SCIENZA E RICERCA

La storia di Natasha Raikhel: migrante, superstite e pioniere

È sopravvissuta a un incidente aereo. È sopravvissuta al cancro. Fino a 19 anni era convinta sarebbe diventata una pianista professionista, ma pochi mesi prima di ottenere il diploma abbandonò la carriera da musicista e iniziò a studiare la biologia, giorno e notte, per entrare all'università. Nel 1978 a 30 anni la vita le regala una seconda possibilità: superstite da un disastro aereo, con il marito e il primo figlio abbandona per sempre l'Unione Sovietica e si trasferisce negli Stati Uniti, in Georgia. Nel 2001 viene chiamata dall'università della California a Riverside per fondare il Center for Plant Cell Biology, che ha diretto fino a pochi anni fa, portandolo a essere uno dei centri di biologia cellulare vegetale più importanti al mondo. È diventata membro della National Academy of Science, di numerosi board editoriali di riviste scientifiche e di organi consultivi. Oggi Natasha Raikhel a 71 anni sente di voler tornare alla musica e all'arte, che non l'hanno mai abbandonata nel corso della vita. Professoressa emerita di biologia cellulare delle piante all'università della California a Riverside, è stata ospite del dipartimento di biologia dell'università di Padova lo scorso ottobre. Adora l'Italia e ha un rapporto difficile con il suo Paese d'origine. Si sente cittadina del mondo e a differenza delle sue piante non ama mettere radici.

Lei è letteralmente sopravvissuta alle avversità che la vita le ha posto di fronte, persino a un incidente aereo.

Molte persone sono morte in quell'incidente aereo, noi no, abbiamo avuto una seconda possibilità. L'aereo era decollato da Baku, Azerbaijan, e cadde tra Mosca e Leningrado in un campo di patate. Non avevano riempito un serbatoio del carburante, i piloti russi non avevano controllato, giocavano a carte. Quando se ne resero conto era troppo tardi. Iniziammo a perdere velocità e a precipitare. Fu un'esperienza devastante, eravamo con nostro figlio piccolo di tre anni. Avevo solo 30 anni e volevo vivere! Quando impattammo al suolo l'aereo si spezzò in due, le persone che erano sedute nella parte posteriore dell'aereo morirono bruciate. Alex, mio marito, riuscì ad aprire lo sportello e mi disse di saltare. All'inizio non ce la facevo, poi saltammo e corremmo lontano, in quel campo di patate. Da quella volta mi siedo sempre nelle prime file.

Questa esperienza giocò un ruolo decisivo nella sua decisione di lasciare l'Unione Sovietica?

Mio padre era appena mancato, era da un po' che io e mio marito pensavamo di andarcene; l'incidente aereo fu la goccia che fece traboccare il vaso. Il mio professore mi disse: 'Natasha, hai tutto, lavori alla Russian Academy of Science, vivi in centro a Leningrado, non sopravviveresti negli Stati Uniti, ti troveresti a vendere giornali per strada!'. Non mi interessava, non mi piaceva il Paese, non mi piaceva il sistema, Leningrado era una città bellissima, avevamo amici e parenti, ma volevo provare qualcosa di diverso, non riuscivo più a stare là. Volevo dare a mio figlio un'opportunità di vivere una vita diversa.

Quando arrivai negli Stati Uniti dovetti ricominciare la mia vita e la mia carriera da capo Natasha Raikhel

Come fu l'arrivo negli Stati Uniti?

La Russia non mi piaceva e come ebrea avevo una possibilità di andarmene legalmente.Prima di ottenere l'epsatrio passammo 2 settimane a Vienna e 3 mesi a Roma, a Ladispoli. Mio marito lavorava come traduttore per una compagnia ebrea che aiutava le persone a redigere i documenti per emigrare. Così riuscimmo a ottenere un po' di soldi per viaggiare e visitammo Firenze, e Venezia. L'Italia era fantastica per noi, ma i tempi duri iniziarono quando arrivammo negli Stati Uniti, era un Paese molto diverso, dovetti adattarmi e all'inizio fu uno shock. In Georgia l'estate era calda e umida, per mia madre abituata al clima di Leningrado fu davvero dura.

