SOCIETÀ

Francia, il governo forza la mano sulla riforma delle pensioni tra le proteste

Macron sfida la Francia e i francesi sulla riforma delle pensioni, con un atto di forza che ha spinto ieri i deputati “ribelli” a intonare la Marsigliese in una seduta burrascosa, mentre il primo ministro Elisabeth Borne annunciava tra i fischi la scelta di utilizzare l’articolo 49, paragrafo 3, della Costituzione francese, che consente al governo di adottare un testo senza chiedere un voto al Parlamento. Una mossa della disperazione per il presidente, decisa all’ultimo secondo, non appena si è reso conto che non avrebbe avuto la maggioranza dei voti all’Assemblea Generale, a differenza di quanto accaduto pochi giorni fa al Senato. «Non possiamo scommettere sul futuro delle nostre pensioni», ha detto la premier all’assemblea quasi a giustificare la scelta di ricorrere al 49.3, che tuttavia recita così: «Il progetto di legge si considera approvato, a meno che non si voti una mozione di censura, presentata entro ventiquattro ore». Detto, fatto: a sostenere di voler presentare la mozione (che deve essere sottoscritta da almeno 58 deputati, un decimo dell’Assemblea) sono stati, trasversalmente, tutti i partiti contrari a quella riforma delle pensioni che da due mesi a questa parte sta agitando le piazze in ogni angolo della Francia. «Questo governo e questo primo ministro non sono degni della Repubblica», ha dichiarato a caldo Fabien Roussel, segretario del Partito Comunista Francese. Gli ha fatto eco Marine Le Pen, la leader di destra presidente del Rassemblement National: «Borne non può più restare al suo posto. La situazione sociale rischia di peggiorare. E i francesi diranno che stiamo deviando, che stiamo manipolando la democrazia». Contrari alla “scorciatoia” del 49.3 anche alcuni deputati di Renaissance, il partito politico che fa capo al presidente Macron: «Il governo avrebbe dovuto andare al voto», ha scritto su Twitter il deputato Eric Bothorel. «Oscillo tra delusione e rabbia: il voto era un dovere per le nostre opposizioni, verso coloro che fino ad ora hanno mostrato il loro disaccordo con la riforma, sempre con calma e dignità. Sconfitta o vittoria nel voto, la democrazia avrebbe parlato».

Sarà questo il tasto su cui le opposizioni, tutte, batteranno con forza per mettere il governo all’angolo: il rispetto per la democrazia, “sfregiato”, per così dire, da un escamotage costituzionale. Se l’Assemblea Generale dovesse votare a maggioranza una mozione di sfiducia (almeno 289 voti su 577 membri dell’Assemblea nazionale), il governo di Elisabeth Borne cadrebbe all’istante. Ma se invece il governo dovesse resistere allo stress test, la tanto contestata riforma delle pensioni sarebbe già legge. Le mozioni, che si trasformano così in una sorta di “fiducia”, saranno “esaminate” dall’Assemblea Generale lunedì prossimo, 20 marzo. Ma il “termometro” sociale boccia senza appello l’operato di Macron: un sondaggio sostiene che il 71% dei francesi vuole le dimissioni immediate del governo, mentre il 65% degli intervistati chiede che la mobilitazione continui.

Un epilogo del genere, dopo oltre due mesi di massicce proteste e di scioperi prolungati in diversi settori (dalle forniture di energia elettrica e gas al trasporto pubblico locale, fino alla raccolta dei rifiuti), ha riacceso l’entusiasmo dei manifestanti, che si sono riversati in strada già nel pomeriggio di ieri, non appena si è diffusa la notizia del ricorso al “49.3”. Un gruppo di oltre 1500 studenti ha sfilato da Place de la Sorbonne verso il Palais-Bourbon, sede dell’Assemblea Nazionale. Migliaia di manifestanti si sono poi radunati in Place de la Concorde (in serata sono stati sgomberati dalla polizia con lacrimogeni e getti d’acqua). Ma il tema in primo piano, a questo punto, non è quasi più l’innalzamento dell’età pensionabile da 62 a 64 anni di età, ma il “peso politico” della prova di forza imposta da Macron: non soltanto contro i manifestanti, contro la piazza (con i sondaggi che continuano a evidenziare la contrarietà al progetto di riforma per due francesi su tre) ma addirittura contro il Parlamento, che non avrebbe fatto passare il testo. ««Non possiamo giocare con il futuro del paese, i rischi finanziari sono troppo grandi», aveva sostenuto Macron durante l’ultimo Consiglio dei ministri straordinario, secondo una fonte anonima, dettando di fatto la linea poi espressa in aula dalla premier Borne (in Francia il Presidente della Repubblica nomina il primo ministro, presiede il Consiglio dei ministri e “indirizza” l’operato dell’esecutivo). Il quotidiano Politico la definisce “un’enorme battuta d'arresto politica”. «Bypassare il Parlamento in questa fase quasi certamente aumenterà il sostegno ai sindacati francesi, che hanno guidato proteste e scioperi a livello nazionale da gennaio».

