UNIVERSITÀ E SCUOLA

Quindici anni di lauree in carcere: l'impegno di Unipd

“Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”; un principio sacrosanto quello dell’art. 27 della nostra Costituzione, e per realizzarlo due sono gli strumenti principali: il lavoro e lo studio. Anche universitario.

Erano molti i rappresentanti delle istituzioni presenti il 1 marzo nell’auditorium del carcere “Due Palazzi” di Padova per l’inaugurazione dell’anno accademico per gli studenti detenuti: oltre al direttore della casa di reclusione Claudio Mazzeo e al rettore Rosario Rizzuto, alla prorettrice Daniela Lucangeli e alla coordinatrice Francesca Vianello c’erano anche, tra gli altri, il provveditore dell’amministrazione penitenziaria Enrico Sbriglia, il sindaco Sergio Giordani, il prefetto di Padova Renato Franceschelli, il questore Paolo Fassari, il magistrato di sorveglianza Lara Fortuna e il comandante provinciale dei carabinieri, colonnello Oreste Liporace.

Un’occasione per riflettere e fare il punto su un’esperienza che dura da 15 anni: era infatti il 2003 quando venne stipulata una convenzione tra università e ministero della giustizia per l’istituzione, nel carcere padovano, di un polo universitario. Oggi sono cinque le scuole dell’ateneo che mettono i loro corsi a disposizione dei detenuti: 30 i laureati finora mentre sono 27 gli iscritti ai vari corsi residenti a Due palazzi, a cui si aggiungono anche quella della vicina casa circondariale (riservata alle persone in attesa di giudizio o con condanne più brevi) e del carcere femminile della Giudecca a Venezia, per un totale di una quarantina di iscritti.

Storie di chi vuole guardare oltre gli errori commessi e pensare al futuro: “Studiare in carcere non è facile, ogni laurea che riuscite a conseguire qui dentro è un grosso successo per voi, ma anche per noi – ha detto durante il suo intervento il rettore –. Per questo cerco sempre, nonostante gli impegni, di non mancare a questo appuntamento”. I dati parlano chiaro: un percorso scolastico o universitario aiuta i detenuti a darsi degli obiettivi e a inserirsi nella società una volta usciti dal carcere, con un drastico abbattimento del tasso di recidiva.

Elementi importanti per un ateneo che, come quello padovano, ha deciso di puntare verso un’istruzione sempre più aperta e inclusiva per tutti, a partire dai soggetti più fragili e svantaggiati (tra le ultime iniziative, per fare degli esempi, ci sono il General Course in Diritti Umani e Inclusione e il protocollo d’intesa tra università e ufficio scolastico regionale). Anche per questo è allo studio, da parte di università e amministrazione penitenziaria, l’introduzione tra le mura del Due Palazzi anche della laurea in scienze motorie, oggi particolarmente di successo tra i giovani.

L’università mette a disposizione vari servizi a favore degli iscritti in stato di detenzione: fondamentale è l’opera di tutor e volontari, tra cui alcuni professori universitari in pensione. Per partecipare agli esami si utilizzano i permessi premio, se ci sono, altrimenti sono i docenti a recarsi in carcere; sono possibili, rispettando precise modalità, anche stage e inserimenti lavorativi. Questo non toglie che ci siano ancora alcune difficoltà, come ha sottolineato la coordinatrice Francesca Vianello, a cominciare dal fatto che l’università di Padova sia per ora l’unica a offrire un servizio del genere in tutto il Triveneto. Non è sempre semplice per i tutor e il personale universitario seguire persone detenute nelle strutture di Verona o di Trieste: per ora la soluzione è chiedere il trasferimento a Padova, mentre per il futuro si potrebbero attuare alcune forme di collaborazione con altri atenei più vicini.

Lo studio, come il lavoro, serve anche ad aprire la mente, a riflettere sul proprio passato e a ritrovare dignità per la propria vita. È l’esperienza di Armand: “Sono molto contento di poter fare l’università: entrambi i miei genitori sono laureati ed erano molto delusi per il mio percorso; per me questa è un’occasione di riscatto”. Un’opportunità che rischiava di sfumare: Armand infatti era stato trasferito in un’altra struttura a causa delle nuove norme contro il sovraffollamento; alla fine però, dopo oltre tre mesi, è riuscito a tornare e a coronare il suo sogno: “Al primo esame ero teso, poi però è andato tutto bene e ho preso anche un bel voto. Merito soprattutto del professore: mi sono sentito accolto come un vero studente universitario”.

Proprio alle emozioni e alla loro importanza per il nostro sviluppo cognitivo e interiore la prorettrice alla continuità formativa scuola-università-lavoro Daniela Lucangeli ha dedicato un’applauditissima prolusione: “Lo studio ci nutre e ci cambia in ogni momento. Anche da un punto di vista scientifico: ogni stimolo, positivo o negativo, modifica il nostro cervello”. Per questo è particolarmente importante imparare a coltivarsi e ad alimentare sentimenti positivi come il perdono e la gratitudine: “Più viviamo emozioni come l’ansia e l’angoscia, più ci ammaliamo di esse. La noia ci spegne come la fame, mentre studiare ci alimenta”.

Daniele Mont D’Arpizio

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