Un centro per le vaccinazioni negli Stati Uniti. Foto: Reuters
Quando si dibatte su chi debba finanziare lo sviluppo scientifico e tecnologico si ha spesso l’impressione di affrontare questioni distanti dalla realtà, molto teoriche, sostanzialmente di principio. Spesso si sono tirate in ballo la filosofia e la politica, ci si è divisi in entusiasti del libero mercato e affezionati dello Stato come mentore e promotore del progresso, rievocando dicotomie con origini antiche.
In tempi normali forse quest’impressione poteva anche essere giustificata: la platea degli interlocutori era tutto sommato limitata a tecnici ed accademici, e le luci della ribalta illuminavano il tema in maniera sporadica e condizionata da qualche astrusa polemica tecnologica. Ma oggi non stiamo vivendo in tempi normali, e da temi come questo può dipendere la sopravvivenza della società stessa per come l’abbiamo conosciuta. Gli strumenti di incentivazione e finanziamento dello sviluppo scientifico e tecnologico di cui la comunità si è dotata dicono oggi che il monopolio sullo sfruttamento economico del “trovato” (cioè l’invenzione) spetta ad un numero ristretto di soggetti. In questo modo, garantendo cioè veri e propri monopoli, si assicura infatti una più che cospicua remunerazione ai detentori di titoli su tecnologie di successo nel mercato, incentivandone la tensione innovatrice.
L’altro lato della medaglia si concretizza evidentemente nelle esternalità negative che discendono dal monopolio stesso. Nel complesso tuttavia è stato considerato che i benefici superassero le criticità, ed agli inizi dello scorso secolo tale sistema ha cominciato a diffondersi in tutti i sistemi giuridici occidentali avanzati, contribuendo in maniera determinante alle rivoluzioni tecnologiche ed industriali che hanno plasmato la realtà in cui viviamo oggi.
È a partire dagli anni Novanta che le prime crepe hanno cominciato a rivelarsi nell’impalcatura del sistema. Nei paesi più all’avanguardia si è infatti affermato un trend preoccupante. Negli Stati Uniti ad esempio il numero di brevetti richiesti (ed ottenuti) è triplicato nel giro di 15 anni. Ad un simile aumento non è tuttavia corrisposto una maggiore varietà tecnologica. Le richieste si riferivano infatti a “trovati” simili tra loro, tendenzialmente appartenenti all’ambito IT, ed avevano spesso confini ambigui e di difficile definizione. Come se non bastasse, la velocità esponenziale dello sviluppo tecnologico rendeva spesso obsoleti titoli anche molto giovani, mettendo in crisi gli investimenti effettuati per ottenerli, e portando ad ulteriore spasmodica necessità di rincorrere ulteriori titoli. Come è facile Intuire una simile situazione si è velocemente trasferita nelle corti di tribunale, che, sempre negli Stati Uniti, hanno registrato, in dieci anni, un raddoppio delle cause in materia di proprietà intellettuale. Nell’ambito più caldo poi, quello IT, si è addirittura giunti alla situazione più preoccupante di tutti. Quasi metà dei risultati delle cause in materie di proprietà intellettuale infatti veniva sovvertita in appello. Fenomeni simili sono riscontrabili anche in Europa ed in Giappone. Ciò ha significato grande incertezza e approcci sempre più atipici all’utilizzo della tutela dei diritti di proprietà intellettuale, ed in particolare della tutela brevettuale. In tutto il mondo sono nati movimenti per incentivare pratiche alternative e più aperte di gestione della tecnologia industriale, ma nessuno si è mai azzardato a mettere seriamente in discussione l’impianto ben radicato della struttura.
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Ed ora arriviamo alle considerazioni di attualità. Riprendendo il filo del dibattito dopo questa, dovuta, breve panoramica è necessario riconoscere che, per quanto concerne la dicotomia antica a cui ci si riferiva in apertura, è riscontrabile un approccio ampiamente dominante ed un approccio minoritario. Il contesto in cui ci muoviamo infatti è indiscutibilmente dominato dal libero mercato, dalla connessione a doppio filo tra lo sviluppo tecnologico e le ricadute economiche dello stesso. Lo stesso approccio che ha portato in auge il sistema di concessione di monopoli attraverso la tutela brevettuale. Le ultime sacche di “Libero Pensiero” (le università pubbliche) non necessariamente legate alle ricadute economiche immediate della ricerca scientifica e tecnologica sono sempre di più delle eccezioni sia in ambito europeo che mondiale. Traducendo in parole povere: oggi l’approccio dominante e apparentemente incontrovertibile ritiene assolutamente accettabile ed anzi positivo che il finanziamento dello sviluppo scientifico avvenga attraverso l’esclusione di chiunque dalla tecnologia protetta, a vantaggio del detentore della stessa. Calando questi ragionamenti nel “qui ed ora” il risultato potrebbe avere un suono molto doloroso, che assomiglierebbe molto a “è giusto che i brevetti sui vaccini contro Covid-19 siano a disposizione solo di chi se li può permettere, indipendentemente dal fatto che possano salvare la vita a tutti”.
Senza dubbio una situazione fuori dall’ordinario potrebbe suscitare azioni straordinarie e portare a scenari positivi e straordinari come la (comunque improbabile) condivisione delle informazioni relative alle tecnologie dei sieri in esame, ma ricordiamoci che questo è il sistema che non si vuole mettere in discussione, e queste sono alcune delle sue estreme conseguenze. Forse quel dibattito “di principio” aveva (ed ha) un gran bisogno di essere affrontato, e forse non solamente quando le sue estreme conseguenze diventano questioni di vita o di morte.