati sui terremoti analizzati dal team guidato da Simon si riferiscono al periodo che va dal 2006 al 2022 e riguardano appunto microsismi, cioè eventi di bassa intensità che non provocano danni alle infrastrutture umane, ben diversi dai terremoti che avvertiamo e possono essere devastanti. I terremoti che conosciamo avvengono per i moti delle grandi placche della litosfera terrestre che accumulano tensione lungo le faglie di contatto: quando questa tensione supera la resistenza delle rocce, l’energia viene liberata improvvisamente sotto forma di onde sismiche che fanno tremare il terreno. La differenza è quindi enorme: i microsismi glaciali ci parlano dei processi interni alle rocce su cui poggiano i ghiacciai, mentre i terremoti tettonici sono legati al motore profondo della Terra. Ma non per questo i microsismi vanno sottovalutati, sono anzi un fenomeno molto importante da tenere d’occhio come dimostra il paper pubblicato su Earth and Planetary Science Letters.


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I modelli utilizzati in geofisica mostrano che la Terra può reagire ai cambiamenti climatici anche con un aumento del rischio geologico, per esempio quello relativo ai terremoti causati da cambiamenti nella sfera delle acque. Tuttavia, finora poche osservazioni avevano confermato il legame tra clima e sismicità, almeno fino alla ricerca effettuata sulle Grandes Jorasses. La crisi climatica in atto dunque non fa “soltanto” fondere i ghiacci, innalzare il livello del mare e prosciugare laghi e fiumi, ma secondo lo studio franco-svizzero sta anche rendendo più instabile la terra sotto i nostri piedi.

I ghiacciai che si ritirano infatti rilasciano enormi quantità d’acqua di fusione, che filtrando nelle rocce profonde possono innescare dei microsismi e, potenzialmente, anche terremoti più forti. Il fenomeno documentato da Simon e colleghi mostra in particolare un punto di svolta: nell’autunno del 2015 un’ondata di calore ha fatto impennare i sismografi mostrando un improvviso aumento nel numero e nell’intensità dei piccoli terremoti nel massiccio montuoso sotto osservazione. Anche se questi microsismi di solito non vengono avvertiti, la loro frequenza crescente è un campanello d’allarme per chi vive in quelle zone o le frequenta.

Cosa ci dice il traforo del Monte Bianco?

I ricercatori d’oltralpe hanno capito che la sismicità “anomala” indicava come questi terremoti siano influenzati dall’acqua di fusione che penetra lungo una grande faglia nella zona del traforo del Monte Bianco. I modelli geologici infatti confermano che sotto pressione quest’acqua si infiltra nelle rocce e può ridurre l’attrito lungo le faglie, facilitando così lo scivolamento di masse rocciose. Un meccanismo simile provoca anche i terremoti legati alle attività umane come il fracking o le estrazioni minerarie sui fondali oceanici, solo che sulle Alpi non ci sono trivelle ma il riscaldamento globale che fa percolare l’acqua di fusione nelle viscere delle montagne.


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Secondo gli autori dello studio l’aumento della sismicità osservato dal 2015 è probabilmente causato da ondate di calore più intense che colpiscono il ghiaccio e il permafrost anche ad alta quota, modificando i percorsi dell’acqua di fusione e causando variazioni di pressione che scatenano i terremoti. Nei periodi di caldo estremo, ormai sempre più frequenti, il rischio sismico locale può aumentare molto rispetto al passato. Questi risultati suggeriscono che i cambiamenti climatici possono aumentare il pericolo corso dalle comunità delle regioni alpine (e forse anche in altre zone glaciali), e infatti i ricercatori sottolineano l’importanza di aggiornare la valutazione del rischio per queste aree.

Tornando al tunnel che passa sotto il Monte Bianco, già all’epoca della sua realizzazione (dal 1959 al 1965) quest’opera aveva rivelato come l’acqua di fusione circoli con facilità all’interno del massiccio: improvvise cascate avevano spesso rallentato i lavori e fatto intuire la presenza di faglie che agivano da condotti. Oggi, unendo i dati storici a quelli sismici e ai modelli di fusione, gli scienziati possono tracciare un quadro più chiaro: i ghiacciai si ritirano ma non lo fanno in buon ordine. Per adesso questi microsismi non sembrano essere un pericolo per il traforo o per i villaggi alpini, ma lo stesso fenomeno potrebbe avere conseguenze molto più gravi in altre zone del mondo. Per esempio nella catena himalayana o in quella andina, dove i ghiacciai sono molto più grandi e le faglie sottostanti sono in grado di scatenare terremoti ben più distruttivi. 

Un messaggio dal profondo

In un anno simbolico come questo, la ricerca svolta sulle cime granitiche delle Grandes Jorasses ci ricorda che i ghiacciai non sono soltanto dei paesaggi spettacolari, ma archivi che ci parlano del clima del passato e sentinelle in allerta che ci possono avvisare di rischi nuovi. Chi si occupa di glaciologia segnala da anni che le masse di ghiaccio in montagna e ai poli mostrano evidenti segnali di stress, eppure sappiamo che i ghiacciai sono fondamentali per regolare il clima globale e fornire acqua dolce – risorsa essenziale per miliardi di persone – ma a causa della crisi climatica stanno sparendo rapidamente.

È come se la loro voce, registrata nei microsismi che scuotono le catene montuose, ci parlasse di un equilibrio sempre più fragile. Imparare ad ascoltarla significa comprendere meglio non solo il destino delle montagne, ma anche quello delle comunità che vivono in quota o a valle e dipendono da queste preziose riserve d’acqua dolce. Dunque anche la geosfera subisce gli effetti della crisi climatica e la ricerca di Simon e colleghi ci mostra che la scienza oggi ha gli strumenti per capirlo: sta poi al resto della società decidere se prestare ascolto a questo flebile ma potente messaggio dal profondo.

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