SCIENZA E RICERCA
Rilanciare la ricerca in Europa: il piano ventennale dei Lincei e ReBrain Europe

La ricerca statunitense continua a dover far fronte ai tagli e ai licenziamenti dell’amministrazione Trump. La National Science Foundation (NSF) nella seconda metà di aprile ha comunicato lo stop all’erogazione di fondi già assegnati a centinaia di ricercatori. I filoni maggiormente colpiti sono sempre quelli che contengono qualche riferimento a diversità, equità e inclusione (DEI), ma questa volta sembra che anche progetti di ricerca sulla “biodiversità” sono rimasti impigliati nella rete a strascico dei tagli. Un’altra novità è che sono stati bloccati i fondi anche a un progetto incentrato sullo studio dei rapporti tra “misinformazione” e Intelligenza Artificiale.
La conseguenza è che la volontà di ricercatori e ricercatrici di andarsene dagli Stati Uniti, fino ad ora solo espressa in un sondaggio condotto dalla rivista Nature, si sta trasformando in azione. Da gennaio a marzo di quest’anno, rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, il numero di ricercatori e ricercatrici che ha fatto domanda per andarsene dagli Stati Uniti è aumentato del 32%. Il dato emerge da un’analisi fatta sempre da Nature su una piattaforma che gestisce (Nature Careers), dove vengono pubblicizzati lavori in ambito accademico a livello internazionale.
L’Europa può essere una delle destinazioni favorite dai cervelli in fuga da oltre l’Atlantico, a patto che sia in grado di mettere sul piatto offerte attrattive per chi è abituato a infrastrutture e strumentazioni di ricerca all’avanguardia. In questo senso, la misura di quanto un Paese europeo risulta attrattivo può essere data dalla percentuale di Pil che quel Paese investe in ricerca e sviluppo (intensità R&D, pubblica e privata).
Andando a vedere i dati Eurostat relativi al 2023, emerge una forte disomogeneità. Sei Paesi raggiungono o addirittura superano il 3% di intensità R&D: Svezia (3,57%), Belgio (3,32%), Austria (3,29%), Germania (3,11%), Finlandia (3,09%) e Danimarca (2,99%). Otto Paesi invece investono circa l’1% o meno: Lituania (1,05%), Slovacchia (1,04%), Lussemburgo (1,03%), Lettonia (0,83%), Bulgaria (0,79%), Cipro (0,68%), Malta (0,61%) e Romania (0,52%). L’Italia, con l’1,31%, è il primo Paese sopra il gruppo dei peggiori otto, preceduta dall’Ungheria, con l’1,39%.

Intensità R&D pubblica e privata per Paese. Eurostat
Complessivamente la media dell’Unione Europea si assesta al 2,22%, un numero che certifica il fallimento dell’obiettivo del 3% che era stato stabilito all’inizio del nuovo millennio dalla strategia di Lisbona: si trattava di un piano di rilancio incentrato sull’economia della conoscenza, un modello di sviluppo che individua l’innovazione come motore economico.
Quando a settembre dello scorso anno Mario Draghi presentò alla Commissione Europea il suo rapporto sulla competitività, propose di rimettere al centro della strategia economica europea proprio l’innovazione, assieme alla decarbonizzazione e alla sicurezza. Tra le altre cose, proponeva di raddoppiare il budget europeo del prossimo programma quadro per finanziare ricerca e sviluppo (Framework Programme 10), passando dagli attuali 95,5 miliardi di euro di HorizonEurope, in vigore fino al 2027, a circa 200 miliardi.
L’incertezza geopolitica fa pensare che sarà il pilastro della sicurezza ad assorbire le maggiori risorse finanziarie dell’Unione, ma proprio alla luce della crisi della ricerca statunitense, nelle ultime settimane si sono moltiplicati gli appelli a spingere sempre di più nella direzione di un convinto e rinnovato sostegno all’ecosistema della ricerca e dell’innovazione europeo.
Uno di questi è venuto l’11 aprile dall’Accademia dei Lincei: tra i firmatari figurano il premio Nobel per la fisica 2021, Giorgio Parisi, e Ugo Amaldi, ispiratore del Piano Amaldi per il rifinanziamento della ricerca pubblica in Italia.
Anche in questo caso la proposta dei Lincei si concentra su un rifinanziamento della ricerca pubblica, ma a livello europeo, con un piano ventennale di investimenti per riequilibrare le disomogeneità tra diversi Paesi.
La media di investimento in ricerca pubblica tra i 27 Paesi membri infatti è dello 0,75%, ma, di nuovo, ci sono grandi disparità: la Germania investe l’1,1% del proprio Pil in ricerca pubblica, la Romania solo lo 0,14% (dati Eurostat 2022). L’Italia è attorno allo 0,65%, ma con la fine del PNRR rischia di tornare sotto allo 0,55%, se non ci saranno nuovi interventi (auspicati dal Piano Amaldi, ma finora mai messi in cantiere).
“Questa ignorata disparità tra i 27 Stati dell’UE è inaccettabile” si legge sul documento che illustra nel dettaglio la proposta dei Lincei, “perché implica che molti Paesi non hanno i mezzi e le strutture di ricerca necessarie a contribuire allo sviluppo a lungo termine dell’Europa; non possono formare i loro giovani ricercatori preparandoli a concorrere, tra uguali, alle borse dello European Research Council (ERC), attribuite sulla base della sola qualità della ricerca scientifica; non offrono ai loro gruppi di ricercatori le condizioni per poter fare ricerca di punta”.
Il piano dei Lincei si dipana su 20 anni e mira ad avvicinare il più possibile tutti i Paesi allo 0,75%, facendo loro aumentare il finanziamento alla ricerca pubblica del 7% ogni anno. Gli Stati nazionali vedrebbero rimborsato metà del proprio investimento dall’Unione Europea. Da qui al 2045 il piano costerebbe quasi 180 miliardi di euro e circa 90 miliardi li metterebbe il bilancio europeo. I Lincei hanno anche elaborato una proposta in cui solo un terzo dell’investimento (il 35%) verrebbe coperto dall’Unione, che in questo scenario dovrebbe mettere a disposizione circa 62 miliardi.

