SOCIETÀ

Lo scontro Francia-Turchia e le ripercussioni sugli equilibri mediorientali

Lo scontro senza precedenti tra Francia e Turchia, per asprezza nei toni e spregio delle potenziali conseguenze, rischia di innescare l’ennesima miccia nel fragilissimo equilibrio mediorientale. Erdogan e Macron appaiono ormai divisi su qualsiasi fronte si affaccino come protagonisti: dalla guerra in Libia al Nagorno-Karabah, dal conflitto in Siria alla complessa partita delle trivellazioni nel Mediterraneo, tra provocazioni, minacce reciproche e, ultimamente, anche insulti personali che vanno ben oltre i limiti della grammatica diplomatica. Un’escalation che preoccupa, non poco. L’ultimo capitolo di questo braccio di ferro nasce da un recente, brutale episodio di cronaca, soltanto all’apparenza meno grave di una contesa militare. Lo scorso 16 ottobre un professore di storia e geografia, Samuel Paty, all’uscita dalla scuola dove insegnava, a Conflans-Sainte-Honorine, un piccolo comune a ridosso di Parigi, è stato aggredito in strada da un ragazzo di 18 anni, di nazionalità cecena, che l’ha decapitato con un coltello, al grido di “Allah Akbar”. La “colpa” del professore era quella di aver mostrato in classe, durante una lezione sulla libertà d’espressione, quelle stesse vignette su Maometto che innescarono la strage nella redazione del giornale satirico Charlie Hebdo, nel gennaio 2015. L’aggressore, ucciso dalla polizia, non frequentava quella scuola, ma era venuto a sapere della lezione da alcuni post sui social (secondo il New York Times due adolescenti avrebbero ricevuto 350 dollari in cambio dell’identificazione dell’insegnante, “denunciato” dal padre di una alunna). L’omicidio ha scatenato un’onda di sdegno in Francia. «Non rinunceremo alle caricature, ai disegni: continueremo a insegnare, in nome della laicità», ha dichiarato il presidente Macron, che poi ha aggiunto:  «Non parlerò dei terroristi, dei loro complici e di tutti i vigliacchi che hanno commesso e reso possibile questo attentato. Non parlerò di quelli che hanno consegnato il suo nome ai barbari. Non lo meritano». 

Stop al separatismo

Ma Macron ha fatto di più: ha disposto perquisizioni a tappeto in associazioni sospette, alla ricerca di complici dell’attentatore. Ha espulso centinaia di stranieri finiti nel mirino dell’antiterrorismo. E ha chiuso, per almeno 6 mesi, la moschea di Pantin, nel sobborgo parigino di Seine-Saint-Denis. «Dobbiamo smettere di essere naif, non c’è riconciliazione con l’Islam radicale», ha affermato il ministro dell’Interno, Gerald Darmanin. All’inizio di ottobre il presidente francese aveva annunciato un nuovo disegno di legge contro il “separatismo”, contro tutti coloro che vivono in una “società parallela contraria ai valori secolari della Repubblica francese”. Ma con un riferimento esplicito alla comunità musulmana e all’Islam, che ha definito «una religione che oggi vive una crisi in tutto il mondo». Uno dei pilastri del testo di legge, che dovrebbe essere presentato in Parlamento a dicembre, riguarda di fatto la “schedatura” di tutti gli imam che arrivano dall’estero, che riceveranno un’adeguata formazione in Francia prima di ricevere la “certificazione”. E un controllo capillare dei finanziamenti stranieri alle moschee. «Il Paese è colpito dal terrorismo islamico dal 2012 (36 attacchi gravi o molto gravi). Ci stiamo progressivamente riarmando contro questa minaccia», ha dichiarato Macron.

La risposta di Erdogan è arrivata come uno schiaffo: «Qual è il problema di questa persona con i musulmani? Macron ha bisogno di farsi curare a livello mentale», ha detto il Sultano intervenendo a un congresso del suo partito, l’Akp, in Cappadocia, e successivamente invitando al boicottaggio dei prodotti francesi. Poi ha denunciato che «l’islamofobia si sta diffondendo come una peste dei Paesi europei», sostenendo pubblicamente che «contro i musulmani si sta compiendo una campagna di linciaggio simile a quella contro gli ebrei prima della Seconda Guerra Mondiale». Il presidente turco, rivolgendosi alla cancelliera tedesca Angela Merkel, si è spinto anche oltre:  «Se voi avete libertà di religione, com’è che ci sono stati quasi cento attacchi contro moschee? Voi siete i veri fascisti, siete gli eredi dei nazisti. Demonizzando i musulmani non ci guadagnerete nulla. Il Parlamento europeo, che a ogni occasione si esprime sul nostro Paese, non può ignorare l’islamofobia».

