SOCIETÀ

Vivere a Padova ai tempi della Grande guerra

Gli edifici squarciati dalle bombe, carabinieri chini a spostare le macerie; una madre desolata accompagna i figli a una casa che non esiste più, trasformata in un cumulo di massi e legno. Nel rifugio antiaereo dell’ospedale si aspetta che lo stridore cessi, insieme, i pazienti avvolti nelle lenzuola, le infermiere dalle lunghe vesti e gli occhi sbarrati. Sono gli anni della prima guerra mondiale, è Padova. È la vita cui si è rassegnati, la convivenza con la paura che non passa mai sotto ciascuno dei 912 ordigni che colpiscono la città. E l’amministrazione paga funerali, il re appunta medaglie al petto dei soldati, i volontari della Croce Rossa spingono lettighe. Ma il rombo degli aerei torna di continuo, incessante e funesto. Per anni lunghissimi e terribili, raccontati oggi nella mostra Vita a Padova durante la Grande Guerra, in cui documenti fragili e preziosi, come le tessere annonarie, i manifesti, le lettere e le tante fotografie diventano il laccio che lega i nostri luoghi a un altro tempo.

A sinistra: Il rifugio antiaereo dell’Ospedale Civile - Il Teatro Verdi dopo il bombardamento del 29 dicembre 1917 (Padova, Gabinetto Fotografico dei Musei Civici). A destra: Tornando a casa (Padova, 1917)

È la sala del Teatro Verdi, con il fregio, le poltrone: ma è tutto ammucchiato e sporco, i ferri contorti, un buco sul primo palco laterale. Colpito nel dicembre 1917, il teatro avrebbe riaperto solo nel 1920. Eppure, fino a ottobre di quell’anno gli annunci degli spettacoli comparivano ancora nelle pagine dei quotidiani; la programmazione era rallentata ma non si era fermata fino a quell’ultima rappresentazione della Loreley di Alfredo Catani. All’inizio del conflitto, infatti, la vita quotidiana non sembrava aver ricevuto grandi contraccolpi. Della guerra si parlava molto, ci si schierava a favore o contro l’intervento; erano soprattutto gli ambienti universitari, l’associazionismo irredentista e l’interventismo democratico a far pesare l’ago della bilancia dalla parte dell’entrata in guerra. A febbraio si era addirittura tenuto un grande convegno interventista, cui aveva partecipato anche Cesare Battisti. A marzo il Comitato di Preparazione Civile iniziò a preparare moralmente i padovani ai sacrifici cui il conflitto li avrebbe sottoposti.

A fine maggio l’Italia entrava in guerra. In città si costituirono comitati assistenziali e di soccorso, ci si impegnò negli approvvigionamenti, si iniziò a calmierare le merci, si aprirono spacci comunali a tariffe agevolate in via del Sale (oggi Oberdan), sotto il Salone e poi nei diversi quartieri. Intanto il Comitato Pro Soldato continuava a distribuire biglietti gratuiti per il cinematografo e il teatro.

Le lezioni continuavano anche all’Università, che per l’anno accademico 1916/17 era divenuta la sede di un corso intensivo di istruzione per “aspiranti ufficiali medici”; a fine corso, i laureati del Battaglione universitario vennero distribuiti al fronte a soccorso degli altri soldati. Per la sua posizione strategica rispetto alle zone del combattimento, Padova diventava inevitabilmente anche il centro ospedaliero di riferimento, e scuole, istituti, collegi e orfanotrofi venivano trasformati in luoghi di cura. Un album fotografico raccoglie le immagini dell’ospedale militare, degli ambulatori, delle sale operatorie, dei laboratori, di lunghi file di uomini sotto le coperte di letti in ferro, il viso attonito rivolto al fotografo.

Nella piazza del Santo una struttura cuspidata in lamiera era stata messa a protezione della statua di Donatello raffigurante il Gattamelata; alla fine del 1917, con l’intensificarsi dei bombardamenti, si decise di trasferire la statua a Roma, più al sicuro. La disfatta di Caporetto, nell’ottobre di quell’anno, segnò il punto definitivo di rottura: Padova, “capitale al fronte”, venne investita da una pioggia di ordigni in quanto nuova sede degli alti comandi militari. La situazione precipitò e vennero colpiti anche il Palazzo Municipale e la piazza del Santo; sotto il fuoco nemico si riversò sul sagrato il frontone del Duomo, la cupola della chiesa del Carmine crollò sul proprio altare. Troppo spesso i cortei funebri si snodavano lungo le strade cittadine. Ma la processione più terribile si era tenuta inaspettatamente nel novembre di un anno prima, per un’infausta coincidenza di luoghi e tempi che aveva radunato al torrione della Gatta le persone fuggite dalle abitazioni in seguito all’allarme: 93 le vittime di un unico grosso ordigno sganciato proprio lì, nei pressi di piazza Mazzini.

A sinistra: Mappa delle incursioni con bombe nemiche 1916-18; a destra: gli effetti del bombardamento sul Duomo, 1917

Nell’agosto del ’18, pochi giorni dopo che Gabriele D’annunzio e la 87^ squadriglia aeroplani da caccia erano partiti da San Pelagio, poco fuori città, per arrivare in volo su Vienna, a Padova i fazzoletti sventolavano per la Brigata Padova, distintasi in azione sul Carso, sull’altipiano di Asiago e sul Piave. Vestiti a festa, i padovani gremivano le strade, emozionati e orgogliosi; file di donne e bambini, cappelli in testa, scarpe lucide e mazzi di fiori. La guerra era lì per finire: neanche tre mesi dopo, a Villa Giusti, la firma dell’armistizio. A Monterosso di Teolo, sui colli padovani, si stampa il bollettino n.1268, quello della vittoria.

Chiara Mezzalira

Festeggiamenti in onore della Brigata Padova (1918). Foto: Padova, Biblioteca Civica

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