SCIENZA E RICERCA

Philip Anderson: il gigante della fisica che amava la small science

Philip Warren Anderson, morto a 96 anni il 29 marzo 2020, ha guidato lo sviluppo della fisica della materia condensata. Ha avuto una carriera molto prolifica e prestigiosa. Ne ripercorriamo i momenti principali con il professor Flavio Toigo, che all’università di Padova ha insegnato Struttura della materia fino al 2016.

La prima volta che il professor Flavio Toigo ha avuto contatti con Anderson è stato mentre era uno studente alle prese con la sua tesi di laurea. In Italia la meccanica quantistica applicata alla fisica era agli albori, quindi, dopo aver letto il libro di Anderson Concetti nei solidi, gli scrisse per avere delle spiegazioni ulteriori su delle particelle di cui parlava. Con grande sorpresa Anderson gli rispose.

Della lunga e prolifica carriera di Philip Anderson va certamente ricordato il premio più importante ricevuto, ovvero il Nobel per la Fisica nel 1977, insieme a Nevill Francis Mott e John Hanbrouck van Vleck, il suo mentore. Le ragioni del premio furono legate alle loro fondamentali indagini teoriche sulla struttura elettronica dei sistemi magnetici e disordinati. I suoi studi sui superconduttori lo portarono a proporre come i portatori di forza tra particelle subatomiche, come i fotoni, acquisiscono massa: il meccanismo Anderson-Higgs fa ora parte del modello standard della fisica delle particelle.

Il ricordo del professor Flavio Toigo. Montaggio di Elisa Speronello

Classe 1923, cresciuto a Urbana-Champaign, in Illinois, Anderson non proveniva da una famiglia ricca, anzi furono le borse di studio a permettergli di frequentare Harvard. Si innamora della fisica, ma è durante la Seconda guerra mondiale che viene a contatto con la meccanica quantistica, quasi per caso. Lavorava nel servizio radar nel Laboratorio di Ricerca Navale a Washington DC quando un collega, per ripagare un prestito di guerra, gli ha donato un testo sulla meccanica quantistica. Dopo la guerra torna ad Harvard per lavorare al fianco di Van Vleck sugli effetti della pressione sull’allargamento delle linee spettrali.

Nel 1949 viene assunto nei laboratori della Bell in New Jersey da William Shockley, il co-inventore del transistor, e qui si concentrò per la prima volta sul magnetismo. La sua carriera fu ricca e costellata di scoperte scientifiche prominenti e docenze in prestigiosi atenei statunitensi e non solo; i suoi studi sono ritenuti fondamentali nel documento di Peter Higgs del 1964, che prevedeva l’esistenza del famoso bosone di Higgs. Una sua caratteristica particolare fu il suo essere molto intuitivo e la capacità di ridurre i problemi complessi in modo da farli soccombere alla matematica di base.

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