SOCIETÀ
Il Congo orientale sanguina e Bruxelles conclude accordi: la realpolitik dei minerali rari

Il presente articolo è risultato del Laboratorio didattico "Giornalismo politico internazionale" coordinato dal dott. Matteo Matzuzzi (Il Foglio) e organizzato dal Corso di laurea magistrale in Relazioni internazionali e diplomazia (Responsabile scientifico: Prof. Benedetto Zaccaria). Il laboratorio è finanziato dal Dipartimento di Scienze Politiche, Giuridiche e Studi Internazionali dell'Università di Padova per l'anno accademico 2024/25.
Quella della Repubblica Democratica del Congo (RDC) si può definire una situazione di perenne instabilità e fragilità. Data la ricchezza di risorse minerarie il Paese, soggetto a continue violenze e rivalità etniche, è al centro degli interessi economici degli Stati stranieri. Un conflitto riaffiorato nei primi mesi del 2025 in una situazione di forte crisi internazionale: protagonista di tale scenario è il Movimento 23 marzo (M23), uno dei tanti gruppi di ribelli formatisi in un contesto di corruzione e sofferenza, erede dei movimenti rivoluzionari che devastarono la RDC negli anni Novanta. Nella regione dei grandi laghi gioca un ruolo importante il Ruanda, sostenitore del gruppo rivoluzionario. Le risposte internazionali non si sono fatte attendere, e tra le istituzioni dell’Unione Europea è in corso una discussione inerente alle posizioni tenute negli ultimi anni nella regione.
La guerriglia per il controllo delle risorse minerarie
La storia recente della RDC è legata alle sue due guerre. La Prima Guerra del Congo, che si è svolta tra il 1996 e il 1997, è stata un conflitto che ha coinvolto diversi gruppi ribelli e ha visto la fine del regime di Mobutu, dando inizio ad un periodo di insicurezza che avrebbe caratterizzato gli anni a venire.
La Seconda Guerra del Congo, nota anche come “Guerra Mondiale Africana’’, è stata combattuta dal 1998 al 2003 e ha coinvolto numerosi Stati del Continente, tra cui Ruanda, Uganda, Angola, Zimbabwe e Burundi. Tale guerra non è stata causata dalle sole differenze etniche ma è stata il risultato di interessi economici, dinamiche di potere regionale e della gestione strategica dei territori dell’area congolese da parte di attori esterni, con il fine ultimo di conquistare i giacimenti minerali strategici della regione.
I minerali più conosciuti sono coltan e cobalto, importanti per la costruzione di computer e cellulari. Il conflitto per la conquista di queste zone è stato caratterizzato da anni di violenze e carestie, concludendosi con un’apparente pace. Il Trattato di Pretoria del 2002, tuttavia, non ha garantito un vero e proprio periodo di distensione militare dovuto dai continui conflitti locali.
Il Paese è rimasto soggetto a brutalità e conflitti locali, specie nelle aree orientali e in particolare nella zona del Kivu, dove una nuova milizia si formò nel 2006: il Congresso Nazionale per la Difesa del Popolo (CNDP). Predecessore dell’odierno M23, si oppose al governo di Kinshasa rivendicando i diritti dei tutsi, minacciati dalle violenze delle milizie hutu. La presenza ingombrante dei ribelli fu un ostacolo per le forze armate congolesi, le quali si mostrarono incapaci di fronteggiarli.
Dopo pochi anni dalle atrocità delle due guerre in Congo la comunità internazionale ha assistito a un ulteriore fallimento delle azioni diplomatiche pacificatorie. Uno dei numerosi gruppi armati che negli ultimi anni si è maggiormente radicato nella RDC, il Movimento 23 Marzo, rappresenta oggi una delle principali fonti di tensione. Tale movimento, creatosi il 23 marzo 2009 in seguito a un accordo tra il governo congolese e il Congresso Nazionale per la Difesa del Popolo, aveva accettato di integrare le proprie milizie nell’esercito nazionale. Nonostante le clausole pattuite, gli ex combattenti decisero di armarsi nuovamente nel marzo 2012, delusi dalla mancata implementazione del patto.
