UNIVERSITÀ E SCUOLA

Sudafrica: l'apartheid riparte dall'università?

Non accennano a placarsi le contestazioni studentesche in Sudafrica, dopo che il 13 ottobre scorso il ministro delle Finanze Nhlanhla Nene ha discusso in parlamento l’aumento dell’11% delle tasse universitarie, facendo esplodere numerose manifestazioni nei principali atenei del paese. La protesta, nata alla Witwatersrand University di Johannesburg, si è estesa rapidamente anche agli istituiti di Cape Town, Pretoria, Durban, Port Elizabeth e Grahamstown, che risultano ancora occupati o chiusi per la sospensione delle attività accademiche. Alla base, la convinzione che le pessime condizioni del diritto allo studio sudafricano siano il risultato del travagliato percorso di rinascita del paese dalla caduta dell’apartheid ai nostri giorni. “Le radici di questa protesta – spiega il professor Antonio Pezzano, docente di politiche di sviluppo locale in Africa all’università di Napoli “L’Orientale”, affondano in un nodo principale risalente al periodo transitorio che ha coinvolto il Sudafrica tra la caduta dell’apartheid e la nascita della democrazia. Se da un lato la politica ha visto il trionfale consolidamento dell’ANC, l’African National Congress, al potere da quasi vent’anni, ciò che non è stato realmente affrontato è il cambiamento reale delle condizioni strutturali della società, ovvero l’estensione e la garanzia dei diritti anche a quella parte di popolazione che se li è visti negare nel periodo in cui vigeva la segregazione razziale.” Tra i principali sostenitori delle manifestazioni c’è Rhodes Must Fall, movimento studentesco già protagonista della mobilitazione che in aprile portò all’abbattimento della statua di Cecil Rhodes, leader politico britannico, dall’ingresso del campus di Cape Town. Seppur con minore partecipazione e condensate nelle università più periferiche, sono state molte le proteste che negli ultimi anni hanno riportato al centro del dibattito le questioni razziali, ricevendo sempre una dura condanna da parte dei vertici accademici e politici. “Una simile chiusura delle istituzioni – continua Pezzano - può essere ricondotta al timore di rompere un equilibrio nella narrazione del nuovo Sudafrica democratico. Questa generazione di ventenni  è anche la prima a essere nata libera. L’apartheid è terminato formalmente nel 1991 e nel 1994 ci sono state le prime elezioni libere a suffragio universale. Sono ragazzi che hanno vissuto la democrazia e non hanno partecipato alla costruzione della nuova nazione guidata da Mandela. Oggi vengono rimessi in discussione alcuni dei problemi che la lotta all’apartheid aveva identificato e che non sono mai stati risolti, primo fra tutti il fatto che la disuguaglianza veniva e viene tuttora coniugata in due categorie, classe e razza. I due elementi  sono inscindibili, in quanto lo stesso apartheid è stato un impianto di ingegneria sociale costruito sul presupposto fondamentale di mantenere la maggioranza della popolazione africana come forza lavoro disponibile al più basso costo. Mentre da un punto di vista formale, con la nuova costituzione, non ci sono più differenze imposte in base alla razza, quello che non è stato portato avanti è il processo di integrazione socio-economica.” Nonostante la proposta avanzata dal ministro dell’Istruzione Blade Nzimande di limitare l’aumento delle tasse al 6% e il successivo annuncio del presidente Zuma di sospendere ogni procedura per il 2016, i giovani  continuano a rifiutare un dialogo con le istituzioni. “ Finora – commenta Pezzano - hanno denigrato i manifestanti, tacciandoli di essere nemici del paese, salvo poi cercare con loro un compromesso, per eliminare il motivo della loro protesta. La vera sfida per il movimento studentesco sarà di non cadere nella trappola mediatica preparata dal governo e dimostrare che la ragione del malcontento è più ampia e non estemporanea. E, non secondariamente, di saldare la loro protesta a quella di altri lavoratori, strutturandosi meglio a livello nazionale. Stando all’ultimo comunicato diffuso, sembra stiano cercando di unirsi ai precari dell’università, in particolare gli addetti alla pulizia o agli altri servizi che vengono subappaltati, con salari minimi. Attualmente in Sudafrica si avvicina anche la fine dell’anno accademico, con le sessioni d’esame e di laurea, pertanto la chiusura di molte università e la sospensione del regolare piano didattico viene vista come un’arma di ricatto.” Rispetto all’auspicio di un’istruzione gratuita per tutti i sudafricani, uno dei punti principali della campagna elettorale di Nelson Mandela che lo portò a trionfare alle elezioni del 1994, oggi sembra inevitabile la privatizzazione del sistema scolastico, che acuirebbe clamorosamente il divario con la popolazione non ancora integrata nel sistema. “Una delle richieste principali del movimento studentesco è quella di avere un’università pubblica finanziata totalmente dallo stato – conclude Pezzano. In Sudafrica, così come in America, i consigli di amministrazione hanno un potere manageriale pesantissimo, di gran lunga superiore a quello del rettore, e nell’ultimo decennio le tasse a carico degli studenti sono salite dal 20% al 30%. I costi che le famiglie si devono accollare sono aumentati sensibilmente e i prestiti d’onore, a cui ricorrono soprattutto gli studenti neri, rappresentano un debito che assai difficilmente potrà essere ripagato. La percentuale di poveri non è assolutamente diminuita dal 1994, anzi. Ora, ufficialmente, la disoccupazione è al 25%, ma se consideriamo il dato in riferimento ai giovani arriva al 50%. Se poi lo disaggreghiamo per gruppi razziali, perché le statistiche in Sudafrica si continuano a elaborare anche in questo senso, per visionare l’eredità dell’apartheid, tra i giovani neri raggiunge anche il 70-80%.” Dopo vent’anni di politica interna conservatrice, il Sudafrica deve iniziare a fare i conti con le proteste di quanti, appellandosi al diritto di uguaglianza, lamentano l’esclusione dei meno abbienti dal mondo della scuola e del lavoro. Per capire in quale direzione si muoverà il paese sarà fondamentale conoscere l’esito che avranno le elezioni dei governi locali in programma per l’anno venturo.

Gioia Baggio

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