Dante Alighieri, il Sommo Poeta, il padre della lingua italiana: nel 2021 si celebreranno i 700 anni dalla sua morte con una serie di eventi in tutta Italia. E come in ogni ricorrenza che si rispetti, le questioni ancora irrisolte tornano a galla e Dante non è da meno: è stata avanzata la proposta di trasferire le spoglie del poeta da Ravenna a Firenze, un sogno che il capoluogo toscano ha nel cassetto da ben sette secoli.
L’argomento è stato portato nuovamente in luce da Chiara Mazzavillani, moglie del compositore Riccardo Muti e direttrice di Ravenna Festival, che in occasione della presentazione del programma dell’evento ha avanzato la proposta di portare il concerto dedicato proprio a Dante anche a Firenze, attraverso il Treno di Dante (cioè il convoglio che va da Faenza a Firenze attraverso gli Appennini). Con il concerto la direttrice ha avanzato la proposta di portare nel capoluogo toscano anche le ossa del poeta.
Le ossa di Dante e Firenze: la proposta non passa
Firenze ha iniziato a sperare nel ritorno del Sommo Poeta già dal Quattrocento: esiliato dalla sua città natale, Dante morì a Ravenna nel 1321 e venne sepolto nel chiostro della basilica di San Francesco. Durante il periodo rinascimentale, papa Leone X, nome pontificale di Giovanni de’ Medici (figlio di Lorenzo de’ Medici), autorizzò il rientro delle spoglie del poeta, grazie alla riabilitazione della figura dantesca. Per evitare il trasferimento però i frati francescani, custodi dei resti del poeta decisero di nasconderli. Durante l’epoca napoleonica, tutti gli edifici del convento furono sequestrati e i frati decisero di conservare le ossa del poeta nella vicina cappella Braccioforte.
Le spoglie di Dante Alighieri tornano nella loro urna originaria solamente dopo la costruzione della tomba che possiamo vedere ancora oggi, eretta nel 1780 dall’architetto Camillo Morigia.
Durante la Seconda guerra mondiale, i resti del poeta furono sepolti sotto un cumulo, ancora visibile, per proteggerli dai bombardamenti. La zona come la conosciamo oggi, che comprende sia la tomba che il quadrarco di Braccioforte, viene soprannominata “Zona Dantesca” o “zona del silenzio”, per il rispetto che i numerosi visitatori offrono al Sommo Poeta. Con la speranza di un ritorno delle ossa in città, Firenze nei primi anni dell'800 ha eretto un cenotafio nella navata destra della basilica si Santa Croce.
Ed infine veniamo ai giorni nostri, con la proposta, che per ora sembra aver avuto un tiepido riscontro, di portare le ossa di Dante a Firenze. Ad oggi quindi, salvo improvvisi colpi di scena, sembra che le reliquie non si muoveranno da Ravenna.
Per capire quanto possa essere importante la presenza di spoglie, resti e reliquie all'interno di un contesto urbano, abbiamo intervistato Stefano Zaggia, docente di Storia dell'architettura contemporanea del dipartimento di Ingegneria civile, edile e ambientale.
"Prima della rivoluzione industriale e dell’età contemporanea, le città sia medievali che rinascimentali venivano spesse descritte in libri, seguendo uno schema utilizzato da Aristotele. La città è composta da due aspetti - spiega il prof. Zaggia -: da un lato abbiamo l’urbs, cioè l’aspetto materiale e quindi gli edifici, le chiese, i palazzi del potere, le strade etc.; dall’altro, invece, c’è la civitas, cioè gli uomini, e in questi volumi si descrivevano i santi, i personaggi illustri, le famiglie nobili, le istituzioni. È bene tenere a mente questi due ambiti: una città non è fatta solo di pietra ma anche degli uomini che la abitano".
"I personaggi illustri hanno sempre rappresentato - continua il professore - un simbolo e un orgoglio per la propria città, soprattutto se sono presenti i resti: la custodia e l’arte di tramandare è un forte segno di riconoscimento per la città". A farsi notare prevalentemente nelle nostre città sono le tracce che ci testimoniano la presenza di una reliquia o spoglia religiosa: "Già in età tardo medievale, il corpo dei santi era uno strumento religioso, taumaturgico, di protezione della città. Prendiamo come esempio le spoglie di san Marco: arrivate il laguna, i veneziani si sono posti subito il problema di dove collocarle. Dei resti così importanti necessitavano di una struttura che li ospitasse degna del loro valore. Per questo si è costruita la basilica e il suo potente riflesso sulla città. È una basilica palatina, collegata con il palazzo del Doge e quindi con le istituzioni, non è una sede in cui vissero dei vescovi. È un “tempio civico” che ha influenzato la struttura della città, come a esempio la piazza di fronte. Anche il caso di sant'Antonio ha vissuto un'esperienza simile: intorno alla basilica, infatti, si è attivato un meccanismo di urbanizzazione per cui si è creato un intero borgo".
Per quanto riguarda le personalità non religiose, la questione diventa più complessa e sfaccettata: "Per esempio, alla scoperta delle spoglie del fondatore di Padova, Antenore, fu costruito un sacello che però non innestò grossi cambiamenti all’interno della città. Anche per le spoglie di Tito Livio - racconta Stefano Zaggia - si ha vissuto una simile posizione: una delle proposte, avanzata dall’umanista e giurista Sicco Polenton, fu quella di costruire un mausoleo in piazza dei Signori per porre i resti. Tuttavia, il contesto della Serenissima di Venezia portò alla semplice costruzione di un monumento all’interno di Palazzo della Ragione”.