SOCIETÀ
Da ingegneria all'Esa, sognando da astronauta

Il centro controllo missioni dell'Esa. Credit: DLR
“Houston, abbiamo un problema”. Li abbiamo sempre immaginati così: da una parte i nostri eroi in tuta da astronauta, dall’altra il centro di controllo popolato da personificazioni dell’estetica nerd. La realtà però è spesso diversa dalla narrazione che ne facciamo: quello in un centro di controllo è un lavoro ad alto concentrato di tecnologia e di stress e comporta responsabilità enormi sulla sicurezza degli astronauti e la riuscita della missione. In tutto il mondo ci sono attualmente appena un centinaio di persone in grado di seguire da terra missioni spaziali con equipaggio umano e in tutta Europa è attivo un solo centro: il Columbus Control Centre di Monaco di Baviera, dove dallo scorso settembre è andato a lavorare Andrea Campa, ingegnere padovano di 28 anni selezionato per la missione Columbus (relativa a un modulo europeo nella stazione spaziale internazionale).
“Da terra la missione deve essere costantemente seguita da almeno due persone – spiega Campa al Bo – il direttore di volo (Flight Director) è il responsabile finale delle decisioni mentre il cosiddetto Stratos, la posizione per cui sono formato, controlla i parametri e ha materialmente le mani sui controlli di bordo”. Non si tratta di mansioni esclusivamente esecutive: “Se c’è un problema o un’emergenza sono io che devo risolverli. Seguo costantemente su 12 schermi i valori di tutti componenti del modulo, compresi i computer, l’impianto di condizionamento, le pompe dell’acqua e ovviamente le funzioni vitali degli astronauti”. Perché non si tratta semplicemente di un satellite: dentro una stazione orbitale ci sono esseri umani e può accadere di tutto, da un focolaio di incendio alla fuoriuscita di sostanze tossiche. Ad esempio l’ammoniaca, ancora utilizzata per il raffreddamento di diversi moduli.
L’unica soluzione in queste situazioni è essere rapidi e soprattutto competenti: per questo prima di misurare il proprio valore sul campo bisogna imparare praticamente a memoria tutti i manuali, i programmi e i linguaggi informatici di tutti i sistemi a bordo, oltre alle caratteristiche di ogni singolo componente. Una formazione di mesi accompagnata da centinaia di ore nei simulatori per imparare a mantenere la lucidità nelle condizioni più estreme.Cosa non sempre facile, lavorando in 10 persone su turni di 9 ore: “Una volta in console c’erano tre persone, oggi devo tenere tutto sotto controllo da solo. Ce la facciamo lo stesso ma è molto stressante. La paga? Buona ma assolutamente in linea con quella di un ingegnere in Germania”. E allora perché lo fai? “Fin da bambino sono affascinato dal volo umano interspaziale... E alle prossime selezioni per astronauti voglio presentarmi anch’io”.
Un sogno seguito con tenacia da Andrea fin da bambino e maturato anche attraverso esperienze come Il cielo come laboratorio, un’iniziativa per le scuole superiori organizzata dall’università di Padova presso l’osservatorio di Asiago. È in quest’ottica che dopo la maturità scientifica Campa si iscrive a Padova alla triennale di ingegneria aerospaziale, portata a casa con un ottimo 105. Il passo successivo è la laurea magistrale (specializzazione in meccanica orbitale) all’Isae-Supareo di Tolosa, uno dei centri europei di formazione e ricerca in ambito aerospaziale, dove Campa viene selezionato sulla base del curriculum e delle referenze assieme ad altri 14 ragazzi provenienti da tutta Europa.
“In Italia abbiamo un preparazione teorica incredibile ma ci manca un po’ di pratica: per questo ho cercato di costruirmi un percorso per unire entrambe le cose. In Francia ho preso più della metà dei miei crediti formativi sulla base di progetti e stage”. Fondamentale è stata soprattutto l’Internship per la tesi: 8 mesi a Darmstadt, in un grande centro di controllo per i satelliti. Nel 2013 Campa torna a Tolosa e si laurea, e dopo 15 giorni inizia a lavorare al CNES, l’agenzia spaziale francese. La tesi di laurea è stata pubblicata e oggi viene utilizzata dall’Esa per i calcoli sui trasferimenti orbitali a bassa propulsione, su cui in futuro si vogliono sperimentare dei motori meno potenti o addirittura elettrici.
In Francia Campa all’inizio lavora all’ATV-5 (il veicolo ESA che ha rifornito l’International Space Station dal 2008 al 2015); dopo la conclusione del programma il passaggio in Germania: “Volevo occuparmi di Human Spaceflight, e l’unica missione in Europa era Columbus”. Solita trafila con curriculum, lettera di motivazione e referenze, seguita dal colloquio con i manager dell’agenzia spaziale tedesca. Oggi, dopo mesi di studio e di simulazioni, Andrea, è pronto a iniziare il servizio effettivo, primo dei suoi compagni ad aver concluso il percorso con successo: manca solo un ultimo periodo di formazione al centro Nasa di Houston, dove andrà la settimana prossima.
Nel team dove lavora Andrea ci sono altri due italiani: è proprio difficile provare a fare questo lavoro nel nostro Paese? “In Italia ho provato a cercare ma non ho trovato cose interessanti. Nei siti delle altre agenzie spaziali c’è una lista delle missioni, basta cliccare e ti candidi direttamente per quella che ti interessa. In Italia trovavo solo concorsi generici per ‘entrare’ nell’ente; inoltre da noi i salari sono sottodimensionati. Io poi volevo lavorare con gli astronauti, quindi la mia scelta è stata obbligata”.
Oggi il futuro è collegato alla missione Columbus, che si concluderà nel 2020 oppure nel 2024, a seconda degli accordi tra le agenzie spaziali e l’avanzamento dei programmi alternativi. Intanto Andrea si tiene in forma e si prepara per le selezioni da astronauta. Per il momento ha già assaggiato l’assenza di gravità: “In Francia durante l’università ho vinto un concorso nazionale con un progetto di ricerca su trasferimenti quasi-balistici verso i punti di equilibrio Lagrangiani. Il premio era un volo parabolico, il cui biglietto costa normalmente circa 6.000 euro: un’esperienza che mi ha motivato ancora di più”. Per volare sulla navetta però non bisogna essere militari o almeno piloti? “Ci sono anche astronauti che hanno fatto un percorso simile al mio, come Umberto Guidoni (nel 2001 primo astronauta europeo sulla ISS, ndr)”. E se non andrà? “È un sogno: se arriva arriva, non è una fissa. Ho tanti altri interessi: lo sport, il disegno, in Francia suonavo in due band. Poi continuerò a lavorare alle missioni da terra, finché la passione mi spinge. Ma solo dopo aver prima provato a salire su quella navetta".
Daniele Mont D’Arpizio
Andrea Campa durante la sua esperienza di volo a zero gravità