SOCIETÀ

Le sfide della Nigeria e del suo nuovo presidente

Lo chiamano “il padrino di Lagos”, e questo già la dice lunga sulla fama di Bola Ahmed Tinubu, 71 anni, che da lunedì scorso è ufficialmente il nuovo presidente della Nigeria, dopo aver vinto le elezioni più serrate, controverse e contestate degli ultimi anni. Tinubu, del partito di centro “Congresso di tutti i progressisti”, come l’ex presidente Buhari, dimissionato dopo due mandati tutt’altro che esaltanti, ha ottenuto appena il 36% dei voti, comunque sufficienti a superare gli altri due candidati, uno di centrodestra (Atiku Abubakar, Partito democratico del popolo, 29% di preferenze), l’altro di centrosinistra (Peter Obi, Partito laburista, rimasto ufficialmente fermo al 25%). Anche se entrambi i candidati sconfitti hanno subito chiesto l’annullamento delle elezioni e presentato ricorsi in tribunale, sostenendo che il risultato delle urne era stato truccato, manipolato, soprattutto per quel che riguarda il voto elettronico (denominato Bvas), introdotto per la prima volta in queste presidenziali proprio nella prospettiva di evitare brogli, con la trasmissione in tempo reale dei voti al server centrale. Ma qualcosa, è evidente, non ha funzionato a dovere. La Commissione elettorale nazionale indipendente (Inec) ha ammesso che ci sono stati “problemi”, ma ha respinto l’accusa che il voto non sia stato libero ed equo. Tra i “problemi” anche i frequentissimi episodi di violenza ai seggi, ad opera dei cosiddetti “teppisti politici”, segnalati praticamente in tutti i 36 stati della Nigeria. Come scrive il quotidiano nigeriano Vanguard: «I teppisti politici armati sono andati in giro a rubare urne, attaccare gli elettori e impedire a coloro che sono sospettati di essere avversari di votare. Nello stato di Benue sei persone che avevano preso d’assalto gli uffici elettorali per rubare le urne sono state uccise dal personale di sicurezza. Più di 50 teppisti politici hanno invaso il centro di raccolta Inec per la circoscrizione dello stato di Ogoja interrompendo la raccolta dei risultati, vandalizzando il posto, portando via materiale elettorale e aggredendo il personale. Le elezioni presidenziali sono finite in violenza in gran parte dello Stato di Rivers, con i più giovani a protestare in strada sostenendo che un politico di spicco del partito di governo di Ikwerre era scappato portando con sé urne piene di schede già votate. Molti osservatori hanno condannato le elezioni del 25 febbraio in seguito alle diffuse violenze e irregolarità elettorali, definendole le peggiori nella storia dei processi elettorali della Nigeria».

Parlare di voto “libero ed equo”, con queste cronache documentate alle spalle, appare sinceramente una forzatura. Pochi giorni fa anche la Bbc ha pubblicato un reportage, condotto nello stato di River, nel quale si dimostra che alcuni risultati delle elezioni presidenziali in Nigeria sono stati pesantemente manipolati: a tutto svantaggio del candidato di centrosinistra Peter Obi, assai amato tra gli elettori più giovani (oltre la metà dei 220 milioni di nigeriani ha meno di 19 anni), che si è ritrovato in diversi seggi con i voti più che dimezzati. La Bbc svela inoltre un dettaglio che la dice lunga sull’organizzazione della “macchina elettorale” e sulla regolarità delle operazioni di voto: «Johnson Sinikiem, portavoce regionale della Commissione elettorale nazionale indipendente della Nigeria (Inec) a Port Harcourt, ci ha detto che a causa di una “grave carenza di tempo e personale” l’Inec era stata costretta ad assumere personale senza verificare i loro documenti di identità». Alla fine il dato sull’affluenza, in un paese storicamente poco incline alla partecipazione (alle ultime elezioni del 2019 aveva votato il 35% degli elettori) è stato sconfortante: appena il 27% dei 93 milioni di nigeriani si è recato alle urne. Le ragioni possono essere le più diverse: per paura di attentati, per disillusione, per aver subìto minacce, per la difficoltà a raggiungere i seggi, anche per la cronica mancanza di carburante che rende assai difficili, e costosi, gli spostamenti. Comunque si tratta della più bassa percentuale di partecipazione democratica di sempre. E non un buon segnale per il futuro.