Nell’arco di pochi mesi, il gruppo ribelle raggiunse diverse aree del Nord Kivu riuscendo ad occupare Goma a novembre dello stesso anno. Dopo essere stato sconfitto militarmente nel 2013 e costretto al ritiro, l’M23 trovò rifugio e supporto militare in Uganda e Ruanda. Nonostante la temporanea distensione durata quasi un decennio, nel 2021 i ribelli ripresero le ostilità. Il pretesto fu un attacco da parte dell’esercito congolese, avvenuto dopo che quest’ultimo aveva annunciato la validità della legge marziale nei territori del Nord Kivu e dell’Ituri.
Il ruolo del Ruanda e la figura di Paul Kagame
Il maggior finanziatore del M23 è il Ruanda, dal 1994 governato da Paul Kagame. La democrazia è sospesa e il potere politico e militare è in mano al partito FPR, Fronte Patriottico Ruandese, mentre i resoconti delle maggiori organizzazioni non governative internazionali raccontano di incarcerazioni di giornalisti e oppositori politici.
Nato in Ruanda da una famiglia di etnia tutsi, Kagame è cresciuto in Uganda, dove i suoi genitori erano scappati a causa delle persecuzioni compiute nel 1959 dagli hutu. Dopo un periodo di formazione alla US Command and General Staff College, scuola di formazione militare con sede in Kansas, Kagame prese il comando del FPR. L’attacco terroristico che uccise il presidente ruandese hutu Juvénal Habyarimana fu l’evento che scatenò il genocidio. Le milizie hutu uccisero 800.000 tutsi e hutu di posizioni antigovernative, causando l’esodo di 2 milioni di persone negli stati confinanti, in primis nel Congo. Kagame e le sue milizie diressero un attacco al governo hutu conquistando, nel luglio del 1994, la capitale del Ruanda, Kigali. Da allora Kagame, che nel primo governo guidato dai tutsi era Ministro della Difesa, controlla il Paese.
Dal 1994 Kagame ha agito militarmente e con determinazione nella regione, con un ruolo cruciale svolto delle sue milizie nella Prima e Seconda guerra del Congo. Sebbene gli Stati Uniti non abbiano sostenuto apertamente l'intervento ruandese in Congo, hanno fornito appoggio politico e militare al governo di Kagame, chiudendo spesso un occhio sulle attività delle sue truppe nella regione. Dopo il 2000 è emersa con maggiore forza l’importanza delle risorse minerarie localizzate nel Congo orientale, confinante con Uganda e Ruanda. Nella zona sono dunque nate milizie militari supportate dal Ruanda per salvaguardare le minoranze tutsi dalle rappresaglie hutu. Tra di esse il predecessore dell’M23.
L’approccio contraddittorio dell’Unione Europea nella regione
Il gruppo armato M23 era dunque pronto all’azione militare. La conquista è stata rapida ed efficace e oggi tiene sotto controllo un territorio la cui estensione è paragonabile al Ruanda stesso: tra il 26 e il 28 gennaio ha preso Goma, maggior centro della Regione del Nord Kivu, il 14 febbraio Bukavu, la città più importante del Sud Kivu. Queste due regioni orientali del Congo sono le più ricche di minerali rari ricercati dalle grandi potenze.
Il 13 febbraio è stata approvata una risoluzione del Parlamento dell’Unione Europea sul conflitto, nella quale viene descritta in modo dettagliato le responsabilità del Ruanda, citando prove fornite da un gruppo di esperti ONU, e sono documentate violazioni dei diritti umani tra cui stupri, esecuzioni sommarie e reclutamento di bambini-soldato. Il Parlamento ha chiesto il congelamento dell’accordo tra UE e Ruanda sulle materie prime, firmato appena un anno prima, e la sospensione di ogni aiuto finanziario o militare finché il Ruanda non cesserà il sostegno ai ribelli.