Crisi sociale e democratica

La sensazione è che Macron si sia spinto da solo all’angolo, senza la necessaria “copertura” parlamentare, dopo aver perso, e non di poco, la maggioranza in Parlamento nelle ultime elezioni del giugno 2022. E che, nonostante le avvisaglie, abbia deciso comunque di spingere a tavoletta sull’acceleratore. Il sostegno dei Républicains alla sua riforma è bastato al Senato, ma non all’Assemblea Generale, anche per dubbi e diffidenze maturati nelle ore immediatamente precedenti al voto di ieri. Eppure Macron ha continuato a spingere una riforma che da sempre i francesi osteggiano con feroce intransigenza: ne sanno qualcosa Chirac e Sarkozy, che nel 1996 e nel 2010 avevano tentato, senza successo, travolti dalle proteste, di scardinare quel sistema dei privilegi che in Europa non ha uguali. Le Président l’aveva promesso nel discorso di Capodanno: «Questo sarà l’anno della riforma del sistema pensionistico che mira a bilanciare il nostro sistema per gli anni e i decenni a venire. Dovremo lavorare di più». Puntando tutto sulla fermezza e sulla coerenza a discapito della tentazione di assecondare gli umori dell’elettorato. Vero è che le prossime elezioni presidenziali saranno nel 2027 e Macron, al secondo mandato, non potrà più ricandidarsi. Ma davanti a lui ci sono ancora quattro anni di presidenza, un voto per il Parlamento Europeo il prossimo anno, e un partito alle spalle, i liberali di Renaissance, che da questa vicenda escono assai ridimensionati. François Ruffin, giornalista, deputato per La France Insoumise, ha accusato Macron di «non avere radici reali nel Paese: la crisi sociale si trasformerà ora in una crisi democratica. Macron è un estremista, un vero pericolo per la democrazia». Anche il deputato di Les Républicains Aurélien Pradié scarica il Presidente: «Se il governo avesse ascoltato il paese, non saremmo dove siamo oggi. Quello che ci aspetta è raccogliere i pezzi. Il nostro paese è in uno stato estremamente pesante, è la rottura democratica che ci aspetta. Emmanuel Macron non può rimanere assente e spettatore di questa situazione che ha causato». Bisognerà vedere, entro lunedì prossimo, se Macron riuscirà a coagulare attorno a sé il sostegno compatto di Républicains e centristi. Nella serata di ieri la premier Borne ha rimarcato e difeso la “linea” del governo: «Il mio destino personale non mi farà mai prendere una decisione che considero contraria all’interesse del mio paese».

