CULTURA

Van Gogh al cinema, tra entusiasmo e stroncature

Gli applausi scroscianti alla fine di At eternity’s gate un po’ stupiscono, visto che nelle ultime file si sono sentite delle sonore ronfate. In effetti all’inizio la regia di Julian Schnabel è straniante (per non dire pesante), ma è come con l’aria condizionata in sala: dopo un po’ ci si abitua e si comincia ad apprezzarla.

Prima di tutto è d’obbligo una precisazione: At eternity’s gate non è un film biografico, né tanto meno un documentario. Alla base della sceneggiatura di Jean-Claude Carrière, Julian Schnabel e Louise Kugelberg ci sono episodi realmente accaduti, altri tratti da dicerie e persino delle scene di pura invenzione, tanto che durante la conferenza stampa c’è stata una leggera polemica sul finale, decisamente inedito. In effetti si potrebbe dire che è un film sullo sguardo: lo spettatore si trova catapultato nel mondo di Van Gogh (Willem Dafoe), e comincia a vedere le cose con gli occhi del pittore, perlomeno nell’interpretazione, tra l’altro plausibile, che il regista dà.

Video realizzato da La Biennale

Nonostante lo straniamento iniziale, ci si sente di dare fiducia alla pellicola proprio per l’atmosfera che sa creare, e di colpo le reiterate inquadrature in soggettiva smettono di risultare fastidiose, così come lo sfocato sulla parte inferiore dello schermo.

Anche chi non ama l’arte, riesce a individuare i quadri di Van Gogh ripresi nelle inquadrature (ottima la fotografia di Benoît Delhomme e la scenografia di Stéphane Cressend), giallo ocra della campagna francese e quello più vivace dei girasoli danno davvero la sensazione di trovarsi dentro un’opera d’arte.

Un po’ più debole è la sceneggiatura, che si trova sacrificata rispetto a una costruzione di alto livello artistico: se in questo film cercassimo una storia, potrebbe essere riassunta in meno di una riga. Per questo sorprendono molto le valutazioni discordanti di critica e pubblico. Ci si aspetterebbe che At eternity’s gate venga amato dalla critica più che dal pubblico e invece la media è di 2,2 per la prima (il più generoso è Mereghetti del Corriere della Sera con il suo 3) e 3,6 da parte del secondo (con anche un 4,5 di Irene Machetti, che quindi lo definisce vicino alla perfezione).

Forse Schnabel poteva avere più fiducia nel pubblico, che evidentemente si è calato nella visione della macchina da presa molto prima del previsto, accorciando il lunghissimo silenzio dell’inizio e rimpolpando un po’ storia e parte recitata. Sicuramente però non ci sentiamo di bocciare questa pellicola, che riporta una visione quantomeno interessante e presenta una regia particolare: è insomma il film perfetto per chi ha voglia di vedere qualcosa di diverso ed è nel contempo disposto a prendersi il rischio di una cocente delusione.

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