SCIENZA E RICERCA

Marmolada. Varotto: "Un salto di scala nei processi drammatici di fusione dei ghiacciai"

A oltre una settimana dal distacco dell’enorme blocco di ghiaccio che ha ucciso undici persone sulla via normale verso la vetta della Marmolada cominciano ad essere più chiare le ragioni che hanno portato a un crollo di così vaste dimensioni su un ghiacciaio finora ritenuto stabile.

Gli esperti che in questi giorni hanno effettuato le prime ricostruzioni della dinamica di quanto accaduto sottolineano che è certamente difficile, se non impossibile, prevedere in modo preciso e puntuale il verificarsi di un evento di questo tipo. Come spiega Mario Giardino, segretario Generale del Comitato Glaciologico, in un’intervista al Corriere della sera i ghiacciai sono tanti, ognuno con una conformazione, e gli unici ad essere monitorati quotidianamente, con strumenti tecnologici, sono i ghiacciai Planpincieux e Grandes Jorasses, lungo la dorsale italiana del Monte Bianco, perché incombono sui centri abitati. 

Al tempo stesso però è diffusa la consapevolezza che il ghiacciaio della Marmolada, come molti altri che si trovano a quote non elevatissime, era da tempo sottoposto a condizioni di forte stress termico, con temperature che negli ultimi due mesi avevano superato di due gradi le medie del periodo 2008-2021, e proveniva da un inverno in cui le precipitazioni nevose erano state particolarmente scarse. Le immagini satellitari analizzate dagli scienziati dell’Istituto di scienze polari del Cnr mostrano che nella seconda metà di giugno la neve sul ghiacciaio si era sensibilmente ridotta cedendo il passo alla roccia nuda: sottoposto a forte radiazione solare e privo di neve che potesse proteggerlo, spiegano i ricercatori del Cnr, il ghiaccio è andato incontro a una rapida fusione producendo acqua che si è insinuata all'interno dei crepacci e ha spinto contro la parte inferiore della placca finendo anche per fare da lubrificante tra il ghiaccio stesso e la roccia. 

"E' difficile dire se altre porzioni del ghiacciaio siano a rischio di crolli - ha spiegato Fabrizio De Blasi, assegnista di ricerca dell’Isp e tra gli autori della ricostruzione in un'intervista a Il Post - ma possiamo cambiare la nostra prospettiva facendo diverse valutazioni sui rischi". Il fatto singolo insomma è altamente imprevedibile e, come ha ricordato Emilio Aldeghi, presidente del Cai Lombardia, le persone travolte dal crollo della massa di ghiaccio erano "correttamente equipaggiate" e percorrevano una via non particolarmente impegnativa. Purtroppo però con il cambiamento climatico che sta accelerando i fenomeni di fusione e con le ondate di caldo eccezionale e prolungato che portano lo zero termico sempre più in alto bisogna ritenere tutti i ghiacciai a rischio di cedimenti, soprattutto se ad altitudini non particolarmente elevate. 

Di quanto accaduto sulla Marmolada abbiamo parlato con Mauro Varotto, docente di Geografia all’università di Padova e responsabile delle misurazioni che annualmente vengono condotte sul più importante ghiacciaio delle Dolomiti per monitorarne lo stato di salute e il progressivo arretramento di superficie e di volume. 

"Questo fenomeno costituisce un salto di scala dal punto di vista dei processi drammatici di fusione perché un distacco così importante non era mai avvenuto prima. Occorre quindi ripensare completamente le norme di sicurezza sul ghiacciaio perché nessuno si aspettava che potesse staccarsi una massa così grande di ghiaccio da una superficie che veniva ritenuta sostanzialmente stabile. E questo fa pensare che anche altre zone, magari notevolmente crepacciate e in forte pendenza, possano cedere senza preavviso", osserva il professor Varotto confermando inoltre che "il destino della Marmolada purtroppo è segnato e grossa parte del ghiacciaio scomparirà entro il 2035". 

