Non si sono immagini di quella notte magica, così anche per il retrocopertina del disco si usano foto di repertorio del periodo
Keith Jarrett si volta verso il tecnico di palco e gli chiede di provare l’altro pianoforte, perché pensa che nella sala in cui si esibirà potrebbe suonare meglio di quello che ha appena provato. È un passaggio del documentario di Mike Dibb, The Art of Improvisation - Keith Jarrett, durante il soundcheck prima di un concerto con il trio formato assieme al contrabbasso di Gary Peacock e alla batteria di Jack DeJohnette e spiega l’importanza che per Jarrett ha sempre avuto il rapporto tra il suono e l’ambiente in cui viene prodotto per creare musica. È un indizio rivelatore che ci aiuta a capire un episodio ormai entrato nella leggenda avvenuto il 24 gennaio del 1975 a Colonia. Jarrett accetta di dare un concerto in quella città, ma a condizione che il pianoforte per l’esibizione fosse un Bösendorfer 290 Imperial, all’epoca l’unico modello al mondo a 97 tasti, contro gli 88 presenti sulle tastiere normali. Lo vuole provare, capire quali nuove possibilità espressive gli possono aprire quei 9 tasti in più.
Ma quel pianoforte, quella sera nell’Opera Haus di Colonia non c’è. Vera Brandes, la diciannovenne organizzatrice del concerto, non sa che fare. Alle 23 la sala è al completo: 1432 paganti pronti ad ascoltare il suo concerto per piano solo. Ma quel pianoforte che Jarrett ha potuto saggiare durante le prove proprio non va: non è il Bösendorfer 290 Imperial previsto dal contratto. Al suo posto c’è un altro pianoforte, quello usato per le prove del coro: i tasti non rispondono bene ed è poco adatto a riempire di note una grande sala da concerto. Jarrett è deluso: tutta quella strada per niente, ma non si può pensare di fare un concerto in quelle condizioni. Sale sulla Renault 4 che quella mattina l’ha portato lì da Zurigo, pronto a raggiungere l’albergo. Ma, mentre la pioggia riga i vetri, Brandes fa un ultimo tentativo disperato, in lacrime. La leggenda narra che a quel punto, con l’auto già in moto, Jarrett decida che avrebbe suonato, nonostante tutto.
La copertina del disco con la registrazione del concerto uscito nel novembre del 1975
Il tempo di rientrare in teatro e alle 23:30 la campanella annuncia che Jarrett sta per salire sul palco. E proprio da quella campanella Jarrett prende le prime note per iniziare il più celebre concerto per pianoforte solo della storia del jazz e la cui registrazione segnerà il record di vendite di ogni epoca per un disco di strumento solo, oltre 3 milioni e mezzo di copie, nonostante la leggenda voglia che Jarrett, in seguito, si sarebbe pentito di aver accettato di stamparlo. Che sia vero o meno, quella notte del 24 gennaio 1975 Jarrett, e a suo modo Vera Brandes, hanno fatto la storia del jazz.
Jarrett ha 29 anni e ha già vissuto un’avventura musicale che potrebbe essere sufficiente ad appagare molti musicisti. Nel 1970 è Miles Davis che lo chiama per entrare a far parte della sua nuova band, chiedendogli però di suonare soprattutto l’organo elettrico, alla ricerca di una nuova formula che inglobasse il funk nella musica del trombettista. Dopo tre anni con Davis, nel 1974 Jarrett sente il bisogno di tornare al suo amato pianoforte e di suonare quella musica che gli sgorga naturale sentendo il luogo e mettendosi in relazione con il qui e ora. Il concerto di Colonia è solo una delle tappe della tournée internazionale, tutte suonate senza un canovaccio da seguire, senza idee pronte: solo una tastiera e il pubblico, l’ispirazione del momento e il suono che si fa quasi da solo.
Il settetto di Miles Davis in cui all'inizio degli anni Settanta suonava Jarrett
E proprio quel pianoforte mal in arnese di Colonia è tanto importante in questa storia, perché lo costringe a produrre i suoni in maniera diversa. Si spiegano così le tantissime note ribattute che caratterizzano alcuni dei passaggi più noti dei 66 minuti di improvvisazione: sono un scelta poetica, ma in parte anche una costrizione data dalle condizioni al contorno. Rimarranno nella storia, assieme al coperchio del pianoforte stesso usato come percussione in altri passaggi o il celebre canto di accompagnamento in falsetto. Quest’ultima caratteristica, però, va detto subito non è un’esclusiva di Jarrett, ma di molti grandi pianisti, non solo jazz, come Glenn Gould e Radu Lupu, che hanno fatto dannare generazioni di fonici in studio. Di certo, l’enorme successo popolare del disco, ben oltre la comunità appassionata di jazz, ha fatto sì che per molte persone sia Jarrett il pianista che canticchia.