L’Unione Europea aveva infatti avviato partenariati strategici con paesi chiave per l’approvvigionamento di minerali rari, tra cui proprio il Ruanda, nel tentativo di contrastare la crescente influenza cinese nel continente africano. Pechino è il principale attore straniero nel settore minerario dell’est della RDC. Ha acquisito il controllo di miniere strategiche durante il regime di Kabila (2001-2019) in cambio di investimenti infrastrutturali e, di fatto, attraverso pratiche corruttive. Fornisce armi e droni al governo congolese ed è coinvolta indirettamente nel conflitto. La sua presenza desta preoccupazioni e ostacola gli interessi strategici occidentali, in particolare quelli degli Stati Uniti, che negli ultimi due decenni si sono progressivamente ritirati dalla regione.
All’inizio del 2024, Bruxelles ha firmato con Kigali un Memorandum d’intesa sulle catene del valore sostenibili, con l’obiettivo di garantirsi un accesso privilegiato a coltan, tantalio, stagno e terre rare. Tuttavia, secondo molti osservatori, questa scelta ha legittimato un regime autoritario accusato di violazioni internazionali. Si è schierato contro il Memorandum, nel febbraio del 2024, anche il Primo ministro del Belgio, Alexander De Croo, che nell’occasione ha dichiarato: “penso che il tempismo dell’accordo sia molto negativo e l’ho espresso chiaramente alla Commissione Europea”.
Un passaggio nella discussione tra le istituzioni europee sul tema è avvenuto il 17 settembre 2024 al Parlamento europeo. In quell’occasione l’eurodeputato francese Mounir Satouri ha criticato duramente l’accordo UE-Ruanda sulle materie prime, ricordando che le Nazioni Unite e diverse ONG internazionali accusano il Ruanda di saccheggiare sistematicamente, tramite le sue milizie, le risorse presenti nei territori congolesi occupati. Il commissario europeo per i partenariati internazionali, Jozef Síkela, ha replicato minimizzando le denunce, definendo il Ruanda “un partner principale” dell’UE e dichiarandosi pronto a esaminare eventuali violazioni. Una risposta giudicata insoddisfacente da parte di numerosi osservatori, a partire dal premio Nobel Denis Mukwege, che pochi giorni prima aveva denunciato pubblicamente il sostegno europeo al regime ruandese.
Erik Kennes, analista dell’Egmont Institute, un centro di ricerca belga indipendente specializzato in relazioni internazionali e studi strategici, ha evidenziato in un articolo di Politico come l’apparente prosperità mineraria del Ruanda sollevi forti perplessità: “Tutti sanno che solo una frazione – una proporzione indefinita – dell’export ruandese proviene effettivamente dal Ruanda stesso. La maggior parte arriva dalla Repubblica Democratica del Congo”.
Secondo Kennes l’accordo con Bruxelles non solo legittima ma di fatto formalizza questo commercio illecito. Ciò permette al Ruanda di presentarsi come centro di smistamento di minerali pur senza possedere giacimenti paragonabili a quelli congolesi.
Le azioni dell’Unione Europea appaiono talvolta incoerenti e difficili da ricondurre a una logica razionale. Dal 16 al 19 giugno 2024 il Commissario europeo per la gestione delle crisi, Janez Lenarčič, ha visitato la Kinshasa per valutare la grave crisi umanitaria provocata dai conflitti. Durante la visita ha annunciato che l'UE avrebbe fornito nel 2024 quasi 99 milioni di euro in aiuti umanitari, di cui 35 milioni ancora soggetti ad approvazione.
Lenarčič ha incontrato il presidente Tshisekedi e la premier Tuluka, sottolineando la necessità del rispetto del diritto internazionale umanitario e di un dialogo inclusivo tra RDC e Ruanda per affrontare le cause profonde del conflitto con il gruppo M23 e garantire il rispetto della sovranità territoriale della regione. A Goma ha poi visitato i progetti finanziati dall’UE per sfollati e ha elogiato il lavoro delle organizzazioni umanitarie in condizioni difficilissime.
La competizione globale per l’approvvigionamento di minerali rari, fondamentali per lo sviluppo futuro e la competitività economica delle imprese, è insomma un tassello strategico di crescente importanza nello scacchiere delle relazioni internazionali. In un contesto di crescenti violazioni e instabilità, la sfida per l’Unione Europea è però quella di riaffermare con coerenza i principi della tutela dei diritti umani.