Mauro Varotto, spiega con l'aiuto del plastico presente al Museo di Geografia, il crollo sul ghiacciaio della Marmolada. Servizio, riprese e montaggio di Barbara Paknazar

Le cause del crollo dell'enorme blocco di ghiaccio sul Marmolada

Sui ghiacciai il cedimento di pezzi di ghiaccio durante la stagione estiva non è un fenomeno nuovo ma certamente la tragedia della Marmolada apre un nuovo capitolo nella valutazione dei rischi. I processi di fusione avvengono a quote sempre più elevate e le temperature record della seconda metà di giugno sono andate a impattare su una montagna già in sofferenza, i cui equilibri sono piegati dagli effetti del cambiamento climatico. Al momento del crollo la temperatura sulla vetta di Punta Penia, a 3.343 metri, superava i 10 gradi e il fronte che è precipitato verso valle è venuto giù per un chilometro e mezzo a circa 300 all’ora.

"Quello che è successo sulla Marmolada il 3 luglio 2022 è un fenomeno assolutamente inedito almeno per questo ghiacciaio perché si è staccato un blocco molto grande di ghiaccio delle dimensioni di un campo da calcio, circa 30-35 metri di altezza e con un'estensione di un centinaio di metri. Il blocco è scivolato giù dalla parete rocciosa, favorito dalla pendenza del punto in cui si trovava, e ha attraversato il vallone che è sulla via normale per l’ascesa a Punta Penia che è la cima del ghiacciaio. Questo distacco è avvenuto sostanzialmente a causa di tre fattori: il primo è che il persistere di un periodo caratterizzato da alte temperature ha messo il ghiacciaio in condizioni di ablazione sia di giorno che di notte, favorendo quindi la fusione del ghiaccio e l’alimentazione di torrenti subglaciali. Questi torrenti hanno distaccato il ghiaccio dalla superficie rocciosa sottostante e la seraccatura del ghiacciaio in quella posizione ha fatto da punto di scissione del blocco di ghiaccio che è venuto giù tutto insieme", spiega il professor Mauro Varotto.

Al fattore temperatura si aggiunge la morfologia del ghiacciaio stesso contraddistinta a sua volta da una forte inclinazione ma anche da una condizione di elevata frammentazione. "In sostanza, un ghiacciaio molto frastagliato con ridotte dimensioni di ghiaccio intervallate da roccia che contribuisce a sua volta a surriscaldare il ghiaccio stesso", prosegue il docente del dipartimento di Geografia dell'università di Padova.

Un aspetto, quello della frammentazione, che era già stato messo in evidenza anche da uno studio pubblicato nel 2019 sulla rivista Remote Sensing of Environment in cui veniva analizzata l'evoluzione del ghiacciaio della Marmolada nel decennio 2004-2014. 

"Nella prima metà del Novecento il ghiacciaio arretrava molto lentamente ma poi la fusione ha avuto un’accelerazione che continua ancora oggi e che è dovuta a due fattori: il primo è che all’inizio il ghiacciaio ha perso di volume e quindi le masse glaciali si sono progressivamente assottigliate, restando però sostanzialmente nella stessa posizione o arretrando di molto poco. Tuttavia quando gli spessori di ghiaccio si sono ridotti significativamente la superficie ha iniziato ad arretrare molto più velocemente. C’è quindi un fattore volumetrico di riduzione dello spessore del ghiacciaio, ma c’è anche un aumento delle temperature che negli ultimi anni è molto forte. Questi due fattori hanno portato a una rapidità del processo di arretramento che oggi vede il ghiacciaio con una superficie ridotta dell’80% e con perdite simili anche a livello di volume", approfondisce Varotto. 

La distesa di ghiaccio della cima più alta delle Dolomiti è quindi adesso ancora più vulnerabile davanti alle alte temperature perché l’assottigliamento del ghiacciaio accelera i processi di fusione.

Grande parte del ghiacciaio scomparirà entro il 2035

Il ghiacciaio della Marmolada è uno dei più monitorati dal punto di vista glaciologico e le misurazioni annuali confermano che potrà sopravvivere solo per altri 15 anni prima di essere "retrocesso" a glacio-nevato, come recentemente accaduto per esempio anche al Calderone, sul Gran Sasso, il corpo glaciale più a sud d'Europa.

"L’università di Padova, con i suoi geografi e geografi fisici, ha effettuato misurazioni praticamente dall’inizio del '900 ad oggi. Quello della Marmolada è dunque uno dei ghiacciai più studiati dell'arco alpino", sottolinea Varotto.

