Come sarà l’Italia nel 2050? Una società che cambia volto
L’Italia sembra un Paese ormai avviato verso una trasformazione profonda della sua società, con un considerevole calo di popolazione e un aumento dell'età media. A dirlo sono le ultime previsioni demografiche dell’Istat, aggiornate al 1° gennaio 2024, e pubblicate nel report dell’Istituto Nazionale di Statistica uscito nell'estate del 2025.
Nel report si legge che la popolazione residente in Italia, oggi di circa 59 milioni di persone, scenderà a 54,7 milioni entro il 2050. Il calo probabilmente sarà graduale ma costante nel tempo e potrebbe arrivare a 45,8 milioni di abitanti nel 2080. Anche se il margine di incertezza resta ampio: tra il 2050 e il 2080 la forbice statistica potrebbe variare da un minimo di 39 a un massimo di 52,8 milioni di persone.
Il progetto Previsioni della popolazione e delle famiglie è in corso da oltre trent’anni, prima con cadenza occasionale e poi annuale dal 2017. Però una precisazione è d’obbligo ed è la stessa Istat a sottolineare nel report che “i dati messi a disposizione vanno trattati con cautela, soprattutto nel lungo termine. Le previsioni demografiche divengono, infatti, tanto più incerte quanto più ci si allontana dalla base di partenza, in particolar modo in piccole realtà geografiche”.
Tornando al calo demografico, a determinarlo sono almeno due fattori: il primo sono i pochi bambini che nascono, dato che in Italia il tasso di fecondità medio è di appena 1,18 figli per donna cioè ben al di sotto della cosiddetta soglia di sostituzione. Di solito, questa soglia è fissata a circa 2,1 figli per donna, il che significa che ogni donna deve avere in media almeno due figli per sostituire se stessa e il proprio partner, e per compensare le perdite demografiche (come morti premature).
L’altro fattore, ancora più determinante, è l’odierna struttura per età della popolazione italiana. Infatti, le generazioni nate durante il baby boom degli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso stanno entrando nella terza età, e il loro peso demografico è tale da “autoalimentare” il processo di invecchiamento, anche se natalità e mortalità migliorassero più di quanto previsto dall’Istat. E l’Italia non è certo sola in questa tendenza, poiché lo spopolamento interessa molti altri Paesi nel mondo, tanto che il settimanale britannico The Economist ha dedicato al tema la copertina di un numero a settembre 2025.
Una popolazione che invecchia
Sempre secondo il report dell’Istat, entro la metà di questo secolo, le persone con più di 65 anni saranno il 34,6% della popolazione italiana (erano il 24,3% nel 2024), mentre quelle nella fascia d’età compresa tra 15 e 64 anni scenderanno dal 63,5% al 54,3% perdendo circa 7,7 milioni di persone. Questa tra l’altro è la fascia d’età che può essere lavorativamente attiva, e quindi lo scenario previsto pone anche dei problemi economici oltre che demografici. In parallelo, la quota di bambini e ragazzi fino a 14 anni calerà all’11,2% scendendo di un solo punto percentuale: un dato che testimonia come la tendenza sia già in atto da tempo.
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Da oltre 15 anni infatti l’Italia affronta un ricambio naturale negativo, fenomeno alla base del calo della popolazione, anche se il saldo migratorio con l’estero è di segno positivo. Ma la contropartita è appunto solo parziale, e questa tendenza sembra consolidarsi nel futuro. Tra il 2024 e il 2080, secondo lo scenario mediano previsto dall'Istituto Nazionale di Statistica, si avrebbero complessivamente: 20,5 milioni di nascite a fronte di 43,7 milioni di decessi, e 18 milioni di persone che verranno a vivere nel nostro Paese contro 8,2 milioni di abitanti che invece lo lasceranno per andare all’estero.
Soprattutto i movimenti di persone che immigrano o emigrano saranno (e in realtà lo sono già) il motore che trasforma la popolazione italiana, non solo dal punto di vista quantitativo ma anche qualitativo, portando cambiamenti profondi nella struttura della nostra società. Anche questa è una sfida non solo demografica, ma culturale e politica che va affrontata; bisogna però sottolineare che su questi flussi pesano variabili economiche e geopolitiche molto difficili da prevedere.
