SOCIETÀ
Il ragazzo che sognava di raccontare storie

Istanbul, giugno 2013. Proteste in piazza Taksim. Foto: Riccardo Venturi/contrasto
L’ultimo tassello è la sentenza ‘Ergenekon’ di pochi giorni fa, che ha portato a pesanti condanne per 275 fra militari, uomini d'affari, giornalisti, intellettuali e oppositori politici. Tra loro è stato condannato all’ergastolo anche Ilker Basburg, fino al 2010 capo di stato maggiore dell’esercito di Ankara. Una parte importantissima di quell’intellighenzia laica che ha governato la Turchia per quasi 80 anni, condannata in blocco per aver ordito – a detta dei giudici – un colpo di stato ai danni del premier Recep Tayyip Erdoğan.
Oggi però sono in molti a paventare una deriva autoritaria proprio da parte del "Partito per la giustizia e lo sviluppo" (in turco Adalet ve Kalkınma Partisi, Akp), che in 10 anni di governo sembra aver preso un controllo sempre più stretto della società turca. Un brutto colpo per chi, come Erdoğan, ha tentato per anni di accreditarsi, nei confronti sia dell’opinione pubblica interna che delle cancellerie internazionali, come leader moderato.
Va forse inquadrato in questo contesto il fermo a cui è stato sottoposto Mattia Cacciatori, ventiquattrenne fotografo veronese (vive a San Giovanni Lupatoto) arrestato dalla polizia all’inizio di luglio e rimpatriato in Italia dopo due giorni. “Stavo seguendo una manifestazione del movimento #occupygezi – ricorda oggi Cacciatori – Ero lì con l’attrezzatura, gli accrediti per la stampa bene in vista, quando hanno iniziato a sparare i lacrimogeni. Sono scappato in una via laterale; poi però il filtro della mia maschera antigas non ha retto e ho iniziato a vomitare e a tremare, fino a quando sono stato fermato dalla polizia”.
Un’esperienza che pareva essersi conclusa: “Temevo la prigione, ma le guardie non sono state brutali e l’ambiente era tutto sommato vivibile. Il consolato italiano poi mi è stato molto vicino”. Due settimane dopo il ritorno in Italia però arriva la brutta notizia: “l’avvocato turco che ha seguito il mio caso mi ha avvertito di un procedimento aperto a mio carico. Rischio da uno a sette anni di carcere: sono accusato di aver partecipato a una manifestazione non autorizzata e di resistenza a pubblico ufficiale. Non hanno prove ma può succedere di tutto: potrebbero addirittura decidere accusarmi di terrorismo”. Mattia per il momento non pensa di presentarsi al processo in Turchia: “Sarò rappresentato nelle udienze dal mio avvocato: ho paura che, presentandomi personalmente, potrei essere di nuovo arrestato. Un rappresentante dell’Interpol mi ha detto che comunque la sentenza difficilmente sarà eseguibile in Italia”.
Mattia ha deciso da solo di andare in Turchia: “Ho cercato un contatto tramite Facebook, trovando una studentessa italiana che stava finendo l’Erasmus a Istanbul. Una volta lì ho iniziato frequentare i posti dove c’era gente, in cerca di storie da raccontare”. Che impressione hai avuto del movimento di protesta? “Quella di una realtà molto eterogenea, dove si può trovare dallo studente all’avvocatessa, dal musulmano osservante al musicista. Pur divisi tra le varie componenti, continuano a riunirsi in forum nelle piazze”. Quali sono gli obiettivi? “Tutti mi hanno detto che erano lì non solo per salvare gli alberi, ma per la libertà e la democrazia, per un’informazione libera da censura e il rispetto dei diritti delle minoranze”.
“Non direi che per il momento siamo di fronte a una nuova ‘primavera’ mediorientale – continua Cacciatori – Nelle piazze non si parla ancora di rivoluzione, se non pacifica: l’impressione è che non si voglia rovesciare il governo, ma semplicemente farsi ascoltare”. Intanto la situazione in Turchia rimane pesante: “Non c’è libertà di parola e di manifestazione: ormai siamo più vicini al sultanato ottomano che a una repubblica democratica”. Erdoğan però è stato eletto democraticamente. “Le democrazie si basano anche sulla libertà di parola e di manifestazione, oltre che sul diritto delle minoranze di esprimersi. Oggi in Turchia questo non c’è”.
Nel suo percorso umano e professionale Mattia Cacciatori, oltre alla fotografia e al reportage, ha coltivato anche gli studi: l’anno scorso si è infatti laureato a Padova in Cooperazione allo sviluppo: “Ho scelto questa laurea perché mi avvicinava ai popoli e alle persone che volevo capire e documentare, oltre a insegnarmi a conoscere e a collaborare con gli enti internazionali e le Ong”. Mattia ha anche viaggiato molto: “Il primo itinerario importante è stato in Mongolia, sempre con lo zaino in spalla e la macchina fotografica; poi ci sono stati il Kenya, la Tanzania e l’Ecuador, dove ho fatto il tirocinio per la laurea”. Cacciatori è stato anche a Gaza, in Israele e in Palestina, oltre che nel campo di profughi siriani di Za’atari, in Giordania. Sempre alternando i viaggi con il lavoro, perché oggi è difficile vivere con i fotoreportage: “Ho aperto uno studio fotografico a Verona, dove lavoro soprattutto su moda e advertising, qualche matrimonio. Sono anche cameraman e giro video pubblicitari; insieme ad altri giovani presto fonderemo un’agenzia. I soldi che risparmio li spendo per girare il mondo in cerca di storie da raccontare”. Perché lo fai? “Non lo so. Forse per contribuire a dare voce a chi non riesce a farsi ascoltare. Seguo in particolare i conflitti in Medio Oriente e presto, se riuscirò ad averne la possibilità, andrò anche in prima linea. Ognuno ha un sogno, a me piace fotografare e raccontare storie”.
Daniele Mont D’Arpizio