UNIVERSITÀ E SCUOLA
A scuola di punteggiatura, ma all’università
Foto: Riccardo Venturi/contrasto
“Durante tutta la mia esperienza di docente universitario ho sempre constatato che purtroppo la scuola consegna all’università una popolazione studentesca largamente impreparata all’uso della lingua italiana”. A sottolinearlo è Francesco Sabatini, presidente onorario dell’Accademia della Crusca e per molti anni docente universitario, e con lui sembrano concordare in parecchi. “C’è un calo generale della capacità di dominare la lingua italiana scritta negli ambiti formali – osserva anche Michele Cortelazzo, direttore del dipartimento di Studi linguistici e letterari dell’università di Padova – e sarebbe necessario fare una valutazione scientifica non approssimativa del livello di questo calo”. La situazione non sembra essere confinata solo a qualche corso di laurea: da Giurisprudenza a Scienze politiche, passando per Lingue il problema è avvertito dal corpo docente. Con qualche (attesa) eccezione.
Nel corso di laurea in Lettere a Padova ad esempio i ragazzi non dimostrano di avere particolari difficoltà linguistiche. Andrea Afribo, linguista e presidente del corso di laurea, sottolinea che larga parte degli studenti proviene dai licei classici e scientifici e nei test d’ingresso quasi nessuno ottiene debiti formativi.
Se tuttavia ci si sposta in altri ambiti, la situazione appare differente. Attilio Motta, docente di Letteratura italiana e responsabile di un laboratorio di italiano nel corso di laurea triennale in Mediazione linguistica e culturale, evidenzia difficoltà significative sia di natura sintattica che ortografica. Come del resto confermano i test d’ingresso per il corso di laurea in Mediazione linguistica e culturale e Lingue letterature e culture moderne, in cui una percentuale elevata dei ragazzi, complice la provenienza anche da istituti tecnici e professionali sottolinea il docente, dimostra di avere carenze nella lingua italiana. In generale le lacune maggiori si osservano nell’uso della punteggiatura, degli accenti, dei tempi verbali e delle subordinate implicite.
Nel 2014 nei test di ammissione a Giurisprudenza e Consulente del lavoro a contrarre un debito formativo è stato il 15% degli studenti su 825. E se i risultati nella comprensione del testo, morfologia, sintassi e logica sono risultati buoni, scarse si sono rivelate invece le competenze lessicali, oltre alla cultura generale. “A Giurisprudenza – sostiene Stefano Solari – gli studenti possiedono in ambito linguistico una preparazione migliore che in altri corsi di laurea, ma esistono in ogni caso dei problemi”. E anche Chiara Maria Valsecchi, presidente del corso di laurea, evidenzia carenze nelle conoscenze lessicali, grammaticali e sintattiche.
I corsi di “sostegno” rivolti in particolare alle matricole con debito formativo non mancano anche se in qualche caso, quando non obbligatori, accade che siano poco frequentati dagli studenti. Nel 2008, argomenta Elena Pariotti presidente della scuola di Economia e Scienze politiche, si è cercato di far fronte alle carenze linguistiche rilevate con un laboratorio di scrittura extracurriculare, rivolto agli studenti delle lauree triennali dell’allora facoltà di Scienze politiche che non avessero superato la prova di abilità linguistica nel test d’ingresso. Un corso di redazione testi che nel 2009 venne rivolto invece ai laureandi. Per mancanza di fondi, di spazi e anche per la scarsa frequenza degli studenti tuttavia non hanno avuto seguito, sebbene a detta di Pariotti avrebbero potuto rivelarsi utili. Cosa diversa ovviamente sono gli insegnamenti di lingua italiana o i laboratori di scrittura nei corsi di laurea in Lettere o Comunicazione ad esempio, che propongono invece uno studio scientifico e specialistico della materia.
Ancora, a Scienze della formazione una ricerca condotta da Nazzarena Novello su 381 matricole negli anni accademici 2009/2010 e 2010/2011 mette in evidenza la “profonda debolezza” delle matricole, difficoltà che in quel caso specifico riguardavano soprattutto le componenti testuali (come la capacità di sintesi) più delle abilità linguistiche.
