Sullo scaffale: La ballerina di Patrick Modiano

Ci sono – rari – libri pieni di grazia. In cui i vuoti e i pieni si tengono come se né gli uni né gli altri fossero indispensabili. Ci sono libri da cui non pretendiamo la trama, o di cui non studiamo le implicazioni. Ci sono libri di cui ascoltiamo il silenzio. I passi sul selciato. Le ombre proiettate. In cui osserviamo il procedere della memoria, e la memoria è sogno.
La ballerina del premio Nobel Patrick Modiano (Einaudi, 2025) è esattamente uno di questi.
La voce narrante è quella di uno scrittore che accidentalmente riallaccia il filo del ricordo, e questo immediatamente volge su di lei, la ballerina – senza nome e dalle fattezze sfumate (“Bruna? No. Piuttosto capelli castano scuro. Occhi neri”). Non vediamo che tracce di ciò che è stato: fermoimmagini, frammenti, parole e tocchi, ma queste bastano per ricostruire l’ordito di una vita che non è più, semmai sia stata.
Leggendo Modiano si ha la sensazione che la materia di cui è fatto il ricordo sia onirica, impalpabile, illogica, eterna. Quella stessa di cui forse è fatta la danza.
“Sulla rotonda stavano allestendo i baracconi della fiera poco prima di Natale. E quei vocaboli della danza che mi tornano in mente, anche se oggi non saprei precisare l’esatto significato. La diagonale. La variazione. Il déboulé. La sbarra a terra o barre au sol. Mi capita ancora di ripeterli sottovoce. Impara anche a “spezzare il gomito”, per dare l’impressione di fragilità. Sì, spezzare il gomito. Il ballo è una disciplina che ti permette di sopravvivere, diceva Kniaseff”.
Lo scrittore – nel tempo presente – incontra il suo vecchio padrone di casa, che gli ha presentato – nel tempo del ricordo – la ballerina, ma l’uomo si rifiuta di ammettere di essere chi davvero è. Eppure è già troppo tardi, perché il ricordo inizia a lavorare. E allora Modiano ci porta dentro e fuori dalla mente dell’io narrante, dentro e fuori dal tempo, dalle stanze e dai palchi, dalle camere e dai pensieri. Il protagonista, che nel narrare di quel tempo e di quell’ossigeno, si sovrappone mimeticamente all’oggetto del suo narrare (lei, la ballerina, e per traslato la danza, e per contiguità Pierre, il figlio, ancora bambino, di lei e di un uomo sconosciuto), è come fosse presente solo per il tramite di quel che ha avuto accanto e può quindi riaffiorare alla mente.
“Credo proprio che l’esempio della ballerina, senza che me ne rendessi davvero conto, mi abbia spinto a modificare a poco a poco il mio comportamento, e a uscire dall’incertezza e dal nulla che facevano parte di me”.
Il procedere di Modiano è verticale, come quello della ballerina che al piano interrato del cinema Rex prova il balletto Le train des roses e “forse alla fine avrebbe spiccato il volo e attraversato le pareti e i soffitti e sarebbe sbucata all’aria aperta sul boulevard”, ma è anche orizzontale, come quello dello scrittore che passeggia per Parigi insieme a lei. È esattamente come un ago che cuce. Sale, scende e avanza.
Qual è la cifra? Proprio la danza, che di lei è la vita e a lui non appartiene.
“- E lei si interessa alla danza?
Ero trasalito.
– Sì.
Cercavo le parole. […] La ballerina mi era venuta in aiuto.
– Si interessa alla danza perché la considera una disciplina. Una disciplina che ti permette di sopravvivere”.
E allora poco importa che sia sogno o realtà. Che i due siano vissuti, si siano incontrati, capiti o sfiorati. Poco importa distinguere tra il presente e il ricordo, tra la proiezione e la memoria, poco importa cosa siamo ma forse, in definitiva, solo cosa siamo capaci di provare. E ricordare.
Che siano vuoti o pieni. Parole o movimenti.
“Né la ballerina né Pierre appartenevano al passato, ma a un presente eterno”. All’arte.
“ Il ballo è una disciplina che ti permette di sopravvivere Patrick Modiano