Zurigo - Colonia, solo andata
Federico Pace, in uno dei capitoli del suo Controvento, pone l’accento su un altro particolare che avrebbe contribuito a rendere unica la notte di Colonia. La sera prima Jarrett ha suonato a Zurigo e il 14 gennaio avrebbe dovuto prendere un aereo che l'avrebbe portato a Colonia in tempo per riposare qualche ora in albergo prima dell’esibizione. Ma è due notti che non dorme a causa del mal di schiena e decide di rinunciare al biglietto aereo e di coprire gli oltre 350 chilometri tra le due città a bordo di una Renault 4 a noleggio. A bordo ci sono lui, la sua prima moglie Margot Erney con il primo figlio e l’amico Manfred Eicher, fondatore dell’etichetta musicale ECM che pubblicherà oltre 60 dischi di Jarrett oltre al celebre Köln Concert. Viaggiano in uno stato di fatica che Jarrett si porta sul palco, in ua condizione liminale tra coscienza e incoscienza, veglia e trance. Se si crede nel destino, sembra un allineamento astrale che prelude a un evento unico, che è parte del fascino di questa registrazione.
La tournée in solitaria di quell’inverno non è l’unica della carriera di Jarrett, che viene da una famiglia multiculturale della Pennsylvania, dove a spingerlo a suonare musica è la mamma nata in Slovenia. Fin da bambino, Jarrett mostra un talento fuori dal comune non solo per il jazz e la canzone tradizionale americana, ma anche per la musica classica, un binomio che ha portato avanti per tutta la carriera, alternando l’attività con le sue formazioni jazzistiche a quelle di compositore ed esecutore di musica classica. Si tratta di una fatica che, come racconta in The Art of Improvisation, gli ha portato via la salute, perché portare avanti tutte e due le strade è uno sforzo troppo grande per un essere umano. Quando si ammala di sindrome da fatica cronica, interpreta l’evento come la tassa che le sue scelte artistiche hanno richiesto al suo corpo.
Jarrett con Gary Peacock e Jack DeJohnette nel 2007
Per fortuna guarisce abbastanza da tornare a suonare il pianoforte. Il primo segnale pubblico è un altro disco memorabile tra tanti i dischi memorabili che ha inciso. Si intitola The Melody at Night, with You (1998) ed è una dichiarazione d'amore per la seconda moglie. La dedica, infatti, recita: “Per Rose Anne, che ha ascoltato la musica e poi me l'ha restituita”. Registrato in solitudine nello studio casalingo, è una personalissima interpretazione di dieci ballad d’amore che Jarrett rende sublimi proprio in forza della sua fragilità. Quel disco, proprio come The Köln Concert, mostra chiaramente l’importanza che ha la naturalezza del creare musica per Jarrett. Per spiegarlo si può ricorrere a una frase di Charlie Haden, altro contrabbassista che ha condiviso più di un pezzo di percorso assieme a Jarrett: “devi approcciare la musica con la stessa naturalezza con cui respiri”.
Quel respiro, per quanto riguarda Keith Jarrett, si è interrotto nel 2018, quando ha annunciato il suo ritiro dalle scene a causa di ben due ictus che gli impediscono di suonare. Nelle dichiarazioni di quel periodo si sente chiaramente un forte dolore per non poter più fare ciò per cui si è venuti al mondo. E c’è la rabbia di chi sente una bella melodia e sa che non potrà mai più suonarla sui tasti del pianoforte. È un contrappasso crudele per qualcuno che non ha quasi passato giorno della propria esistenza senza che un po’ di musica gli sgorgasse dalle mani. Forse lo aiuteranno a fare pace con i disegni cosmici e il destino i suoi studi giovanili sui testi del mistico armeno George Gurdjieff e la sua credenza nella circolarità della vita nell’universo. Un fondamento filosofico che si rintraccia anche nel documentario di Mike Dibb, quando Jarrett stesso spiega che l’improvvisazione, per lui, è qualcosa che porta “da zero a zero”, dal nulla al nulla. Ma almeno per la notte del 24 gennaio 1975, grazie alla registrazione di Manfred Eicher, quel soffio vitale è stato intrappolato per sempre.