Charles Darwin (1809-1882), at age 31 in 1840 (L), age 72 in 1881 (M), age 45 in 1854 (R). Courtesy: CSU Archives / Everett Collection
Il 12 di febbraio, per chi si occupa di natura, evoluzione e di filosofia della biologia, è una data particolare: si celebra la nascita di Charles Darwin.
Il Darwin Day è un pretesto, allora, per parlare di evoluzione e dell’eredità dello studioso, a livello nazionale e internazionale.
In questo 2021 la giornata è ancor più particolare, perché si somma a un’altra ricorrenza: sono infatti i 150 anni dalla pubblicazione del volume L’Origine dell’uomo, avvenuta, appunto, nel 1871.
Nella prima edizione italiana, del 1875, Michele Lessona scriveva: “Molti che ne dicono male e taluni che ne dicono bene, non lo hanno mai letto”. Lessona ha ragione ancora ai giorni nostri: a distanza di un secolo e mezzo in molti parlano male di Darwin, ma spesso non l’hanno letto. Il primo suggerimento, allora – in occasione del Darwin Day – è proprio di leggere L’origine dell’uomo. La seconda parte del volume è dedicata alla selezione sessuale; la prima – formata da sette capitoli – parla, invece, di noi, di homo sapiens. Si racconta di come anche le facoltà superiori dell’uomo – l’intelletto, il senso del bello, la coscienza, il senso morale, i giudizi, le regole della convivenza – hanno delle gradazioni negli altri animali e – attraverso il processo di selezione naturale – si sono diversificate nelle versioni, molte diverse, ma legate da un rapporto di continuità, che troviamo negli esseri umani.
C’è una tesi particolare che vorrei consigliare: la socialità umana. Secondo Darwin, la base della socialità umana sono gli istinti sociali che troviamo pure negli animali. In particolare, lo studioso parla della simpatia (ora si direbbe empatia): patire insieme, il sentirsi parte della comunità perché capiamo le sofferenze, le intenzioni e le motivazioni dell’altro, di chi appartiene allo stesso gruppo.
Affiora qui una tesi molto importante di Darwin: la società umana è ambivalente, nata in piccoli gruppi umani, in tribù, che combattevano con altri clan. Si è creata allora una situazione strana: abbiamo imparato a essere solidali e a cooperare all’interno del nostro gruppo, facendolo diventare più coeso, organizzato e più capace di competere contro altri gruppi. Qui c’è il carattere ambivalente: siamo bravi a cooperare con chi pensiamo faccia parte della nostra stessa “fazione”, proprio perché siamo in lotta con chi non vi appartiene. In altri termini, la cooperazione e l’aggressività nascono dalla stessa logica, quella di gruppo.
Darwin spiega poi – con elementi ancora oggi in grado di farci capire molte situazioni – che nel corso dell’evoluzione questi retaggi vengono perfezionati: subentrano gli elementi culturali e simbolici. Darwin pensava che evoluzione biologica e culturale fossero intrecciate. Questo vale anche per il senso morale e di comunità. Con il passare dell’evoluzione culturale – dice Darwin – noi abbiamo imparato ad allargare questo “noi”: non è più la nostra piccola tribù, ma l’insieme di tutte quelle che costituiscono una nazione. E poi impareremo a capire che il noi vale per tutta la specie umana. E infine, saremo così bravi a capire che quel noi includerà tutti gli altri esseri viventi. Ma, realista come era, Darwin ricorda che in fondo c’è sempre una tentazione: il retaggio del tribalismo che tornerà sempre a galla. Quindi, capire che facciamo parte di un grande noi non è un fattore scontato, ma sempre minacciato. Il nostro senso di comunità universale, di conseguenza, va coltivato.