E dalle campagne di misurazioni effettuate annualmente continuano ad arrivare conferme sull'accelerazione dei processi di fusione dei ghiacciai e sul destino, purtroppo ormai segnato, del ghiacciaio della Marmolada che è destinato a scomparire entro il 2035. "Lo prova il fatto che se nell’arco dell'ultimo secolo la superficie si riduceva annualmente in media di circa due ettari e mezzo, negli ultimi 15 anni si sono persi 9 ettari all’anno. Se noi immaginiamo che il ghiacciaio ormai è meno di 120 ettari vuol dire che agli attuali ritmi di perdita in una quindicina di anni potrebbe scomparire quasi del tutto. Rimarranno probabilmente dei pezzi di ghiacciaio, che verrà declassato a glacionevato, nei punti più protetti sotto alle creste sommitali. Per il resto questo tipo di crolli o un’evoluzione leggermente più lenta ma comunque inesorabile porteranno alla scomparsa di quasi tutta la massa glaciale della Marmolada", spiega il responsabile scientifico del Museo di geografia dell’università di Padova.


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"Questo è il destino di un ghiacciaio medio-piccolo e relativamente basso: sarà uno dei ghiacciai più rilevanti dal punto di vista simbolico e dell’importanza antropica che scomparirà per primo", osserva il professor Varotto, aggiungendo che il 90% dei circa 900 ghiacciai ancora presenti sull'arco alpino ha una superficie  inferiore al chilometro quadrato (quello della Marmolada supera di poco questa dimensione). L'ultimo Catasto dei ghiacciai italiani, aggiornato al 2015, rivela inoltre che il numero complessivo dei ghiacciai è aumentato di quasi cento unità rispetto alla fine degli anni '50 del secolo scorso, ma a ben guardare si tratta di un pessimo segnale perché è determinato dalla frammentazione dei ghiacciai già esistenti che diventano così sempre più fragili. 

"La Marmolada anticipa quello che è il destino della stragrande maggioranza del ghiacciai alpini, rimarranno a fine secolo solo i grandi ghiacciai che sono posizionati a quote superiori, intorno a 4.000 metri", spiega l'esperto dell'università di Padova.

Come dovrà cambiare la valutazione dei rischi in montagna?

Al momento non esiste un sistema di allerte simile ai bollettini con cui durante la stagione invernale vengono diramati i rischi di valanghe e quindi la decisione di intraprendere o meno un'escursione viene lasciata alle valutazioni delle guide o delle singole persone. Secondo Carlo Barbante, glaciologo dell'università Ca' Foscari di Venezia e direttore dell'Istituto di scienze polari del Cnr, questi bollettini andrebbero mantenuti per informare sui rischi anche in estate.

Il professor Varotto è dello stesso avviso. "Non parliamo di fenomeni monitorabili per tutte le superfici di tutti i ghiacciai delle Alpi ma sicuramente la valutazione delle condizioni generali potrà spiegare e giustificare l’emissione di un’allerta che dovrà essere messa in opera dalle autorità in caso di situazioni estive particolarmente calde e determinerà evidentemente il tipo di frequentazione del ghiacciaio soprattutto in condizioni di forti criticità a livello meteorologico. Mi aspetto quindi che vengano diramati dei bollini rossi, un po’ come avviene per il caldo in città e che in questo modo si possa segnalare a chi si avventura in queste zone di alta quota verso ghiacciai in forte stress termico che occorre prestare attenzione alla possibilità che si verifichino situazioni di questo tipo".

Ma, osserva il docente del dipartimento di Geografia dell'università di Padova, oltre a una maggiore consapevolezza sui comportamenti da adottare in montagna bisogna essere disposti a rivedere profondamente i propri stili di vita e le abitudini quotidiane "perché ciò che accade sul ghiacciaio oggi è il segnale di un modello di sviluppo insostenibile. Chiediamoci quindi non solo come comportarci in Marmolada ma nella vita di ogni giorno riducendo evidentemente l’impronta carbonica che è molto alta e determina riscaldamento globale e dunque anche questi effetti a cascata a livello locale".

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