SOCIETÀ
Emilia un anno dopo: i dimenticati del terremoto

Foto: Massimo Pistore
“E appena ti sposti di 20 chilometri non gliene frega niente del terremoto, non è successo nulla”, dice Mario Berlingeri, Novi di Modena. Un ritornello nei paesi del cratere del terremoto emiliano: a Rovereto, a Mirandola, a Cavezzo. Basta percorrere qualche chilometro dai luoghi più colpiti e la gente ha dimenticato, le persone convinte che tutto sia a posto, ognuno con un tetto sopra la testa e gli stenti dell'economia figli solo della crisi. Eppure a un anno dalle scosse del 20 e 29 maggio 2012 per molte persone il terremoto continua, con i problemi per la ricostruzione, i contributi che ancora non arrivano, la vista del paese decimato dalle demolizioni delle case danneggiate, i posti di lavoro persi nelle aziende colpite che devono licenziare e chiudere.
Oggi quasi tutte le persone coinvolte dal sisma ricevono una forma di assistenza per il sostentamento. Hanno potuto – ma anche dovuto – scegliere se essere sistemate nelle strutture messe a disposizione (prima le tende nei campi di accoglienza e gli alberghi, poi i moduli abitativi provvisori Map, fino alla sistemazione o comunque alla dichiarazione di agibilità della propria abitazione) o ricevere il Cas. Si tratta del contributo per l'autonoma sistemazione, massimo 200 euro a persona, per chi impossibilitato a stare nella propria casa perché inagibile, abbia deciso di provvedere autonomamente a una sistemazione. E quando a causa del terremoto si perde sia la casa che il lavoro, la scelta tra contributo economico o sistemazione abitativa lascia comunque senza prospettive. Perché continuare a pagare un mutuo per una casa inagibile – che è stata demolita e non si sa quando verrà ricostruita – diventa impossibile. Ma scegliendo la sistemazione, per avere un tetto sotto il quale dormire, non si riceve alcun aiuto per fronteggiare tutte le altre spese.
Al di là dell’efficienza delle misure per rispondere ai bisogni quotidiani della popolazione (c'è coscienza delle difficoltà di gestire un evento catastrofico che ha colpito una zona così ampia divisa tra tre regioni), a generare rabbia è soprattutto il fatto di non ricevere risposte chiare alle domande, come avviene nel caso delle regole sulla ricostruzione che cambiano di mese in mese. Dopo le verifiche di vigili del fuoco, protezione civile e tecnici incaricati, gli edifici che risultano danneggiati nella zona del terremoto sono circa 14.000 e 45.000 persone (circa 19.000 famiglie) hanno dovuto lasciare la propria abitazione dopo il sisma. I dati più recenti parlano di 10.000 famiglie che usufruiscono dei Cas e di 2.300 persone ospitate nei 760 Map. A fronte di questi numeri le pratiche di richiesta di contributi attualmente in corso sono 2.600 circa, di cui 600 in pagamento. Per passare all’effettiva ricostruzione i problemi da risolvere sono molti: prima di tutto c'è da distinguere tra case da demolire e case che possono essere recuperate. Una distinzione a volte sottile. Ma, difficoltà nella difficoltà, l’emergenza sembra passare proprio dalle “carte” e dal continuo susseguirsi di provvedimenti che cambiano le modalità di accesso ai contributi, alimentando il clima di insicurezza. Fino a marzo, ad esempio, poteva essere corrisposto al massimo l'80% delle spese, esponendo chi magari aveva perso il lavoro a causa del terremoto all’impossibilità di finanziare il 20% che rimaneva a suo carico. Anche dopo l’innalzamento della soglia al 100% la sensazione dominante sembra essere quella dell’incertezza. Il sintomo di una crisi di fiducia nelle istituzioni che porta a diffidare di ogni nuovo cambiamento, anche quando è positivo, perché si teme possa allungare ulteriormente i tempi.
A questo si aggiungono le situazioni legate alla specificità del territorio che ogni emergenza, però, esaspera: è il caso delle costruzioni sotto vincolo paesaggistico come delle numerose case costruite in aderenza (abitazioni con muri confinanti in comune simili a quelle a schiera), abitate da famiglie che hanno idee diverse sul da farsi. Fino all’esempio di un palazzo costruito anni fa lungo una strada ma che, in base alle leggi attuali, non potrà più essere ricostruito nello stesso luogo. Si ricomincerà allora tutto daccapo con quel terreno che verrà espropriato mentre un altro dovrà essere trovato dal comune.
“A complicare la ricostruzione è sempre la burocrazia”, sottolinea Gabriele Pivetti di Coldiretti evidenziando un'altra assurdità della ricostruzione. Tra piani regolatori antiquati, vincoli di diverso tipo applicati agli edifici, regole stringenti per ottenere i contributi, ci si trova anche a dover progettare ricostruzioni inutilmente costose e inefficienti. Come accade per i casolari di campagna, spesso molto più grandi delle effettive esigenze di chi le abita oggi, che potrebbero essere ricostruiti più in fretta e con minor spesa immaginando metrature ridotte. È così anche per le stalle crollate che la legge impone di ricostruire identiche ma, dice ancora Pivetti, “costerebbe molto meno farle secondo criteri più moderni e improntati all'efficienza”.
Stando ai dati ufficiali della Regione Emilia-Romagna sono 4.800 i dipendenti che hanno perso il lavoro a causa della chiusura di attività produttive nelle zone colpite dal terremoto. Arrivato ad aggravare gli effetti della crisi economica fino a generare un paradosso: accedere ai finanziamenti per gli imprenditori, specie se hanno basso merito di credito, infatti è quasi impossibile ma, quando il 20 dicembre 2012 lo Stato chiede il pagamento di tutte le tasse, comprese quelle arretrate dopo la sospensione dei mesi precedenti, in molti si trovano spalancate le porte per ricevere un finanziamento ad hoc. Proprio a fine aprile di quest'anno è arrivata la proroga a tutto il 2014 dello stato d'emergenza (come dei finanziamenti garantiti dallo Stato per il pagamento delle imposte), una misura indispensabile per non far sprofondare la zona colpita dal terremoto nella confusione totale.
Massimo Pistore
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