SOCIETÀ

Politici maschi bocciati: è l’ora della preside con matita rossa e blu

Se mai uno storico del futuro dovesse chiedersi quando è avvenuto il definitivo trionfo delle donne in politica, è molto probabile che sceglierebbe l’anno 2016. Il prossimo 20 gennaio, infatti, tre donne saranno alla guida di tre delle più grandi economie del pianeta, oltre che di due delle principali potenze nucleari. Theresa May sarà al suo posto come primo ministro della Gran Bretagna e l’inossidabile Angela Merkel continuerà a presiedere sulle sorti della Germania, mentre con ogni probabilità Hillary Clinton entrerà in carica come presidente degli Stati Uniti.

E se qualcuno avesse dei dubbi, basta guardare a un altro membro del G7, oltre che potenza nucleare: la Francia. Nel 2017 ci saranno elezioni presidenziali e Marine Le Pen sarà sicuramente al ballottaggio tra i due candidati più votati, forse potrebbe addirittura vincere. In questo caso, quattro dei sette paesi industrializzati più importanti sarebbero quindi a guida femminile. Ma da dove viene questo successo ormai generalizzato? Semplice: era il momento di mettere un po’ d’ordine dopo i disastri fatti dai maschi.

Hillary Clinton, per esempio, sarà eletta meno per meriti propri che per il fatto che il suo avversario Donald Trump si è mostrato emotivamente incontinente ed incontenibile: non ce l’ha fatta a stare buono neppure alla convention repubblicana di Cleveland in Ohio, l’appuntamento che tradizionalmente mette il candidato alla presidenza in contatto con il grande pubblico. Tralasciando il curriculum, il palazzinaro di New York ha un contegno che lo accomuna ad altre esuberanti figure che animano la scena politica mondiale come l’ex sindaco di Londra Boris Johnson. Oltre alla capigliatura alquanto posticcia, nel caso di Trump c’è una prossemica fatta di gesti scomposti e affermazioni improbabili come quella che Obama sarebbe un “fondatore” dello Stato Islamico e che “la Clinton dovrebbe essere fucilata per tradimento”. Il che si aggiunge agli speechwriter della moglie Melania che copiano male il discorso dell’odiatissima Michelle Obama.

A Londra, il grande pasticcio dell’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea è in gran parte responsabilità dell’inetto David Cameron, insieme al povero Boris Johnson che, dismessi i panni raffazzonati di Primo Cittadino di Londra, si ritrova Segretario di Stato per gli Affari Esteri nel governo di Theresa May, una signora che, palesemente, ama l’ordine ma detesta le sorprese. La May, donna dal sorriso affilato, il look severo, con qualche concessione di stravaganza solo in calzature che la Thatcher non si sarebbe mai sognata di indossare, è l’idealtipo della preside che viene a mettere ordine dopo la ricreazione.  

Del resto anche lo Scottish National Party era corso ai ripari un paio di anni fa, dopo il referendum sull’indipendenza dal Regno Unito vinto dai “no”, sostituendo al vertice del partito il pacioso Alex Salmond con Nicola Sturgeon che porta nome maschile – alle orecchie italiane – ma è in realtà una lady assai determinata (era punk negli anni Ottanta, ora è iscritta al club delle Signore-Che-Rimettono-Le-Cose-A-Posto).

Se Johnson e Trump sono perennemente rubizzi, scarmigliati, molesti, con il perfetto profilo del discolo della classe, agli elettori l’unico antidoto possibile dev’essere sembrato quello di figure femminili severe, molto severe, che si materializzino come un castigamatti e mettano le cose a posto senza fare storie. I tedeschi si tengono da 11 anni la Merkel e a quanto pare sono più che contenti dello stile austero: perfino all’estrema destra la potenziale sfidante del longevo cancelliere è un’altra donna, Frauke Petry.

Poi ci sono i sindaci donna e anti-casta eletti per rimediare ad anni di governanti debosciati: la Spagna sta facendo scuola con una ex giudice a Madrid, Manuela Carmena, e con la radicalissima Ada Colau, bellicosa prima cittadina di Barcellona, che si oppone a banche e Airbnb (non vuole giustamente che Barcellona diventi come Venezia). Insomma, anche in politica è arrivata la Valanga Rosa e per il momento appare inarrestabile.

Fabrizio Tonello

Silvia Veroli

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