SOCIETÀ

Senegal: il Paese modello si avvita in una crisi rischiosa

Una Costituzione “calpestata”, un’elezione presidenziale rinviata a fine anno (il 15 dicembre, forse), un presidente che si avvia a diventare il primo capo di stato “illegittimo” negli oltre sessant’anni di storia del Senegal indipendente, un paese-modello per l’intero continente africano nell’applicazione e nella difesa orgogliosa della democrazia. Lo scenario è ancora confuso, in bilico tra crisi politica interna e timori di un colpo di stato mascherato: ma di certo lo strappo deciso da Macky Sall, che è al termine del suo secondo mandato (scadrà il prossimo aprile) e che non può ricandidarsi, ha mandato in fibrillazione le opposizioni scatenando la rabbia di parte della popolazione, con scontri in strada, soprattutto a Dakar, la capitale, dove la polizia antisommossa ha usato gas lacrimogeni, granate stordenti e proiettili di gomma per disperdere i manifestanti. Ma nei disordini tre persone sono rimaste uccise, tra le quali uno studente (all’interno di un campus nella città di St-Louis, sull’isola di Ndar) e un altro ragazzo, nella città meridionale di Zinguinchor. Secondo il sito Africanews, venerdì scorso «le strade di Dakar, in Senegal, sono diventate un campo di battaglia». Anche numerosi giornalisti sarebbero rimasti feriti nei disordini. La linea internet, inizialmente bloccata dal governo, è stata ripristinata dopo due giorni. Mentre è ancora sospesa, a tempo indeterminato, la licenza di trasmissione per il canale televisivo privato Walf TV«I cuori di tutti i democratici sanguinano per questa esplosione di scontri provocati dall’arresto ingiustificato del processo elettorale», ha dichiarato Khalifa Sall, socialista, leader dell’opposizione. Già l’anno scorso il presidente Macky Sall, leader del Partito Democratico Senegalese, aveva tentato di aggirare il limite dei due mandati quinquennali, ottenendo come risultato proteste e violenti scorsi (16 morti, oltre 500 feriti), culminati nelle sommosse in seguito alla condanna del leader dell’opposizione, Ousmane Sonko, accusato di “corruzione di giovani”. Molti sospettano che dietro quell’arresto ci sia proprio la mano di Sall. E ora il rinvio delle elezioni, inizialmente previste per fine mese, formalmente per via di controversie sulla formazione della lista finale dei candidati presidenziali (e per presunti e non provati episodi di corruzione all'interno dell’organo costituzionale che gestiva la lista), dalla quale erano stati esclusi una ventina di candidati. Tra questi due “big” dell’opposizione: lo stesso Ousmane Sonko, giudicato ineleggibile dal Consiglio costituzionale del Senegal, e Karim Wade, figlio dell’ex presidente senegalese Abdoulaye Wade, accusato di avere la doppia cittadinanza senegalese-francese (il che, per la Costituzione vigente, è un ostacolo alla candidatura alla presidenza). Oluwole Ojewale, analista  dell’Institute of Security Studies di Dakar, sostiene che il rinvio delle elezioni equivale, di fatto, a un tentativo di presa illegale del potere: «Modificare la legge alla vigilia di un’elezione e consentire al presidente in carica di rimanere al potere anche dopo la fine del suo mandato è un colpo di stato costituzionale», ha dichiarato alla Cnn. Estremamente critica anche l’organizzazione senegalese Azione per i Diritti Umani e l’Amicizia (ADHA): «Questa è una macchia sulla nostra lunga tradizione di democrazia».

Deputati portati via con la forza dal Parlamento

Che il presidente Macky Sall abbia, come dire, “forzato la mano” nel rinviare le elezioni sembra indiscutibile, dal momento che la Costituzione senegalese consente sì di riprogrammare il voto, ma soltanto in determinate circostanze, tra le quali “la morte e l’incapacità permanente del presidente o il ritiro dei candidati”. E mai dal 1963 , quando fu eletto il primo presidente della Repubblica del Senegal, Léopold Senghor, un’elezione era stata rinviata. L’attuale presidente, salito al potere nel 2012, si è difeso sostenendo che il paese aveva bisogno di più tempo per risolvere le controversie sulla squalifica di alcuni candidati. «Le polemiche sui candidati potrebbero danneggiare seriamente la credibilità delle elezioni creando i semi di un contenzioso pre e post-elettorale», ha spiegato Sall. Che respinge l’accusa di voler restare aggrappato al potere: «Il mio unico obiettivo è lasciare il Senegal in pace e stabilità», ha dichiarato. «Sono pronto a passare il testimone. Ma non voglio lasciare indietro un paese che potrebbe precipitare immediatamente in grandi difficoltà». Il presidente ha chiesto un dialogo nazionale, che coinvolga i gruppi della società civile, per garantire che le elezioni ritardate siano libere ed eque. Parole che l’opposizione respinge con sdegno. Anche perché il 5 febbraio scorso, in Parlamento, durante la caotica seduta che ha portato all’approvazione del disegno di legge che rinvia il voto (e che estende il mandato di Sall sine die, “fino a nuove elezioni”), sono intervenute in massa anche le forze di sicurezza che hanno rimosso, fisicamente, i deputati dell’opposizione che stavano tentando di opporsi all’approvazione della norma (infine approvata con 105 voti su 165). Una procedura che non appartiene in alcun modo alle regole della democrazia.

