SOCIETÀ

Giustizia: aumentare la trasparenza diminuire il contenzioso

“Riforme”: parola usata, abusata e sempre ambigua – va bene qualsiasi tipo di riforma, purché sia? –; allo stesso tempo, tema su cui da anni si concentrano le attese dell’opinione pubblica. Sul filo di questo paradosso si è svolto l’intervento di Valerio Onida, giurista tra i più noti anche al grande pubblico e presidente emerito della Consulta, nel corso di un incontro organizzato dalla Scuola di cultura costituzionale.

Di giustizia negli ultimi tempi si parla meno, tanto che il tema è rimasto fuori da quelli trattati dall’ultima commissione per le riforme costituzionali durante il governo Letta. Le riforme però, intese come continuo adeguamento a una realtà mutevole, non sono oggi meno necessarie: “Le istituzioni in un certo senso sono semper reformandae – ha detto Onida –; il riformismo però non deve nascere da esigenze politiche immediate, come ad esempio la recente ondata di anti-politica, ma deve innanzitutto partire dai problemi da risolvere, alla luce dei principi scritti nella Costituzione”. La situazione attuale è nota: la giustizia oggi è percepita come una macchina lenta, capricciosa e spesso imprevedibile, su cui è sempre più difficile fare affidamento. A certificarlo ci sono, tra le altre cose, le sentenze della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, dove l’Italia ha il record di condanne, a cominciare da quelle che riguardano la durata dei processi. Una ferita per lo stesso status di cittadinanza: “La magistratura deve certamente essere competente imparziale, come richiede la sua funzione di garanzia, ma anche efficiente, perché anche la giustizia è anzitutto un servizio per i cittadini”. Ben vengano quindi tutti i provvedimenti che mirino a rendere più snelli e organizzati uffici e procedure: “La legge Severino (che tra le altre cose ha ridotto il numero degli uffici giudiziari, ndr) era ad esempio buona, ma purtroppo sta trovando molte resistenze di tipo particolaristico a livello locale”.

Nella situazione attuale anche i magistrati hanno una parte di responsabilità e Valerio Onida, che attualmente è anche presidente della Scuola superiore della magistratura, non ha difficoltà ad ammetterlo: “Troppo spesso la magistratura appare autoreferenziale e corporativa, a cominciare dal Csm (l’organo di autogoverno che decide anche sulle carriere e i procedimenti disciplinari, ndr). Bisogna riconoscere che oggi questo è un problema, certo non facile da risolvere ma di cui bisogna parlare”. Così come anche delle accuse di politicizzazione: “Scegliere la carriera politica è un diritto, ma in certi casi ha l’effetto di screditare tutta la magistratura”. D’altra parte anche i problemi organizzativi non possono costituire un alibi: “Certamente alcuni organici rimangono scoperti, ma negli ultimi anni sono stati anche assunti 1.000 nuovi magistrati, che hanno portato il numero dei togati a circa 9.440. Il problema semmai è la mancanza dei cancellieri e del personale amministrativo”.

Grave è la situazioni del processo civile, caratterizzato dalla cronica lunghezza delle procedure, mentre in quello penale è stridente il contrasto tra la fase del dibattimento – caratterizzata dopo la riforma del 1988 da un forte garantismo a livello teorico – e quella delle indagini preliminari, che con il sistema attuale possono prolungarsi per anni. “Le indagini possono produrre gravi effetti sulla vita delle persone: dalle intercettazioni alla custodia cautelare – ha spiegato Onida –. Se i tempi e i mezzi a disposizione dei Pm si espandono troppo, c’è il pericolo che l’essere sottoposto a procedimento diventi una punizione in sé e non più solo un mezzo per assicurare la giustizia”. Paradossalmente poi, una volta arrivati al processo, tanti procedimenti sono destinati a spegnersi per prescrizione: spesso dopo anni di carte, udienze e quindi anche di spese. Un capitolo a parte è il carcere: “Oggi l’esecuzione della pena varia troppo da istituto a istituto, e difficilmente risponde alle aspettative e ai fini stabiliti dalla Costituzione. Una situazione grave, a cui ancora una volta la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ci ha imposto di trovare una soluzione entro il prossimo mese maggio”.

Nessuna scusa quindi: i problemi sono molti e gravi. Guai però, secondo Onida, a cercare soluzioni ‘di pancia’, non basate su un’analisi precisa della situazione e degli obiettivi: “Si può ad esempio parlare di separazione delle carriere, oppure di dare alla sezione disciplinare all’interno del Csm una maggiore autonomia. L’obiettivo però non può essere quello di rendere i pubblici ministeri meno indipendenti rispetto al potere esecutivo”. Le riforme che però avrebbero un maggiore impatto non sono però, secondo il giurista, quelle che incidono direttamente sull’ordinamento giudiziario. “Ad esempio aumentando la trasparenza e l’efficienza della pubblica amministrazione diminuirebbe il contenzioso, portando una maggiore efficienza a tutto il sistema. Così come va deflazionato anche il processo civile: l’istituto della mediazione civile però, introdotto nel 2010, è stato osteggiato da più parti. Ci vorrebbe infine una riforma della professione forense, che oggi arriva a contare circa 220.000 avvocati”. Ma il problema è rappresentato sopratutto dal caos legislativo, con norme via via sempre più numerose, complesse e meno chiare: “Se la legge è sempre più difficile da applicare viene meno anche il principio di legalità e si dà spazio all’arbitrio”. Un aiuto a questo riguardo potrebbe venire dalla fine del bicameralismo perfetto? “Un procedimento legislativo più snello può essere miglioramento. Per quello però forse basterebbe anche una semplice riforma dei regolamenti parlamentari”. 

Daniele Mont D’Arpizio

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