SCIENZA E RICERCA

E lucean le stelle (anche se poco)

Il cielo di tredici miliardi di anni fa, come non lo si era mai visto: questo è quello che è in grado di mostrare l’immagine Ultra Deep Field fornita dal telescopio Hubble. Si tratta della più dettagliata e profonda immagine dell’Universo mai ottenuta prima ed è basata su una serie di dati raccolti dal telescopio dal settembre 2003 al gennaio 2004, puntando su una piccola zona della costellazione della Fornace.
Hubble è in grado di mostrare nelle sue immagini stelle la cui magnitudine apparente  (che indica all’incirca quanto una stella è luminosa se osservata da un determinato punto, solitamente la Terra in condizioni di assenza di atmosfera) arriva fino a 30. Più la magnitudine di una stella è bassa più la stella appare luminosa; contando che l’occhio umano riesce a vedere stelle la cui magnitudine è tra meno uno e sei, i corpi celesti con magnitudine 30 sono decisamente tra i meno luminosi.
Pur essendo invisibili a occhio nudo e distanti miliardi di anni luce da noi, queste galassie hanno giocato un ruolo importante nella storia dell’Universo. Un gruppo di ricercatori dell’Università di Padova, in collaborazione con i colleghi dello Space Telescope Science Institute e dell’Osservatorio astronomico di Padova ha confermato che proprio questi gruppi di stelle sono essenziali per riuscire a spiegare una delle fasi più importanti della prima vita del nostro Universo dopo il Big Bang: la reionizzazzione dell’idrogeno.
Circa trecentomila anni dopo il Big Bang si sono formati gli atomi neutri (essenzialmente di idrogeno) e la luce si disaccoppia dalla materia cominciando a viaggiare nel buio. Successivamente ha inizio quella che viene chiamata Epoca della Reionizzazione, quel periodo della storia dell’universo durante il quale il mezzo intergalattico formato in prevalenza da un gas inerte e opaco venne ionizzato dall’emergere delle prime sorgenti luminose. Queste sorgenti possono essere state stelle, galassie, quasars e loro combinazioni. Studiando la reionizzazione siamo oggi in grado di ottenere un gran numero di informazioni sul processo di formazione delle strutture (cioè stelle e galassie) nell’universo. Varie ipotesi sono state fatte per spiegare questo fenomeno: inizialmente i responsabili erano stati indicati nei quasar, poi rivelatisi troppo pochi per essere sufficienti; successivamente si è trovato nelle galassie più massicce una causa più convincente. "Le galassie primordiali più luminose sono state già individuate e studiate, ma la luce da loro emessa non è sufficiente a spiegare il riscaldamento subito dall'idrogeno intergalattico nell'Universo primordiale", spiega Valentina Calvi, dottoranda in astronomia dell'università di Padova e autrice dello studio, apparso sulla rivista MNRAS. Per questo motivo da alcuni anni le principali ipotesi vedono nelle galassie più deboli il contributo mancante per giustificare la reionizzazzione. Grazie ai dati raccolti dal telescopio Hubble e al metodo matematico di analisi sviluppato dal gruppo di ricerca, è stato possibile confermare questa teoria e così  il ruolo delle galassie primordiali di bassa luminosità, congiunto nel processo di reionizzazzione che ha portato l'idrogeno  dallo stato neutro alla completa ionizzazione che osserviamo adesso. Il prossimo passo, come racconta Valentina Calvi, sarà applicare la stessa tecnica ad un altro gruppo di dati, per vedere se il risultato sia consistente oppure no”. 

Chiara Forin

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