Quando arrivai negli Stati Uniti dovetti ricominciare la mia vita e la mia carriera da capo e lo stesso valeva per mio marito. Il primo anno negli Stati Unitilavorai in un dipartimento di zoologia, facevo la stessa cosa che facevo in Russia ma su specie diverse. In Russia studiavo organismi unicellulari, ciliati, era una scienza descrittiva, come era gran parte della biologia cellulare a quei tempi, anche nel resto del mondo e lo stesso valeva per la microscopia. Mi venne offerto un post-doc lì e mi indirizzai verso la genetica. Dopo 7 anni mi spostai in Michigan, al Plant Research Laboratory, dove mi venne offerta la posizione di Assistant Professor. Adorai quell'ambiente, era così internazionale, mi sentivo a casa.

Lei è un'immigrata, una parola che oggi viene usata con un'accezione spesso dispregiativa. Cosa ne pensa del modo in cui oggi si trattano gli immigrati?

Gli Stati Uniti sono un Paese di immigrati, hanno costruito su questo la loro fortuna. Appena arrivati noi eravamo i soli cittadini russi e volevamo integrarci nella cultura statunitense. Quando sono emigrata io non era così dura come è oggi, noi eravamo fortunati, eravamo giovani ed entrambi con un alto livello di istruzione. Penso sia terribile il modo in cui stiamo trattando gli immigrati oggi.

Come ha deciso di diventare una scienziata?

A 19 anni stavo per diplomarmi in pianoforte. Una volta diplomata non avrei potuto cambiare strada, sarei dovuta diventare una pianista professionista. E una mia maestra concertista mi disse: 'sembri una ragazza in gamba, vorrai insegnare pianoforte un giorno?' Insegnare? Io? Certo che no. Io voglio suonare! 'E pensi davvero di avere quello che serve per diventare la migliore tra milioni di musicisti?'. Oggi quando un mio post-doc si lamenta per via della competizione in accademia io gli dico: 'dolcezza, tu non hai idea di cosa sia davvero la competizione!'.

Iniziai a capire che sì ero brava, ma non ero la migliore tra milioni di musicisti. Tutti alla scuola di musica mi dicevano che ero bravissima, ma è importante essere onesti con se stessi. Da giovani magari si pensa di essere fantastici, capaci di tutto, ma è molto difficile a quell'età avere una percezione oggettiva della realtà. Sono estremamente grata a quella donna. Bisogna essere onesti con le persone, perché solo così ti saranno sempre grati sul lungo periodo. E lo stesso bisogna fare da professori con gli studenti, non ha senso illudere un dottorando o un post-doc solo perché tu professore hai bisogno di più forza lavoro in laboratorio...

Il mondo è splendido e ci sono un sacco di cose che si possono fare, se sei una persona ambiziosa devi essere onesto con te stesso. Devi capire veramente per cosa sei fatto, non nasconderti dietro alibi del tipo 'mia madre pensa che questo sia meglio per me...'.

Se sei una persona ambiziosa devi essere onesto con te stesso Natasha Raikhel

Quindi la più grande critica mai ricevuta si è trasformata nel miglior consiglio che potesse ricevere?

Piansi come una matta allora e non sono una che piange di solito. Suonavo ore e ore ogni giorno. Ma capii che quello era il momento. Vorrei poter incontrare quella donna di nuovo e ringraziarla dal profondo del mio cuore per l'onestà che mi ha riservato. Lasciai la scuola di musica pochi mesi prima di diplomarmi. Lavorai come maestra di musica per guadagnare un po' di soldi e pagarmi un insegnante di scienze per recuperare quello che non sapevo. Alla scuola di musica non avevamo fatto molta biologia e chimica. Riuscii a entrare all'università, ma all'inizio fu davvero dura, dovevo lavorare il doppio dei miei colleghi che provenivano da scuole con specializzazione scientifica. Ma la musica mi aveva insegnato molta disciplina, potevo lavorare anche 3 giorni di fila, facendo esperimenti di notte. Oltre a farmi capire molte cose della vita la musica mi ha insegnato anche questo rigore, questa organizzazione, questa disciplina.