Tante promesse, tante ombre

Ma tant’è: da questa melma di manipolazioni e di violenze, di collusioni e di intimidazioni, è uscito fuori il nome di Bola Tinubu, ex governatore di Lagos, politico di lunghissimo corso, che grazie a un totale di 8,8 milioni di schede a lui accreditate (che corrispondono a meno del 10% del totale degli aventi diritto) prende la guida del gigante africano (la Nigeria ha la più grande economia del continente ed è il più grande produttore africano di petrolio) al posto di Muhammadu Buhari, stesso partito, eletto 8 anni fa con un gran bagaglio di promesse, tutte puntualmente deluse. Anche Tinubu a parole non scherza: «La mia amministrazione dovrà creare opportunità significative per i nostri giovani. Onoreremo l'impegno della nostra campagna di un milione di nuovi posti di lavoro nell’economia digitale», ha promesso il presidente nel suo discorso d’insediamento, lunedì scorso. «Vi garantisco che la Nigeria sarà governata in modo imparziale secondo la costituzione e lo stato di diritto. Che difenderemo la nazione dal terrore e da tutte le forme di criminalità che minacciano la pace e la stabilità del nostro paese. Che favoriremo la crescita e lo sviluppo attraverso la creazione di posti di lavoro, la sicurezza alimentare e la fine della povertà estrema. Che scoraggeremo la corruzione. E la sicurezza sarà la massima priorità della nostra amministrazione, perché né la prosperità né la giustizia possono prevalere in mezzo all'insicurezza e alla violenza». Un’agenda assai ambiziosa basata, almeno per ora, più sulle intenzioni, sulle parole, che sui fatti. Le divisioni etniche e religiose (in Nigeria convivono oltre 250 etnie) dopo questa tornata elettorale, appaiono perfino più polarizzate rispetto al passato. Per non parlare di quelle politiche, con i sostenitori di Abubakar e di Obi che non vogliono accettare la sconfitta, per come è maturata. Il presidente Tinubu ha anche detto che il suo obiettivo è quello di «unire la nazione», e ha lanciato un appello ai sostenitori degli sfidanti sconfitti: «A tutti coloro che non mi hanno sostenuto chiedo di non permettere che la delusione di questo momento ci impedisca di realizzare lo storico progresso nazionale che possiamo fare lavorando insieme». Come risposta, in tempo reale, l’hastag #Tinubunotmypresident è diventato di tendenza sui social.

La prima mossa di Bola Tinubu, un musulmano del sud, non sembra tuttavia andare nella direzione della “conciliazione religiosa”: ha scelto come suo vicepresidente l’ex governatore dello stato del Borno, Kashim Shettima, un altro musulmano, ma del nord. Un gesto che di certo “accontenta” la maggioranza musulmana del nord del paese, ma che non è stata affatto gradita ai cristiani, che nel sud sono maggioranza, e che si trovano così senza rappresentanza alla presidenza (il ticket misto era prassi consolidata). E di certo non aiuta la fama che accompagna Bola Tinubu, un ex dirigente petrolifero della Mobil poi passato alla politica, con un ingente patrimonio di dubbia provenienza, varie volte accusato (senza che mai fosse formalmente dimostrata alcuna sua responsabilità) di riciclaggio di denaro, frode, evasione fiscale, corruzione. Scrive ancora la Bbc: «In documenti che sono disponibili al pubblico, il dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti ha affermato che dall’inizio del 1988, i conti aperti a nome di Bola Tinubu detenevano i proventi delle vendite di eroina. Kevin Moss, l’agente speciale che ha indagato sull’operazione, ha affermato che Tinubu ha lavorato per il loro principale sospettato Adegoboyega Akande». Akande è stato un trafficante di droga particolarmente attivo nella zona di Chicago tra il 1988 e il 1993 (qui la storia). Tinubu, nella sua carriera, è stato anche accusato di compravendita di voti: «Se ho soldi, se voglio, li do gratuitamente alla gente», ha risposto. I suoi sostenitori lo chiamano “Jagaban”, che significa “leader dei guerrieri”. Alcuni anni fa lui stesso si era definito “un cacciatore di talenti”.