Movimenti naturale e migratorio della popolazione italiana (dati in migliaia; fonte: Istat, 2025)
Guardando poi all’età media di chi vive in Italia, che oggi è di 46,6 anni: secondo lo scenario mediano previsto dall’Istat, essa salirà a 50,8 anni nel 2050 e a oltre 51 nel 2080. Colpisce soprattutto l’aumento delle persone con 85 anni e più, che raddoppieranno nel giro di trent’anni, passando dal 3,9% al 7,2% della popolazione, con punte fino all’8% nello scenario più pessimistico. Questi dati ovviamente non impattano solo sulla sanità, ma indicano un cambiamento radicale nella struttura della nostra società, nei rapporti tra le diverse generazioni e nella domanda di assistenza a lungo termine, visti i crescenti bisogni della popolazione più anziana.
La geografia dello spopolamento
L’analisi dell’Istituto Nazionale di Statistica mostra anche come Nord, Centro e Sud Italia seguiranno traiettorie demografiche leggermente diverse. Nel Mezzogiorno, che oggi ha ancora una popolazione mediamente più giovane, l’età media salirà a 51,6 anni nel 2050, superando quella del Nord (50,2) e del Centro (51,2). La Sardegna, che è già ora una delle regioni con la popolazione più anziana d’Europa, vedrà un’ulteriore accelerazione, e anche altre regioni come Molise e Basilicata confermano la tendenza al declino demografico.
Se il progressivo spopolamento interesserà tutto il territorio nazionale, nelle regioni meridionali il fenomeno sarà più significativo. Nel breve periodo (cioè fino al 2030), al Nord ci potrebbe essere un lieve ma significativo aumento annuo della popolazione (+1,1‰); mentre al Centro (-1,3‰) e soprattutto al Sud (-4,8‰) si preannuncia una netta perdita di residenti. Nel periodo intermedio (2030-2050) la popolazione diminuirà ovunque, ma di nuovo con maggiore intensità al Sud; mentre nel lungo periodo (2050-2080) il Nord potrebbe perdere circa 2,8 milioni di persone e il Mezzogiorno potrebbe ridursi di 7,9 milioni di abitanti.
Ma di nuovo il rapporto dell’Istat mette in guardia sull’incertezza che accompagna questi dati, soprattutto quelli sulle previsioni a lungo termine. Per esempio, nel Nord potrebbe essere possibile anche una leggera ma costante crescita demografica (fino a 1,1 milioni di residenti in più al 2080), mentre al Centro-Sud questa possibilità non è mai contemplata, nemmeno negli scenari più favorevoli.
Famiglie sempre più piccole
Le trasformazioni non riguardano solo i numeri assoluti ma anche le relazioni sociali. Cresceranno le famiglie “senza nuclei”, cioè che non presentano una relazione di coppia o una di tipo genitore-figlio, passando dal 39,3% al 44,3% entro il 2050. Nello stesso periodo di tempo, le famiglie composte da coppie con figli scenderanno da circa tre su dieci (28,6%) a circa una su cinque (21,4%).
Gli scioglimenti dei legami di coppia determinano poi un numero sempre crescente di individui soli e di genitori single, sia madri che padri. Queste dinamiche si riflettono anche nella dimensione familiare media, che scenderà da 2,21 componenti a 2,03 entro il 2050. Le persone sole cresceranno in valore assoluto da 9,7 a 11 milioni, con un aumento particolarmente significativo tra le donne anziane. Questo è un dato che solleva interrogativi su come garantire qualità della vita e assistenza a chi, in età avanzata, vivrà senza familiari conviventi, visto che a metà secolo il 41,1% delle famiglie sarà formata da persone sole (oggi 36,8%).
Principali tipi di famiglie (valori percentuali; fonte: Istat, 2025)
In sintesi, la popolazione dell’Italia del 2050 sarà più piccola, più vecchia e forse un po’ più sola. Il calo delle persone in età attiva e l’aumento di quelle anziane metteranno alla prova il sistema pensionistico, il mercato del lavoro e l’assistenza sanitaria. Le proiezioni Istat non offrono facili ricette ma un quadro molto chiaro: la direzione è certa, i margini di incertezza riguardano solo la velocità del cambiamento. Le politiche a sostegno della natalità, la gestione dei flussi migratori, l’inclusione sociale e il sostegno alle famiglie saranno decisive per affrontare una transizione demografica che non è più rinviabile.
Ed è proprio l’Istituto Nazionale di Statistica a suggerire che questi dati possono essere usati in molti modi: “dal campo della programmazione sanitaria a quella previdenziale, dallo studio del fabbisogno urbanistico a quello energetico-ambientale, dall’organizzazione delle strutture scolastiche alla rete dei trasporti”. I dati ci sono, serve solo la volontà politica di fare qualcosa.