Proposta di un programma ventennale (2026 - 2045) di finanziamento della ricerca pubblica europea. Autori: Ugo Amaldi, Roberto Antonelli, Luciano Maiani e Giorgio Parisi
Naturalmente i finanziamenti sono pensati soprattutto per quei Paesi che sono al di sotto della media europea dello 0,75%, ovvero 21 Stati. Coloro che già investono tra lo 0,35% e lo 0,65% (sono 13 Paesi e fanno parte del Gruppo II) raggiungerebbero l’obiettivo in meno di 20 anni: alla Polonia ne servirebbero 16, alla Spagna ne basterebbero 7, per l’Italia ci vorrebbero 5 anni, per l’Estonia ne basterebbero 2.
Ci sono però anche Paesi che attualmente investono meno dello 0,35% (sono 8 e fanno parte del Gruppo I): tenendo il ritmo del 7% annuo, 20 anni non basterebbero per raggiungere l’obiettivo dello 0,75%. Uscirebbero comunque risollevati dal piano.
Esistono però anche altri 6 Paesi (Germania, Finlandia, Danimarca, Austria, Olanda e Grecia, appartenenti al Gruppo III) la cui intensità R&D pubblica è già sopra la soglia dello 0,75%. A questi Stati il piano non destinerebbe fondi.
È probabilmente questo il punto debole della realizzazione della proposta dei Lincei: “sarà molto difficile farla approvare dai Paesi cosiddetti ‘frugali’ che (…) non hanno benefici diretti dal programma ventennale, anche se ne hanno di indiretti per l’aumento della competitività a lungo termine dell’Unione”.
Un altro dato significativo è che circa il 70% dei 177 miliardi complessivi previsti dal Piano sarebbero destinati a solo 6 Paesi: Polonia (36,4), Irlanda (23), Portogallo (19,1), Spagna (16,5), Francia (14,7) e Italia (12,2). Ciononostante, i Paesi che vedrebbero aumentare maggiormente l’investimento finale in R&D pubblica (in termini di Pil percentuale) sarebbero quelli del Gruppo I.

Proposta di un programma ventennale (2026 - 2045) di finanziamento della ricerca pubblica europea. Autori: Ugo Amaldi, Roberto Antonelli, Luciano Maiani e Giorgio Parisi
Come dicevamo il piano dei Lincei non è l’unico appello per rilanciare la ricerca pubblica. Un altro è ReBrain Europe, già sottoscritto da oltre 2.000 scienziati europei. “ReBrain Europe deve diventare oggi un programma prioritario di rilancio della ricerca in Europa, con risorse adeguate a livello europeo e nazionale” scrivono su Scienza in rete Giovanni Dosi della Scuola Sant’Anna di Pisa e Rocco De Nicola, rettore della Scuola IMT di Lucca e fondatore del Gruppo 2003. “La nostra proposta è che l’Unione Europea lanci un fondo di 100 miliardi di euro – finanziato con eurobond - per attrarre studiosi dagli Stati Uniti e dal resto del mondo e per costruire nuove istituzioni di ricerca di alto livello”.
“Di fronte al conflitto tra l’amministrazione Trump e le università americane, e alle opportunità che si aprono per l’Europa, è importante un’operazione di grande respiro, politico e culturale, con un adeguato investimento di risorse” concludono. “ReBrain Europa è un’occasione che non dobbiamo mancare”.