SCIENZA E RICERCA

Guardando dentro al Big Bang

Qualche giorno fa lo Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics (CfA) ha annunciato per il 17 marzo 2014, alle 17 ora italiana, una conferenza stampa per illustrare una Major Discovery nell’ambito dell’astrofisica. Da subito si è accesa la curiosità della comunità scientifica (e non solo), che in poco tempo si è trasformata in una vera e propria attesa euforica. Secondo fonti autorevoli infatti dovrebbero essere diffusi nuovi dati del telescopio antartico Bicep (Background Imaging of Cosmic Extragalactic Polarization), che per la prima volta confermerebbero la percezione di onde gravitazionali generate pochissimi istanti (molto meno di un miliardesimo di miliardesimo di secondo) dopo il Big Bang.

Una scoperta che, se confermata, rappresenterebbe la prima conferma empirica della cosiddetta teoria dell’inflazione cosmica sull’origine del nostro universo. Per capirne però la portata è necessario fare qualche passo indietro, ovvero alla nascita della cosmologia come settore della scienza naturale. Ciò avviene solo nel 1917, quando Einstein trae le prime conseguenze cosmologiche dalla sua teoria della relatività generale, la più profonda teoria oggi disponibile sulla gravitazione. Già nei primi modelli relativistici di universo emerge l’idea che esso sia finito ma illimitato. Va inoltre notato che fino al 1920, anno del cosiddetto “grande dibattito” tra Harlow Shapley e Heber Curtis, non era ancora chiaro se l’universo contenesse solo la nostra galassia o miriadi di galassie (come oggi sappiamo).

Proprio nel corso degli anni Venti del secolo scorso furono fatti progressi, sia teorici che osservativi, che posero le basi dello sviluppo di quello che negli anni Sessanta venne chiamato modello del Big Bang. Questo modello descrive un universo non statico ma dinamico, con una sua storia di cui oggi seguiamo aspetti sempre nuovi grazie anche al singolare incontro tra le ricerche nell’ultrapiccolo (la fisica delle particelle elementari con gli acceleratori) e le ricerche nell’ultragrande (le osservazioni astronomiche con telescopi a terra e orbitanti).

Secondo il Modello del Big Bang, possiamo schematicamente dividere la storia dell’Universo in cinque fasi. Nella prima, meno di un miliardesimo di secondo dopo il Big Bang, si forma una bolla molto più piccola di una frazione di atomo. Dentro è contenuto tutto l’Universo, estremamente compresso e caldo. Dentro questa bolla le quattro forze conosciute della natura (gravità, elettromagnetismo, forza nucleare forte e forza nucleare debole) sono unificate in una sola superforza. Poi, improvvisamente, la gravità si separa dalla superforza, mentre l’universo si estende tumultuosamente. Espandendosi la materia si raffredda e si innesca un’esplosione di energia, alimentando una iperinflazione dell’universo (cioè un incremento accelerato delle sue dimensioni), come suggerito da Alan Guth nel 1981. Nella seconda fase l’universo ha ancora meno di un secondo di vita, quando la superforza si divide nelle diverse forze della natura. Circa tre minuti dopo il Big Bang, la temperatura dell’universo è scesa a “solo” un miliardo di gradi circa, quindi sufficientemente bassa perché si formino i nuclei delle particelle più leggere: nascono infatti i primi atomi di idrogeno e, dall’unione di questi, quelli di elio (secondo la spiegazione proposta da Gamov e Alpher negli anni Quaranta del secolo scorso).

Nella terza fase, nei primi 300.000 anni dopo il Big Bang, luce e materia continuano a essere accoppiate: i fotoni cioè vengono continuamente emessi e assorbiti dagli atomi. Circa 380.000 anni dopo il Big Bang però, formatisi gli atomi neutri, la luce comincia a viaggiare nel buio. In questo momento avviene l’esplosione di radiazione, il cui eco fu rilevato da Penzias e Wilson nel 1965: quella che oggi si chiama radiazione di fondo cosmico (Cosmic Microwave Background radiation, o CMB), che oggi ha la temperatura di circa 2,7 gradi Kelvin. Essa costituisce un’istantanea dell’universo (fotografata dai satelliti WMAP e Planck) che porta direttamente con sé le informazioni di quel periodo primordiale, e indirettamente di quelli precedenti.

