SCIENZA E RICERCA
Tredici miliardi di anni di materia oscura

Galassia NGC 6872. Foto: Nasa
Sommate il 4,9% di materia ordinaria, il 26,8% di materia oscura, il 68,3% di energia oscura e avrete la composizione del nostro Universo. Eppure della materia oscura, che possiamo creare ma non vedere, purtroppo o per fortuna, conosciamo assai poco.
Sono numerosi quindi gli esperimenti (a terra, al Cern di Ginevra e nei Laboratori Infn del Gran Sasso, e nello spazio, a bordo della Iss) che tentano di capire quali siano le particelle che formano la “dark matter”. Hanno fatto notizia le affermazioni dei ricercatori impegnati nell’esperimento Lux (condotto nelle miniere del South Dakota) di non aver trovato alcuna evidenza delle particelle cui stavano dando la caccia. Anche se non si tratta del primo esperimento che non giunge a un risultato positivo, poiché i rivelatori sono alla ricerca di particelle talmente elusive che finora quasi nessuno è riuscito a intercettare. Ne abbiamo parlato con Antonio Masiero, professore di fisica astroparticellare e fisica teorica all’università di Padova e vice presidente dell’Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn).
L’esperimento Lux pare non aver trovato alcuna evidenza diretta del passaggio delle cosiddette Wimp (Weakly Interacting Massive Particles, che si pensa costituiscano la materia oscura) nel rivelatore allo Xenon. Si può dedurre quindi che non esistano?
Gli esperimenti come Lux sono detti di “ricerca diretta” della materia oscura. Significa che si predispongono dei bersagli, come se si dovesse osservare l’arrivo di una pallina. Quello che però si vede non è tanto il suo sopraggiungere ma solamente che il bersaglio è stato colpito dalla pallina. Nel caso della fisica delle Wimp questi bersagli sono dei nuclei – di Xenon, di Argon, di Germanio e altri materiali pesanti. La difficoltà estrema degli esperimenti sta nel fatto che queste ipotetiche particelle di materia oscura hanno interazioni deboli, come quelle dei neutrini.
Molto dipende dall’apparato utilizzato negli esperimenti, dal tipo e dalla quantità di materiale a disposizione per la rivelazione. È per questo che la prossima fase di Lux sarà mirata a questo, ad affinare la sua capacità di intercettare le particelle di materia oscura.
Qualcuno è mai riuscito a dire con sicurezza “sì, quella che abbiamo visto era una Wimp”?
Ci sono stati due esperimenti che sono riusciti ad avere un’evidenza diretta di materia oscura: uno al laboratorio del Gran Sasso (l’esperimento Dama), il secondo negli Stati Uniti, l’esperimento Cogent. Di queste due eccezioni quella italiana è molto interessante, dato che si tratta di un esperimento che cerca le Wimp, ma lo fa in modo più raffinato.
In che senso più raffinato?
La Terra ha tre tipi di movimento: uno attorno al Sole, uno su se stessa e infine un terzo di trascinamento con tutto il sistema solare. A sua volta il sistema solare si muove all’interno della galassia, spostandosi verso il suo centro. Le due velocità, di rotazione della Terra attorno al Sole e di movimento di tutto il Sistema Solare, si compongono tra loro, e danno risultati diversi a seconda della stagione nella quale ci troviamo. Se immaginiamo che tutta la galassia sia occupata da una specie di nebbia di materia oscura, allora – muovendosi attraverso questa “nebbia” – la Terra sente come un vento di materia oscura venirgli incontro. Un “flusso di materia oscura” che varia a seconda che ci si trovi in estate o in inverno: il 2 giugno è il giorno di massima intensità e il 2 dicembre quello di minima. Guardando poi agli urti a cui sono sottoposti i nuclei bersaglio utilizzati negli esperimenti, si può osservare un fenomeno detto “modulazione”, con il numero di urti che varia con continuità durante l’anno terrestre.
Ma quali sono i risultati di questi esperimenti?
Dama cerca di tracciare questo andamento, trovando la piccola percentuale di variazione di tipo stagionale e individuando particelle la cui massa è di solo alcune decine di gigaelettronvolt, ovvero alcune decine di volte la massa di un protone. Un intervallo di massa abbastanza complicato da analizzare perché le particelle di materia oscura sarebbero relativamente leggere rispetto ai nuclei bersaglio. Come quando si gioca a bocce: se quella che si lancia è piccolina, le bocce colpite non si sposteranno di molto. Dama prosegue ormai da più di un decennio ed è riuscito ad affermare con una certa sicurezza l’esistenza di questa modulazione, escludendo altre possibili sorgenti della variazione che non siano la materia oscura.
Ci sono altre teorie sulla composizione della dark matter?
Ci sono estensioni del modello teorico standard che, ad esempio, prevedono l’esistenza di particelle supersimmetriche; fra l’altro, la più leggera di queste particelle potrebbe essere proprio una delle migliori candidate. La prossima generazione di esperimenti di materia oscura, come la futura implementazione di Lux, si occuperà proprio di cercare evidenza di queste particelle supersimmetriche. Createsi nei primi istanti dell’Universo, esse hanno continuato a viaggiare per tredici miliardi di anni e sono arrivate nei nostri laboratori del Gran Sasso ad urtare i nuclei utilizzati negli esperimenti. La nostra speranza – e ambizione – sarebbe quella di creare noi stessi particelle di materia oscura. In urti simili a quelli avvenuti nei primi miliardesimi di secondo dopo il Big Bang, ricreabili in un apparato come Lhc, sarebbe forse possibile ricreare, come alchimisti moderni, queste particelle.
È quindi possibile creare la materia oscura?
La difficoltà secondo tutti i modelli non è tanto quella di riprodurre particelle di materia oscura (tanto che noi siamo convinti di averne già prodotta qualcuna), quanto piuttosto come vederle. Queste particelle infatti non lasciano tracce, perché sono neutre, stabili e interagiscono estremamente poco. Guardiamo con speranza alla possibilità di riuscire a identificarle sfruttando un fatto: grazie alla loro presenza si crea uno sbilanciamento tra l’energia iniziale, che è nota, e quella finale dopo l’urto. Dato che l’energia si traduce in massa con la creazione di nuove particelle (come è successo nella produzione del bosone di Higgs), se l’energia finale è inferiore a quella iniziale significa che c’è una particella che non si vede, ma che si è “presa” l’energia mancante.
Un ragionamento che non è nuovo: negli anni Venti, grazie al bilancio energetico, Pauli propose l’esistenza di una nuova particella, che chiamò “neutrone” (Fermi lo chiamò poi “neutrino”, nome che ancora oggi conserva). Per Pauli fu un fatto abbastanza drammatico e scrisse: “sto facendo una cosa che un fisico non dovrebbe mai fare: sto ipotizzando una cosa che non si vede e forse non si vedrà mai”. Noi adesso, con molti meno scrupoli, stiamo assumendo che questa invisibile particella supersimmetrica esista e che sia proprio lei il componente principale della materia oscura.
Chiara Forin