SOCIETÀ

Rita Monticelli: "Patrick Zaky non verrà mai lasciato solo"

Arrestato, accusato di “incitare a manifestare senza permesso del governo”, ad “incoraggiare a rovesciare” il governo, ad “usare facebook per disturbare l’ordine pubblico”, incarcerato e, secondo quanto riferito dal suo avvocato Wael Ghally, bendato e torturato con dei cavi elettrici. La storia di Patrick George Zaky purtroppo è molto simile a ciò che è capitato a Giulio Regeni, ma questa volta non deve finire allo stesso modo. A urlarlo a gran voce sono le associazioni umanitarie, gli amici, l’associazione Iniziativa egiziana per i diritti della persona (EIPR) con cui Patrick collabora e chiunque conosca la vicenda di Regeni.

Patrick George Zaky è uno studente egiziano di 27 anni. E’ stato arrestato nella notte tra il 6 ed il 7 febbraio all’aeroporto del Cairo ed ora si trova in detenzione preventiva nella città di Mansoura. Zaky era appena atterrato in Egitto, suo paese natale, approfittando della piccola pausa tra la fine della sessione d’esami e l’inizio delle lezioni. Patrick infatti sta frequentando il prestigioso master GEMMA, in studi di genere, all’università di Bologna.

Patrick ora si trova in detenzione preventiva e ci starà almeno 15 giorni, anche se tale regime può essere esteso anche per mesi. I capi d’imputazione del mandato d’arresto datato settembre 2019, un mese dopo il trasferimento del ragazzo a Bologna per studiare, vanno dalla “diffusione di false notizie che disturbano l’ordine sociale”, all’“incitamento a protestare per minare l’autorità dello Stato” fino all’ “incitamento alla destituzione del governo”.

Zaky è assistito dall’avvocato Wael Ghally che in un’intervista a ilfattoquotidiano.it ha dichiarato: “Patrick è stato bendato e trasferito in una location sconosciuta a circa un’ora di auto dall’aeroporto. Era in una stanza con due agenti, è stato picchiato e torturato con l’elettricità. Ma non con il bastone, solo con dei fili in modo che non rimanessero segni. Chi lo ha fatto è un professionista che sa come fare”.

Patrick non verrà mai lasciato solo Rita Monticelli

Abbiamo contattato la professoressa Rita Monticelli, coordinatrice del Master Gemma women's and gender studies.

Professoressa Monticelli, lei Patrick lo conosce bene?

Lo conosco bene. E’ arrivato da noi all'inizio di settembre e ho avuto modo di frequentarlo abbastanza bene perché ha anche partecipato al mio corso, oltre al master. Con gli studenti GEMMA ci conosciamo bene e abbiamo avuto modo di parlare e discutere. Ho potuto vedere la serietà di Patrick, la sua voglia di imparare e la sua passione per gli studi di genere, per l’uguaglianza e i diritti umani. 

 

Che cos’è il master GEMMA? 

E’ un master che si chiama Gender and women’s studies. Comeprende un consorzio europeoi costituito da sei diverse univeristà con la sede principale a Granada. Gli studenti non europei partecipano a questo master dopo una rigorosa selezione del curriculum e, una volta superata la selezione vincono una prestigiosa borsa che permette loro di frequentare questo master. Patrick aveva vinto questa borsa, il primo anno lo sta frequentando a Bologna ed il secondo andrà in Polonia. 

 

Professoressa Monticelli era appena finito il periodo d’esami, per questo lui è tornato dalla sua famiglia in Egitto?

Si, una volta finiti gli esami gli amici mi hanno detto che Patrick è tornato in Egitto a trovare la sua famiglia. Le lezioni sono riprese questa settimana e manteniamo viva la speranza che Patrick torni presto per finire questo primo anno del master.

 

Professoressa cosa possiamo fare noi cittadini e noi della comunità accademica?

Credo sia molto importante firmare le petizioni e dare informazioni, tenere aggiornati tutti su ciò che sta accadendo. Patrick non sarà mai lasciato solo e dobbiamo mettere in contatto le comunità accademiche. In questa terribile vicenda la cosa positiva è che ci siamo attivati subito.  

Amnesty International ha immediatamente lanciato una petizione per chiedere la libertà del ragazzo. “E’ importante dare consapevolezza di ciò che sta succedendo, e che la vicenda sia visibile per dire che Patrick non verrà mai lasciato solo” ha concluso la professoressa Monticelli.

Anche la comunità dell'università di Padova ha deciso di sottoscrivere l'appello dell'Alma Mater di Bologna. "Tutta la comunità dell’Università di Padova segue con apprensione la vicenda di Patrick Zaki, lo studente dell’ateneo bolognese arrestato nei giorni scorsi in Egitto – ha dichiarato il rettore Rosario Rizzuto –. Facciamo quindi nostro l’appello partito dal rettore Francesco Ubertini a nome dell’Università di Bologna: i diritti fondamentali dell’uomo sono inviolabili. L’Università di Padova, che porta nel suo Dna la libertà, in tutte le sue forme e per tutti, chiede alle istituzioni, nazionali e internazionali, di continuare a battersi per trovare una soluzione al più presto per il caso Zaki. Ho avvertito i componenti di Senato Accademico e Consiglio di Amministrazione del nostro ateneo della volontà di condividere la mozione partita dall’Alma Mater di Bologna: con la forte speranza che già alle prossime riunioni previste da calendario per i nostri organi accademici non ci sia più bisogno di farlo e che Zaki abbia già ritrovato la libertà".

Sulla stessa linea anche la professoressa Annalisa Oboe, prorettrice alle relazioni culturali, sociali e di genere dell'università di Padova, che ha invitato tutta la comunità patavina a firmare la petizione presente nel sito di Amnesty.

"Anche dei nostri laureati hanno affrontato con ottimo profitto il master GEMMA - ha dichiarato la professoressa Annalisa Oboe ai nostri microfoni -. Zaky stava frequentando questo corso e ci sono molte testimonianze di studenti e docenti che l'hanno conosciuto. Il ritratto che ci fanno le autorità egiziane di un soggetto ricercato e scappato in Italia per promuovere l'omosessualità piuttosto che quelli che noi chiameremmo i diritti LGBT non collima con la realtà. Sono accuse molto gravi  nei confronti di un ragazzo che è venuto qui per studiare e nei confronti del quale noi abbiamo delle responsabilità".

"Bisogna aderire alle campagne di pressione di Amnesty international o change.org - ha concluso la professoressa Oboe -. Bisogna fare tutto il necessario per far si che il nostro governo si muova co le autorità egiziane e cerchi di capire bene la situazione. Questo è molto importante".

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