Nella quarta fase, tra settecento milioni e un miliardo di anni dopo il Big Bang cominciano a formarsi le prime stelle e galassie, producendo gli elementi più pesanti come l’azoto, l’ossigeno e il carbonio, come previsto da Fred Hoyle. Infine, nella quinta fase, circa nove miliardi di anni dopo il Big Bang, materia e gravità si combinano per formare le stelle comuni. La pressione crea calore nei nuclei stellari, innescando la fusione termonucleare: è nata una stella simile al Sole. A questo punto, getti di gas vengono espulsi, formando dischi di polveri intorno alle stelle che alla fine si condensano in sistemi di pianeti e lune.

Uno di questi addensamenti, dopo essere stato bombardato per anni da frammenti del disco di polveri solari, raggiunge una temperatura tale da permettere all’acqua di formarsi all’interno dell’atmosfera. L’acqua liquida si accumula sulla superficie del pianeta, e sotto la sua superficie avvengono complicate reazioni chimiche che danno origine alla vita, circa 10 miliardi di anni dopo il Big Bang.

13,7 miliardi di anni dopo il Big Bang l’universo osservabile ha acquistato un diametro di circa 95 miliardi di anni luce (un anno luce equivale a circa 9.460 miliardi di chilometri, pari a circa 63.241 volte la distanza Terra-Sole), il cielo è pieno di stelle, il sistema solare ha otto pianeti (Plutone è stato di recente declassato a “pianeta nano”). Il terzo di questi pianeti, pieno di vita, è la Terra.

Qualcuno si potrebbe domandare: ma cosa c’era prima del Big Bang e al di là dell’universo osservabile? Il modello inflazionario proposto da Guth si presta a numerose speculazioni, varianti e analogie cosmiche, tutte affascinanti. Tra queste varianti vale la pena di ricordare quella proposta nel 1983 dal cosmologo russo Andrej Linde con il nome di “inflazione caotica”. L’ipotesi è che l’universo prima di espandersi fosse formato da microscopiche regioni che potevano attraversare periodi di inflazione di diversa durata, a causa di valori leggermente diversi di temperatura e densità dovuti a fluttuazioni casuali. Alcune regioni si sarebbero dilatate enormemente, altre non avrebbero subito inflazione e continuerebbero a vagare in giro per il cosmo.

Se tutto va bene queste gocce, assimilabili a immense regioni dello spazio assolutamente impenetrabili, sono poste al di là dell’orizzonte degli eventi ed “evaporeranno” prima di essere a noi visibili. Inoltre anche nelle regioni che hanno subito inflazione potrebbero darsi ancora fluttuazioni casuali che darebbero luogo ad altre regioni soggette a espansione, nelle quali a loro volta potrebbero generarsi sottoregioni soggette a inflazione e così via in un indefinito “multi verso” composto da tanti universi, di cui quello a noi visibile sarebbe solo una minuscola parte. In altre parole, un cosmo nel quale sono avvenuti, stanno avvenendo e avverranno molteplici Big Bang.

Su questi scenari probabilmente siamo in procinto di capire qualcosa proprio da quanto verrà comunicato oggi dallo Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics. Ci si aspetta infatti una prima evidenza diretta dell’inflazione e le prime immagini dell’eco delle onde gravitazionali, o increspature dello spaziotempo. “Il primo tremolio del Biga Bang”, che confermerebbe la stretta connessione tra meccanica quantistica e teoria della relatività generale.

Giulio Peruzzi

Figura: Sotto l’immagine: t è il tempo (misurato in secondi, s, e anni, y, a partire dal Big Bang); T è la temperatura media dell’Universo misurata in gradi Kelvin (il cui zero è circa - 273 gradi centigradi); E è l’energia media dell’Universo espressa in giga-elettronvolt (1 eV = energia cinetica acquisita da un elettrone che passa nel vuoto attraverso una differenza di potenziale pari a 1 volt; GeV = un miliardo di eV). Sopra l’immagine: sono indicati (con le sigle, tipo LHC-Large Hadron Collider) alcuni dei principali acceleratori di particelle che hanno permesso di riprodurre in laboratorio fasi di evoluzione dell’Universo prima del disaccoppiamento materia-luce (cioè prima dei 380.000 anni dopo il Big Bang, limite delle osservazioni astronomiche con i telescopi) e i “raggi cosmici” di altissima energia (molto più alta di quella che riusciamo a ottenere con gli acceleratori di particelle). I raggi cosmici sono particelle (in larga parte protoni) e nuclei di atomi (in larga parte di elio) anche il loro studio può fornire informazioni sulla storia dell’universo. Quello che sembra oggi a portata di mano è che dall’analisi dei dati del fondo di radiazione cosmica si possano ricavare informazioni sulla fase di inflazione, quando l’energia media dell’Universo era dieci milioni di miliardi (1016) di GeV.


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