In altri atenei la situazione non sembra differente. “Gran parte degli studenti non sa scrivere. Ciò non significa non sapersi esprimere in bella forma, ma commettere gravi errori di grammatica e non avere consapevolezza della sintassi”. Eleonora Sirsi, docente di diritto all’università di Pisa, non usa mezzi termini e mette in evidenza carenze che hanno portato l’ateneo toscano a istituire dal prossimo anno accademico, nell’ambito della propria offerta formativa, un ciclo di lezioni (comprese tra i corsi opzionali) che cercheranno di colmare queste lacune. Una proposta rivolta agli studenti del corso di laurea magistrale in Giurisprudenza e della triennale in Diritto dell’impresa, del lavoro e delle pubbliche amministrazioni. “Un grido di allarme”, secondo Sabatini che ha preso parte al progetto.
“Il problema – continua Sirsi – non va confuso con la questione più generale dello stile e del linguaggio tecnico giuridico, con la capacità retorica e l’efficacia dell’argomentazione. Il problema sta a monte e non si può parlare di linguaggio specialistico, se prima non sono state risolte le carenze linguistiche di base. Per noi giuristi il linguaggio è fondamentale, serve a comunicare decisioni, ordina, vieta”. L’idea dunque è di offrire un percorso che rafforzi queste competenze lavorando in modo specifico su testi giuridici e di affidare la didattica a un giurista esperto di lingua italiana supportato in alcuni momenti del corso da linguisti di professione. “Confrontandoci sull’argomento – sottolinea la docente – è emerso che questa situazione non caratterizza solo Giurisprudenza ma è estesa a tutti i livelli”. Al punto che l’università di Pisa sta considerando di inserire in ogni corso di laurea un insegnamento volto a potenziare le capacità di scrittura degli studenti (grammatica e sintassi in particolare), affiancando poi di volta in volta i relativi linguaggi specialistici.
Se questa è la situazione generale, quali sono le radici del problema? Secondo Sabatini la responsabilità è da attribuire alle università che non avrebbero fornito a chi si sarebbe occupato di formazione primaria e secondaria l’opportuna preparazione linguistica. “Fino a 15 anni fa la linguistica non era una materia di studio ritenuta importante per formare gli insegnanti di italiano e si riteneva che la storia della letteratura potesse provvedere a tutto. In realtà senza lo studio specifico della lingua italiana il professore a scuola si arrangia con un po’ di letteratura e retorica”. I docenti, al contrario, dovrebbero possedere una solida conoscenza tecnica e scientifica dei fatti linguistici e dei processi cognitivi che questi sottendono. Secondo Sabatini invece i ministri tacciono sulle carenze di formazione degli insegnanti e di impostazione dei programmi scolastici e si pongono altri obiettivi, come l’insegnamento dell’informatica o dell’inglese. Tutte discipline importanti, certo, come del resto però lo è anche l’italiano.
Dare poi parte della colpa alle nuove tecnologie, come a volte si tende a fare, non è la soluzione. “Il computer – continua Sabatini – non sostituisce la riflessione sull’uso della lingua. La tecnologia è solo un mezzo e il fatto, anzi, che i nuovi strumenti permettano di scrivere di per sé attribuisce importanza alla scrittura stessa”. L’uso di abbreviazioni, utilizzate per necessità o divertimento, nella comunicazione attraverso il cellulare non costituisce come si potrebbe pensare una “minaccia” ad un uso corretto della lingua scritta, ma al contrario potrebbe rappresentare addirittura un piccolo stimolo. Certo non deve mancare, parallelamente, l’insegnamento e l’allenamento nella pratica della scrittura e della lettura. Sabatini indica piuttosto nella forte riduzione della scrittura manuale durante la formazione primaria una nota dolente. “Scrivere con la mano e dunque utilizzare la punta delle dita come terminale del cervello rafforza le abilità di scrittura e di lettura”. Servendosi subito di strumenti come il computer si mette invece in secondo piano la funzione della mano e si indeboliscono le basi della padronanza della lingua scritta.
Monica Panetto