La musica e l'arte continuano a giocare un ruolo importante nella sua vita?

La musica mi sostiene, ancora oggi. Visito musei, vado a concerti e non potrei vivere senza l'arte. Ora che sono in pensione mi piacerebbe portare la musica e l'arte ai giovani. Sto lavorando a un progetto, in Cina, dove abbiamo invitato musicisti classici cinesi per farli suonare musica classica occidentale. Molti scienziati spesso sono troppo impegnati e dicono di non avere tempo di esporsi alla bellezza dell'arte. Io sono letteralmente sopravvissuta a molte cose e penso profondamente che la musica e l'arte mi abbiano aiutato a rendere bella la mia vita. La musica mi aiuta a tenere la mia mente aperta e pensare criticamente. È essenziale che ai bambini vengano insegnate l'arte e la scienza sin da piccoli, senza che debbano per questo diventare musicisti o scienziati. Semplicemente questo permetterà loro di capire molte più cose della vita.

Nel 2001 fu chiamata per fondare il Center for Plant Cell Biology a Riverside.

Sì in California. All'epoca ricordo che non volevo spostarmi, non volevo cambiare. Ma oggi dico ai giovani: il cambiamento fa bene, ti stimola, ti motiva. Mi offrirono di costruire questo centro, mi diedero un po' di soldi per cominciare e poi siamo cresciuti molto bene. Quando arrivammo c'erano solo uno o due membri della National Academy of Science, ora nel mio istituto ci sono 4 donne membri della National Academy of Science, è l'unico centro di ricerca ad avere 4 donne, né Harvard né Princeton ce le hanno. In totale abbiamo 7 persone membri della Nas. Quando sono arrivata negli Stati Uniti volevo diventare una scienziata con un posto in un'università, niente di più, non avrei mai immaginato di arrivare dove sono arrivata. Ma se mi chiedi quale sia la cosa più importante che ho fatto nella mia vita, ti rispondo i miei figli.

Io sono letteralmente sopravvissuta a molte cose e penso profondamente che la musica e l'arte mi abbiano aiutato a rendere bella la mia vita Natasha Raikhel

Un bilancio davvero positivo dopo tutto quello che ha attraversato.

Ho affrontato diversi seri cambiamenti nel corso della mia vita. Il primo a 19 anni, quando ho lasciato la carriera da pianista. A 30 quando me ne sono andata dall'Unione Sovietica. Ne ho fatto un altro a 45 anni. Ho avuto un cancro e molti problemi personali da risolvere. E ora che ho costruito quest'istituto a 71 anni mi rendo conto che ho bisogno di qualcosa di nuovo, di diverso. Credo profondamente nel nostro istituto e abbiamo ora una nuova eccellente direttrice, Julia Bailey Serres. Penso sia uno dei migliori centri di ricerca nel nostro Paese.

Ora voglio dare qualcosa ai ragazzi giovani, dicendo loro di non arrendersi, mai. Io sono arrivata negli Stati Uniti con 25 dollari. Nonostante tutto è sempre possibile sopravvivere ed essere estremamente positivi nei confronti della vita. Oggi voglio tornare alla musica e all'arte, portandola anche ai giovani.

Torna mai a San Pietroburgo?

Una volta ho fatto una presentazione, mi piace molto San Pietroburgo, ma ho una relazione difficile con quel Paese. Mi sento una cittadina del mondo. Però mi trovo benissimo in Italia, la adoro, non c'è stato mai un anno della mia vita in cui non sono venuta in Italia.

POTREBBE INTERESSARTI

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012