Proteste rafforzate, da Calais a Strasburgo

Il problema non è tanto aver fatto ricorso all’articolo 49.3, più volte usato in passato anche da questo governo (l’ultima lo scorso ottobre per far passare la legge finanziaria), quanto averlo attivato su un tema così divisivo e impopolare come la riforma delle pensioni. Dal 1958 a oggi il 49.3 è stato adottato 87 volte e mai i deputati avevano opposto una mozione di censura. Probabilmente questa volta la storia sarà diversa. Perché il fermento della piazza si salda con il malcontento delle opposizioni parlamentari, dei sindacati, dei lavoratori che da mesi gridano la loro contrarietà a quella riforma. Il “manifesto” di questa ferma opposizione è non soltanto nelle proteste di piazza che si susseguono, ma anche nei cumuli di spazzatura (si calcolano circa diecimila tonnellate), che puntellano le più iconiche vie della capitale francese (e di altre 34 città francesi), soprattutto nel quinto, nel sesto e nel sedicesimo arrondissement. I netturbini, che stanno bloccando sia la raccolta dei rifiuti sia l’attività di tre inceneritori nelle vicinanze di Parigi (Ivry-sur-Seine, Issy-les-Moulineaux e Saint-Ouen), sono direttamente toccati dalla riforma: non potrebbero andare più in pensione anticipata a 57 anni, ma a 59. La pensione anticipata spetta a tutti dipendenti pubblici il cui “impiego presenta un rischio particolare o una stanchezza eccezionale”, vale a dire agli appartenenti alla cosiddetta “categoria attiva” che abbiano almeno 17 anni di anzianità: come vigili del fuoco, cantonieri, infermieri. Invece i “super attivi” (agenti di polizia, guardie carcerarie, controllori del traffico aereo) possono lasciare il lavoro a 52 anni dopo 27 di servizio. Laurent Berger, segretario generale della CFDT (Confédération Française Démocratique du Travail), che già nei giorni scorsi aveva definito la riforma «scollegata dalla realtà concreta del lavoro», ha già annunciato nuove mobilitazioni sempre nel settore dei trasporti, nelle forniture di energia elettrica e di gas, nella movimentazione delle merci nei porti (Nantes, Le Havre, Brest, Saint-Nazaire). Gli ha fatto eco Philippe Martinez, segretario dell’altro, potente, sindacato CGT (Confédération Générale du Travail): «La mobilitazione e gli scioperi devono aumentare». E le proteste dilagano ovunque: da Lione a Bordeaux, da Lille a Calais, da Strasburgo a Besançon. Una giornata di sciopero è stata indetta per giovedì prossimo, 23 marzo. E nuove manifestazioni nel successivo fine settimana.

Lo scorso 11 marzo il Senato francese aveva votato a favore della riforma, che prevede in sostanza l’innalzamento dell’età pensionabile da 62 a 64 anni (in Italia è di 67 anni) e un aumento, a partire dal 2027, del numero di contributi (da 42 a 43 anni) per poter beneficiare di una pensione completa. «È un passo decisivo per realizzare una riforma che garantisca il futuro del nostro sistema pensionistico», aveva scritto su Twitter il primo ministro francese, Elisabeth Borne. Una riforma dallo sguardo lungo, nel senso che non c’è un’urgenza vera e propria nell’immediato, un deficit da coprire. Ma nel lungo termine, secondo gli studi, la sostenibilità potrebbe venir meno. «Se tra 5 o tra 10 anni avrete deficit annui di 10 miliardi di euro, dareste la colpa a noi», aveva spiegato lo scorso gennaio il portavoce del governo. Un “potenziale deficit” che potrebbe essere, teoricamente, finanziato in tre modi: riducendo l’importo delle pensioni (quindi facendo “pagare” i pensionati), aumentando i contributi a favore dei lavoratori dipendenti (e in questo caso ci rimetterebbero le aziende) oppure allungando l’età lavorativa. Che è stata poi l’opzione scelta da Macron, anche per riallineare la Francia al resto d’Europa, almeno in parte. Nell’Unione Europea l’età pensionabile media è di 64,4 anni. Fanalino di coda sono proprio la Francia e la Slovacchia, con 62 anni. La Svezia è appena passata dai 61 anni ai 63 (ma si può scegliere di lavorare fino a 69 anni). Ferme a 67 anni Italia e Grecia. Soglia alla quale puntano anche Spagna, Germania, Belgio, che finora hanno il limite minimo fissato ad almeno 65 anni. Lunedì sapremo se la Francia avrà una nuova legge, operativa, che regola le pensioni. E se avrà ancora un governo in carica. E se Macron sarà rimasto in sella, se il “macronismo” sarà ancora un modello presentabile. Consapevoli che un’eventuale sconfitta all’Assemblea Generale del Presidente francese potrebbe avere inevitabili riflessi sul piano internazionale. 

 

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