SOCIETÀ

Qui Luna, il nuovo Klondike della corsa all'oro

È, formalmente, solo una “payload review”, un primo nulla osta amministrativo all’interno di un complicato iter di autorizzazione al lancio di un vettore spaziale. Ma la lettera che la Faa, l’agenzia del Dipartimento dei Trasporti Usa che vigila sul traffico aereo civile, ha inviato il 22 dicembre 2014 alla società Bigelow Aerospace ha innescato un enorme dibattito in bilico tra diritto, etica ed economia. A scovare il documento è stata l’agenzia Reuters: ha rivelato che alla fine dello scorso anno la Faa ha risposto per iscritto a un’istanza della Bigelow, compagnia privata che opera nel settore aerospaziale. L’azienda progetta, entro il 2025, il lancio sulla Luna di una stazione spaziale che costituisca la base per l’esplorazione del satellite a scopi commerciali. Nel progetto è compresa l’attuazione di scavi sul suolo lunare per valutarne le potenzialità per l’industria estrattiva. La lettera di risposta della Faa contiene rassicurazioni alla compagnia sulla “necessità dei soggetti privati di tutelare i loro interessi e il loro personale sulla Luna o altri corpi celesti”. Nel testo, la Faa sottolinea che intende sfruttare il proprio ruolo di autorità competente per promuovere gli investimenti privati nello spazio “garantendo che le attività commerciali potranno essere condotte senza interferenze”. Aspetto fondamentale, il documento non è il frutto di un’iniziativa pionieristica e di rottura ad opera dell’agenzia governativa, ma (per ammissione della stessa Faa) è stato concordato insieme alla Nasa e ai Dipartimenti di Stato, della Difesa e del Commercio: è quindi, per il momento, la prima dichiarazione ufficiale riconducibile al governo Usa sulla legittimità di missioni commerciali private che possano operare sul suolo lunare “senza interferenze”.

Questi fatti, scarni quanto cruciali, hanno scatenato un uragano di interpretazioni, commenti, disquisizioni giuridiche: è il via libera a una “corsa all’oro” sul suolo lunare? È un atto illegittimo perché non inserito nel quadro degli accordi internazionali? Cosa consente, e con quali limiti, la lettera della Faa? Per una prima valutazione, bisogna ricordare che ogni attività che riguarda lo spazio cosmico è regolata dall’Outer Space Treaty, il trattato internazionale del 1967 cui aderiscono 103 Stati (più altri 25 che hanno firmato senza completare la ratifica), tra cui Stati Uniti, Russia, India, Cina, Giappone e 24 Paesi della Ue (restano fuori Lettonia, Croazia, Slovenia e Malta). Lo spazio extratmosferico, regolato dai trattati, è quello sovrastante lo spazio aereo di ogni nazione: un confine su cui la comunità internazionale non si è mai accordata, anche se alcuni enti lo collocano sulla “linea di Karman”, ad un’altitudine di 100 km dal livello del mare.

L’Outer Space Treaty fissa alcuni princìpi: l’esplorazione della luna, come degli altri corpi celesti, dev’essere compiuta nell’interesse di tutte le nazioni; i corpi celesti devono essere accessibili per l’esplorazione e “l’utilizzo” (è questa l’esatta espressione adoperata) da parte di tutti gli Stati; viene sancita la totale libertà della ricerca scientifica nello spazio cosmico; i corpi celesti devono essere “utilizzati” per scopi pacifici; tutti i mezzi e le strutture che operano nello spazio devono essere accessibili a tutti gli Stati firmatari. Accanto a queste affermazioni, però, il trattato ne contiene altre suscettibili di interpretazioni controverse: si dice ad esempio che i corpi celesti “non sono soggetti ad acquisizione nazionale tramite rivendicazione di sovranità”; si aggiunge poi che “le attività dei soggetti non governativi richiedono l’autorizzazione” dello Stato di competenza.

Di qui l’ondata di interrogativi: se i corpi celesti possono essere “utilizzati” (e quindi è possibile servirsene purché non per scopi ostili) e se non sono acquisibili come parte di territorio per uno Stato, è possibile, si chiedono alcuni giuristi, ipotizzarne l’acquisizione da parte di un privato? E inoltre: se gli Stati sono legittimati ad autorizzare i soggetti privati alle attività sulla Luna, la Faa (e le altre agenzie governative mondiali) hanno dunque il diritto (e il dovere) di decidere chi può raggiungere i corpi celesti, in che modo e con quali obiettivi? Intervistato, il dirigente della Faa che ha siglato il documento ha negato che si possa configurare direttamente come “un permesso per atterrare sulla luna”, ma ha precisato che era necessario documentare “una seria proposta da parte di una compagnia americana di impegnarsi in un’attività che ha implicazioni politiche di alto livello”.

Il caso Bigelow Aerospace è forse il primo vero banco di prova per gli esperti internazionali di diritto spaziale: e la “corsa all’oro lunare”, che la decisione della Faa rischia di accendere, richiede che in tempi brevi i trattati vengano aggiornati, per adeguarsi alle nuove esigenze dell’imprenditoria celeste. Ma è ancora vivo il ricordo del fallimento di un altro trattato internazionale, il Moon Treaty del 1979: ambiva a regolare le attività sul suolo lunare e sugli altri corpi celesti, vietando esplicitamente che qualunque soggetto pubblico o privato potesse reclamarne la proprietà e vincolando ogni attività a un controllo incrociato tra gli Stati. Ma il Moon Treaty venne ratificato da una manciata di Paesi e ignorato dalle nazioni protagoniste della conquista dello spazio. Il business lunare potrà ancora contare su un comodo immobilismo?

Martino Periti

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