SCIENZA E RICERCA

Gas e terremoti, la relazione possibile

È nato prima l’uovo o la gallina? È questo in sintesi il nocciolo della questione, perché se finora si è guardato alle estrazioni petrolifere come causa di possibili terremoti, ora uno studio pubblicato su Natural Hazards Earth System Science, coordinato da Marco Mucciarelli dell’Istituto nazionale di Oceanografia e di geofisica sperimentale di Trieste, ribalta la questione. E suggerisce l’ipotesi che i giacimenti di idrocarburi, le riserve di gas in particolare, possano indicare una maggiore o minore probabilità di eventi sismici a seconda che i serbatoi siano sterili o produttivi.

Ma andiamo con ordine. I ricercatori hanno selezionato un’area di circa 10.000 chilometri quadrati nella porzione sud-orientale della pianura padana, sul margine emiliano, una zona esposta a terremoti come è accaduto nel 2012 e da cui proviene molta parte del metano estratto in Italia. È stata poi consultata una banca-dati ministeriale di pozzi perforati da varie compagnie petrolifere; ne sono stati analizzati 455, suddividendoli in produttivi e improduttivi. Infine è stata costruita una mappa in cui vengono indicati sia i pozzi che le faglie sismogeniche responsabili di quattro forti terremoti della zona (del 20 e 29 e maggio 2012, del 19 marzo 1624 ad Argenta e dell’11 novembre 1570 a Ferrara).

“Abbiamo osservato – spiega Mucciarelli – che nelle zone in cui ci sono stati i quattro terremoti più forti in Emilia Romagna negli ultimi 500-600 anni, tutti i pozzi che sono stati perforati sono sterili. Al contrario, i serbatoi più produttivi sono quelli in cui non sussistono evidenze di sismicità storica passata”. L’ipotesi dei ricercatori è che una faglia molto attiva nel corso dei millenni possa aver fratturato il serbatoio di gas che in questo modo è andato disperso. Al contrario un serbatoio integro per milioni di anni starebbe a significare che la deformazione è stata comparativamente più piccola. “La pianura padana è una zona in cui è difficile capire quali siano le faglie più attive e quali meno e dunque le zone in cui è più probabile che si verifichino eventuali futuri terremoti. Il fatto di avere giacimenti più o meno produttivi può venire in aiuto”. I dati dunque sembrerebbero far supporre che, all’interno di aree in cui si ritiene che i terremoti possano avvenire, in presenza di serbatoi sterili la probabilità che si verifichi un evento sismico sia maggiore.

Attualmente il dato relativo al grado di sismicità è uniforme in tutta la pianura padana, l’obiettivo invece è di capire se esistono zone con livelli di pericolosità sismica differenti. E questo anche per indirizzare meglio le azioni di prevenzione sismica. Si tratta, sottolinea Mucciarelli, di una sorta di previsione a lungo termine. E per questo lo studio sta ora continuando sul versante veneto.

“È una ricerca importante – osserva Giulio Di Toro del dipartimento di Geoscienze dell’Università di Padova – con dei dati che supportano le ipotesi di lavoro. Ma ritengo sia prematuro in questo momento trarre delle conclusioni a livello applicativo, anche se lo studio costituisce un buon punto di partenza”.  È necessario rispondere ancora a molte domande secondo il docente. Spiega, ad esempio, che la presenza o assenza di gas in un serbatoio è dovuta a molti fattori, il più importante dei quali è la caratteristica di impermeabilità del “tappo”, cioè della roccia che impedisce al gas di risalire. O semplicemente il potenziale serbatoio non è mai stato riempito dal gas perché non era in comunicazione con la roccia madre dell'idrocarburo. A ciò si aggiunga che quando in una sequenza sismica il terremoto principale innesca altri terremoti più piccoli, in genere le profondità degli ipocentri di questi terremoti e le faglie interessate sono al di sotto dei serbatoi naturali di idrocarburi sfruttati dall’uomo. Serbatoi e soprattutto i loro “tappi” possono dunque rimanere intatti.

“In Iran ad esempio – spiega Di Toro – esistono tra i più grandi serbatoi al mondo di gas naturale, alcuni su terraferma, altri nel golfo persico. Ebbene, quelli di terraferma sono localizzati in una delle zone più sismiche del Paese”. Lo stesso discorso vale per il mar Caspio, da cui il nostro Paese importa idrocarburi, i cui i serbatoi sono vicini a faglie che provocano terremoti anche di magnitudo 7.  Secondo il docente, dunque, sarà importante capire perché in varie parti del mondo si manifestino terremoti violentissimi in prossimità di serbatoi di gas. Nel caso specifico, servirà analizzare come si muove il gas nella pianura padana, come avviene il passaggio dalla roccia madre in cui viene prodotto al serbatoio, e capire quali sono le caratteristiche di permeabilità dei “tappi”.  

Di Toro conclude con un’osservazione. “È necessario investire per esaminare il comportamento dei serbatoi naturali, le interazioni tra liquidi, gas e rocce circostanti. Se si vuole una società del benessere che vive sull’energia – conclude allargando il discorso – occorre farlo in maniera sicura”. 

Monica Panetto

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