L’Europa alza un muro contro Erdogan

«Parole inaccettabili», secondo il portavoce della cancelliera Merkel. Stesso giudizio espresso da Giuseppe Conte in un tweet scritto in francese: «Le invettive personali non aiutano l'agenda positiva che l'Ue vuole perseguire con la Turchia ma, al contrario, allontanano le soluzioni. Piena solidarietà al presidente Macron». «La Turchia sceglie le provocazioni, le azioni unilaterali nel Mediterraneo e ora le ingiurie. E' intollerabile», ha detto Charles Michel, presidente del Consiglio dell’Unione Europea. Mentre il vicepresidente della Commissione, Margaritis Schinas, è stato costretto a invocare il trattato dell’Unione Europea per rispondere al direttore delle comunicazioni del governo turco, Fahrettin Altun, che aveva accusato gli europei di attaccare «i valori sacri dei musulmani, le nostre scritture, il nostro profeta e i nostri leader politici: il nostro stile di vita. Non porgeremo l’altra guanciaquando ci insultate, ci difenderemo ad ogni costo». Macron comunque, con un gesto che non ha precedenti, ha fatto rientrare il suo ambasciatore per consultazioni. Mentre a quello turco, a Parigi, ha formalmente chiesto “moderazione nei toni”.

Con queste premesse sembra che gli spazi per un dialogo e per una rispettosa convivenza si facciano sempre più esigui. Il boicottaggio dei prodotti francesi (automobili, formaggi, cosmetici), invocato da Erdogan come risposta alle “provocazioni” di Macron, ha “esportato” lo scontro all’intero Medio Oriente, marcando ancor più nettamente i confini della divisione. Al fianco della Turchia si sono schierati Kuwait, Giordania e Qatar, dove l’Università ha annullato in fretta e furia l’evento della Settimana culturale francese. In Bangladesh 40mila persone hanno partecipato alla marcia antifrancese organizzata da un partito islamista, culminata con un manichino raffigurante Macron dato alle fiamme. Analoghe manifestazioni in Siria, in Libia, in Palestina. Al punto che il ministero degli Esteri francesi ha sentito il bisogno di esortare i paesi del Medio Oriente a impedire alle società di vendita al dettaglio di mettere in atto il boicottaggio. Lo stesso Macron ha poi scritto un tweet in arabo e in inglese nel tentativo di placare gli animi, ma senza rinunciare a ribadire: «Non torniamo indietro, mai. Rispettiamo tutte le differenze in uno spirito di pace. Non accettiamo l'incitamento all'odio e difendiamo il dibattito ragionevole». 

La strategia “perfetta”

A chi giova questo clima di tensione? Sicuramente a Erdogan: la Turchia è un paese che attraversa una drammatica crisi economica (dall’inizio dell’anno la lira turca ha perso circa il 25% rispetto al dollaro), con il suo leader che nonostante la congiuntura non perde occasione di mostrare i muscoli. Con un duplice obiettivo: da un lato per fronteggiare il calo interno dei consensi (è in forte ascesa il partito ultranazionalista Mhp, guidato da Devlet Bahceli, braccio politico dei “Lupi grigi”). E dall’altro perché la situazione attuale è funzionale all’ambizione che il Sultano coltiva da sempre: diventare leader e punto di riferimento dell’Islam sunnita. «Erdogan vuole cavalcare la rabbia della diaspora turca», sostiene il sociologo francese Olivier Roy, intervistato da Formiche.net. «Ma ci sta riuscendo solo in parte. Sta usando la leva religiosa e quella dell’immigrazione per tenere sulle spine l’Europa. Ma non riesce ancora a esercitare un’autorità morale su tutta la comunità islamica. Ha presa sui turchi, meno sugli arabi e sui pakistani».

Eppure anche Macron ha un obiettivo “interno” da cui guardarsi: le elezioni del 2022. E il pericolo di un’ulteriore avanzata della destra di Marine Le Pen. Anzi, c’è chi accusa il presidente francese di aver “esasperato” la reazione anti-islamica dopo l’ultimo attentato (episodico, non collegato a gruppi jihadisti) , proprio per togliere alla destra uno dei temi cardine, quello dell’islamismo dilagante come «un'ideologia bellicosa il cui mezzo di conquista è il terrorismo», per usare parole pronunciate dalla Le Pen. «La Francia ha scatenato un'ampia repressione contro i musulmani accusati di estremismo, compiendo dozzine di raid, giurando di chiudere i gruppi di aiuto e minacciando di espellere gli stranieri», ha scritto la scorsa settimana il New York Times. Ma il presidente francese ha anche una nuova occasione per mostrare un attivismo e una fermezza che nessun altro leader europeo riesce a esprimere, persino superiore a quella dell’Unione Europea (come avvenuto, solo per fare un esempio, in occasione dell’invasione turca delle acque territoriali di Grecia e Cipro). «La comparsa di Macron come principale antagonista di Erdogan può rafforzare l'immagine che desidera proiettare di se stesso come difensore degli interessi europei sulla scena mondiale», scrive il Washington Post. Che tirando le somme conclude: «Questa è la lotta perfetta per entrambi: Macron ed Erdogan hanno trovato il nemico ideale. Il battibecco funziona per entrambi i leader sia a livello nazionale che in termini di influenza che stanno cercando di proiettare all'estero». Un gioco comunque pericoloso: soffiare sul fuoco delle differenze, delle divisioni, soprattutto religiose, comporta un rischio altissimo.  

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