SOCIETÀ

Trump e il rebus elettorale americano

Da Padova a Sidney, da Tokyo a Boston, gli scienziati politici di tutto il mondo stanno osservando le elezioni americane con gli occhi sgranati e continueranno a farlo fino a che i risultati definitivi delle elezioni presidenziali del prossimo 8 novembre non saranno disponibili. La ragione è semplice: di rado un'elezione presidenziale aveva sollevato così numerosi problemi sul funzionamento di un sistema politico e aperto così interessanti prospettive di ricerca. Nel 2012, per esempio, a quest'epoca era già chiaro che Barack Obama sarebbe stato confermato come presidente, di fronte a uno sfidante poco carismatico come il repubblicano Mitt Romney.

Nel 2016, invece, abbiamo una quantità di questioni interessanti sul piatto, a cominciare da quella che tra pochi mesi influenzerà la vita di tutti noi: Donald Trump può vincere? Ma prima di rispondere alla domanda da 1 milione di dollari vediamo quali altri temi sono sul tappeto: 1) I due candidati sopravvissuti alle primarie sono entrambi visti negativamente da una maggioranza di americani: questo può far emergere un terzo partito in un sistema fortemente bipolare come quello degli Stati Uniti? 2) Le primarie hanno permesso quella che è stata sostanzialmente la "conquista dall'esterno" del partito repubblicano, operata da un miliardario privo di esperienza politica. Siamo di fronte a un nuovo caso Berlusconi? Il partito si spaccherà? Il sistema di nomina dei candidati sarà rivisto? 3) Si discute molto del ruolo del denaro nella politica degli Stati Uniti, ma candidati con una grande disponibilità di fondi, come Jeb Bush, hanno fatto pochissima strada, mentre Trump ha speso pochissimo per conquistare la nomina. 4) Tutto dipende dall'università? Le primarie e i sondaggi hanno fin qui registrato un forte impatto del titolo di studio sull'orientamento politico: gli elettori laureati preferiscono largamente Hillary Clinton, quelli non laureati Donald Trump. Questa polarizzazione si manterrà anche nel voto dell'8 novembre? Cosa ci dice dello stato della società americana? 5) Infine: Trump sta violando tutte le regole tradizionali della comunicazione politica, con uno stile fortemente personale, violento, demagogico. Sarà un vantaggio o uno svantaggio per lui? Sono cambiate le regole del gioco o si tratta di un'eccezione che verrà rapidamente riassorbita?

Ma alla fine, chi vincerà? Se volete una risposta che sia fondata su qualcosa di più delle apparizioni notturne nella mia sfera di cristallo occorre guardare a ciò che gli scienziati politici chiamano i "fondamentali" di una tornata elettorale. Nel caso americano, i fondamentali sono questi: a) È un'elezione di secondo grado, che viene decisa dai delegati eletti stato per stato nel cosiddetto collegio elettorale, quindi conta moltissimo la distribuzione dei voti: può accadere, ed è già  accaduto tre volte nella storia delle elezioni presidenziali, che il candidato con meno suffragi popolari ottenga una maggioranza nel collegio elettorale e diventi presidente (così accadde a George W. Bush nel 2000). b) Tuttavia, questo meccanismo negli ultimi anni tende a favorire i democratici, i cui consensi sono concentrati in stati ricchi di voti come la California, New York e Illinois. Secondo i calcoli di rispettati politologi come Larry Sabato (University of Virginia), Hillary Clinton potrebbe ottenere addirittura 347 voti elettorali su 538 (la maggioranza necessaria è 270). c) Negli Stati Uniti l'affluenza alle urne è normalmente bassa, raramente supera il 50%. Questa media, però, è il frutto di comportamenti molto diversi tra i gruppi etnici e sociali: i bianchi votano più delle minoranze, i vecchi più dei giovani, i laureati più dei non laureati. L'esito finale, quindi, dipende fortemente da quanto i due partiti riescono a mobilitare i propri sostenitori nei vari segmenti dell'elettorato. d) Come sta andando l'economia? Il presidente in carica è popolare? Se sì, il suo partito è avvantaggiato, se l'economia va male è lo sfidante ad avere più chances. Per riassumere: Hillary Clinton ha un forte sostegno tra le donne, tra i neri e gli ispanici, tra i laureati. Normalmente questo dovrebbe condurla a una larga vittoria, come prevedono Alan Abramowitz, un altro esperto di elezioni che raramente sbaglia, e Nate Silver, lo statistico più noto degli Stati Uniti. Tuttavia Trump ha mostrato di saper interpretare le paure e le frustrazioni dei maschi bianchi non laureati, che ne apprezzano lo stile non convenzionale e le brutali proposte contro gli immigrati (percepiti come responsabili della stagnazione dei salari e delle loro difficoltà a trovare buoni posti di lavoro). Un forte afflusso alle urne da parte di questo gruppo di elettori, magari accompagnato da un risultato deludente della Clinton fra i giovani che sostenevano Bernie Sanders potrebbe però creare la sorpresa. Restate in ascolto.

Fabrizio Tonello

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