Povertà, violenze, rapimenti di massa

Il futuro della Nigeria è ora nelle sue mani. Un paese che naviga in un mare assai agitato, tra problemi  economici enormi (con un debito di oltre 103 miliardi di dollari e un’inflazione al 22%), una povertà che sta scivolando sempre più fuori controllo (secondo la Banca Mondiale 4 nigeriani su 10 vivono attualmente al di sotto della soglia di povertà) e una gravissima situazione d’insicurezza, soprattutto nelle regioni del sud-est e del nord-ovest del paese, dove bande di secessionisti armati (spesso animati da rivalità religiose, etniche e politiche) seminano il terrore attaccando sia le istituzioni locali sia la popolazione civile. Alcuni governatori statali sono stati accusati di assumere milizie private per colpire membri dell’opposizione e altri gruppi etnici. Mentre sono innumerevoli i casi di scontri tra opposte fazioni, etniche e religiose, che vengono affrontati con la violenza. Solo per fare un paio di esempi recenti: due settimane fa nello stato di Plateau, nella Nigeria centrale, in quella che viene definita quasi una linea di confine, una “cerniera” tra il nord musulmano e il sud cristiano, trenta persone (circa) sono morte negli scontri tra pastori musulmani e contadini cristiani, con questi ultimi che accusano i primi di distruggere i loro terreni agricoli con il pascolo degli animali. Ad aprile, nello stato di Benue, alcune bande armate, a quanto pare ingaggiate dai pastori, hanno attaccato un villaggio di agricoltori, uccidendo altre 50 persone. I territori del nord-est sono in gran parte controllati dagli jihadisti dello Stato islamico in Africa occidentale (Iswap), mentre i gruppi affiliati a Boko Haram rimangono assai attivi intorno al lago Ciad. Per non dire della piaga dei rapimenti di massa, spesso a scopo di riscatto: scuole e chiese, soprattutto nelle regioni del nord-ovest, sono regolarmente prese di mira da banditi armati. Secondo i dati forniti dal Council on Foreign Relations (CFR) e dal National Security Tracker (NST), 4.545 persone sono state uccise da “attori non statali” nel 2022 una media di oltre 12 omicidi al giorno), mentre altre 4.611 sono state vittime di rapimenti.

È presto per dire se e come Tinubu riuscirà a mettere ordine in questo caos. «Di sicuro avrà molto da fare», ha commentato Timothy Avele, amministratore delegato di Agent-X Security Ltd, un’agenzia di sicurezza privata nigeriana, intervistato dal quotidiano online The Cable. «Nel suo discorso inaugurale Tinubu ha detto che la sicurezza sarà il suo obiettivo numero uno. Potrebbe iniziare riorganizzando immediatamente la struttura di sicurezza e creando un centro nazionale congiunto di intelligence e di risposta immediata per prevenire gli attacchi e rispondere in tempo reale alle emergenze. Ma è indispensabile la riqualificazione e il miglioramento delle competenze delle forze dell’ordine e dei militari: non possiamo combattere l’insicurezza con le tecnologie e il know-how del 1990 nel 21° secolo. Tuttavia, per avere successo, deve trovare un modo per frenare la corruzione nel sistema, altrimenti tutti gli sforzi produrranno pochissimi risultati positivi». Il nuovo Presidente ha già annunciato che vuole reclutare più soldati e più agenti di polizia, pagandoli ed equipaggiandoli meglio, con l’obiettivo di creare “battaglioni antiterrorismo” per combattere jihadisti e bande armate. Non meno urgente la sfida economica, nel tentativo di risollevare l’economia. «La Nigeria ha bisogno di spendere di più e meglio», scriveva pochi mesi fa la Banca Mondiale. «Ha bisogno di aumentare la sua spesa dai suoi attuali livelli molto bassi, per promuovere lo sviluppo economico. La chiave per aumentare la spesa pubblica sta nell’aumentare urgentemente le sue entrate. Con il 7% del PIL nel 2021, il rapporto entrate-PIL della Nigeria è tra i cinque più bassi al mondo». Tinubu si propone anche di incentivare la produzione di petrolio, con nuove raffinerie e tentando di arginare la piaga del furto di greggio (che soltanto nei primi 8 mesi del 2022 è costato circa 2 miliardi di dollari).

Tante sfide, tanti propositi, ma altrettante incognite nel futuro di Bola Ahmed Tinubu. E, cosa ben più importante, in quello della Nigeria, che da 23 anni è governata democraticamente al punto da diventare un esempio in un continente dove le democrazie fanno fatica a consolidarsi, dove il colpo di stato resta la scorciatoia più rapida per risolvere questioni annose, dove la dipendenza dalle grandi potenze straniere (Cina e Russia) è in crescita, peraltro con l’incognita delle emergenze climatiche. Ma una democrazia, per essere considerata tale, dev’essere partecipata. E la scarsa percentuale di nigeriani alle urne alimenta più di qualche timore. Tinubu potrebbe “imporre”, quello sì. Ma come spiega Idayat Hassan, direttore del Centro per lo sviluppo e la democrazia (CDD) di Abuja, la capitale della Nigeria: «I nigeriani si aspettano che il Presidente parli di unità e inclusione di tutti i gruppi etnici e religioni, ma c'è anche una reale necessità di includere i giovani e le donne nella nuova amministrazione, in un paese in cui più della metà della popolazione ha meno di 18 anni». Tinubu ha ora 60 giorni di tempo per nominare il nuovo governo.

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