In molti hanno espresso “preoccupazione” per quanto sta accadendo in questi giorni in Senegal. L’ECOWAS, il più importante blocco politico ed economico dell’Africa occidentale, ha esortato i politici senegalesi a prendere misure urgenti per «ristabilire un calendario elettorale in linea con la costituzione». Il Dipartimento di Stato americano (gli Usa sono uno dei più importanti alleati internazionali del Senegal) ha dichiarato che il rinvio delle elezioni “non può essere considerato legittimo”. Anche l’Unione Europea l’ha definita “una decisione che macchia la lunga tradizione di democrazia del Senegal”. L’ong Forum Civil, sezione senegalese di Transparency International, ha dichiarato di aver rifiutato l’invito ai colloqui in segno di protesta per il ritardo delle elezioni (mentre sulla sua pagina Facebook lancia campagne contro la “presa di potere” e contro il “bavaglio alla stampa”, con l’hashtag #FreeSenegal). Anche l’agenzia di rating Standard&Poor’s ha dichiarato che l’attuale incertezza politica potrebbe avere un riflesso immediato sugli afflussi di capitali e sulla fiducia degli investitori: «Anche se non prevediamo uno scenario in cui l’attuale presidente si aggrappa al potere a tempo indeterminato, questi sviluppi probabilmente eroderanno la fiducia nella relativa forza istituzionale del Senegal».

Un errore di casting

Secondo Francis Laloupo, esperto di geopolitica africana e ricercatore associato presso l’Istituto per le Relazioni Internazionali e Strategiche (IRIS), intervistato pochi giorni fa da Le Monde, dietro lo strappo del presidente senegalese c’è altro: «Macky Sall si è trovato in una situazione in cui il candidato che ha nominato come suo successore, il suo primo ministro Amadou Ba, non ha il pieno sostegno della maggioranza presidenziale. Come se ci fosse stato un errore di casting, che il presidente ha deciso di correggere nel peggiore dei modi. La fine del suo secondo mandato è ora segnata dal disonore. Oggi in Senegal c’è molta rabbia. La gente si sente tradita. La democrazia senegalese è considerata un patrimonio collettivo e, come tale, ogni cittadino si sente ferito». Sulla stessa linea l’analisi del politologo Etienne Smith: «Stiamo assistendo a un’implosione della maggioranza, che sta usando il pretesto dell’invalidazione delle candidature per provocare una crisi e cercare di trovare un candidato diverso da Amadou Ba». Il Guardian riporta invece la testimonianza drammatica di Moma Diouf, 30 anni, attivista di un movimento di base per i diritti umani, che ben descrive il clima che si respira a Dakar a oltre una settimana dallo strappo imposto dal presidente Sall: «La polizia in borghese è dappertutto. Si vestono come civili, fingono di vendere caffè, intavolano conversazioni di politica. Poi ti accorgi che hanno chiamato gli agenti nelle vicinanze: ti portano via, ti picchiano e ti gettano in prigione a tempo indeterminato».

Ora la situazione è in una fase di pericolosissimo stallo. Che potrebbe avere conseguenze drammatiche in una regione, il Sahel (che taglia il continente africano dall’oceano Atlantico a ovest al Mar Rosso a est), sempre più turbolenta e politicamente instabile, con sei nazioni travolte da colpi di stato negli ultimi tre anni (Mali, Burkina Faso, Ciad, Niger, Guinea e Sudan), con un copione che si ripete in fotocopia: militari golpisti che sovvertono i processi democratici. A Dakar nulla del genere s’è ancora manifestato, ma l’attenzione resta altissima. «L’attuale tendenza minaccia di offuscare la reputazione del Senegal e rischia di consentire pratiche antidemocratiche da parte dei leader eletti in altri paesi dell'Africa occidentale», ha commentato Mucahid Durmaz, analista senior presso Verisk Maplecroft, una società di ricerca inglese specializzata in analisi del rischio globale. Così il Senegal, da “esempio”, da “faro della democrazia”, si è improvvisamente trasformato in fattore di rischio. «I prossimi tre mesi saranno cruciali per la traiettoria politica ed economica a lungo termine del Senegal», scrive The United States Institute of Peace (USIP), istituzione federale americana specializzata nel prevenire, mitigare e risolvere i conflitti violenti nel mondo. «Se la democrazia del paese deraglia, la sua economia e il suo tessuto sociale inizieranno a sgretolarsi e la sua situazione di sicurezza peggiorerà. Ora, come in passato, il Senegal contribuirà a plasmare il futuro del continente africano, destinato ad essere il più influente per la pace o l'agonia del nostro mondo nel prossimo secolo». L’eco della crisi senegalese è arrivato, naturalmente, anche in Italia: sabato scorso a Milano s’è svolta una manifestazione a sostegno delle opposizioni e a difesa della democrazia, con lo slogan: “Stop al golpe, vogliamo le elezioni”.

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012