SCIENZA E RICERCA

Non solo omicidi, la Scientifica indaga anche storia ed arte

L’immagine che ne abbiamo è di uno strano ibrido in cui protagonisti sono dei poliziotti-scienziati: tecnici che accorrono sul teatro del crimine e ne analizzano gli elementi visibili e invisibili, le sostanze presenti, i documenti, le tracce identificabili. La polizia scientifica nasce in Italia nel 1902, e da allora si perfeziona negli accertamenti preventivi e di polizia giudiziaria, affinando via via tecniche e strumenti a disposizione. Servizio, nell’organigramma del ministero dell’Interno, della direzione anticrimine della polizia di Stato, si suddivide in 14 gabinetti interregionali con 42 laboratori scientifici e un ufficio centrale articolato in diverse sezioni, alcune dai nomi fortemente evocativi (unità analisi del crimine violento; evidenziazione impronte latenti; balistica e residui dello sparo; unità delitti insoluti; genetica forense; indagini elettroniche). Meno nota, e meno presente sui media, è invece l’attività che la polizia scientifica svolge nel campo dei beni culturali, a volte mutuando, a volte innovando i mezzi tecnologici già usati per le indagini anticrimine. A Padova ne ha parlato Carmine Grassi, responsabile della polizia scientifica del Triveneto, in una delle conferenze collegate alla mostra Facce (aperta fino al 14 giugno). È stata l’occasione, tra l’altro, per ribadire quanto questo settore della polizia sia un partner consolidato di atenei come quello padovano: proprio questa collaborazione, per esempio, è alla base dell’analisi di un fondamentale reperto del museo di antropologia dell’università di Padova, la mummia del primo sacerdote di Thot, un alto dignitario egizio del IV secolo avanti Cristo. La mummia, donata al Bo nel corso dell’Ottocento, è stata analizzata dalla polizia scientifica con un procedimento laser che ha consentito di ricostruire al computer il volto del sacerdote. Una tecnica, come spesso avviene, analoga a quella perfezionata negli anni per le indagini di polizia propriamente dette: oggi, partendo da un cadavere rinvenuto in condizioni che ne rendono molto difficile l’identificazione, è possibile sottoporlo a scansione in 3D, ottenendo una ricostruzione virtuale che si avvicina alle fattezze originarie. Non è l’unico esempio di collaborazione in campo archeologico: la Scientifica aveva già operato insieme al Museo egizio di Torino per analizzare la mummia di Harwa, la cui datazione è fatta risalire a 3.000 anni fa. Senza toccare il bendaggio che ricopre interamente il corpo, gli investigatori sono riusciti a ridisegnare il volto della mummia con l’ausilio di Tac e scanner tridimensionali. Ciò ha permesso di costruire un modello di testa in resina che, a sua volta, è stato la base per creare un’immagine realistica di come doveva apparire in vita l’uomo avvolto nelle bende.

Le tecniche della polizia scientifica possono essere applicate nei più diversi campi della ricerca in campo culturale. Pensiamo alla decifrazione dei messaggi illeggibili, perché censurati o rovinati dal tempo: anche in questo ambito l’esperienza anticrimine torna utile per la decodificazione di documenti storici. È il caso di alcuni scritti di Vittorio Foa ed Ernesto Rossi, esponenti della Resistenza dei quali sono stati riportati alla luce brani cancellati dalle autorità censorie. Per Foa le tecniche hanno sfruttato radiazioni infrarosse e ultraviolette, mentre per Rossi si è impiegato principalmente uno scanner: l’immagine ottenuta è stata poi  manipolata con uno specifico software.

Tornando ben più indietro nel tempo, gli strumenti della Scientifica hanno consentito di far luce sul “codice a cuore”, un raro manoscritto della fine del Quattrocento a forma di cuore conservato alla Biblioteca Oliveriana di Pesaro: mediante l’utilizzo di particolari luci forensi (un procedimento che lascia perfettamente integro il documento analizzato) si è potuto rendere leggibili alcune parti, abrase forse per celare passaggi ritenuti licenziosi.  C’è invece un’altra tecnica classicamente narrata dalla letteratura poliziesca, il rilevamento di impronte, alla base dell’analisi dei vasi di terracotta di Metaponto (Matera): rinvenuti durante una campagna di scavi, i reperti sono stati analizzati con tecniche informatiche che hanno permesso, grazie all’identificazione di impronte differenti, di risalire a quattro distinti artigiani come artefici delle opere.

La tecnica dell’”age progression” (con cui si invecchia il volto di una persona partendo da un’immagine anteriore) o, al contrario, dell’”age regression” (in questo caso il volto viene ringiovanito), fondamentali per costruire identikit di latitanti o identificare cadaveri, sono utilizzate con successo per l’analisi comparativa di opere pittoriche. Un caso interessante è quello di Marsilio Ficino: l’ipotesi della Scientifica è che il giovane biondo ritratto nella Flagellazione di Piero della Francesca fosse proprio il filosofo, non ancora ventenne. A supporto di questa teoria, gli investigatori hanno analizzato alcune opere in cui Ficino viene ritratto in età matura, e con le tecniche a disposizione hanno “invecchiato” il personaggio della Flagellazione per evidenziare le somiglianze, davvero notevoli, con le rappresentazioni più tarde dello studioso.

Martino Periti

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