CULTURA

L’insegnamento del romeno: ponte tra due Paesi

Il 1° dicembre in Romania è festa nazionale, in ricordo dell’unione della Transilvania proclamata nel 1918 nella città di Alba Iulia, compimento del lungo processo di unificazione nazionale. Un evento molto sentito anche dalla numerosa diaspora e che a Padova quest’anno viene vissuto in maniera speciale: non solo perché i cittadini romeni rappresentano la prima presenza straniera in città, oltre a una delle comunità più numerose in Italia, ma anche perché proprio in questi giorni si festeggiano i novant'anni della cattedra di lingua e letteratura romena dell’università di Padova, la più antica d’Italia a operare ininterrottamente fino a oggi.

Lo ha da poco ricordato il convegno internazionale “1933-2023: novant’anni di romeno a Padova, organizzato dal Dipartimento di Studi Linguistici e Letterari insieme alla Società di studi romeni “Miron Costin” e con la collaborazione dell’Istituto romeno di cultura e ricerca umanistica di Venezia. L’insegnamento del romeno a Padova inizia nell’anno accademico 1933–1934 con la nomina a docente di Ramiro Ortiz (Chieti 1879 - Padova 1947), personalità di importanza fondamentale nelle relazioni accademiche e culturali tra Italia e Romania. Nel 1909, Ortiz viene incaricato dal Ministero dell’Istruzione italiano di creare un insegnamento di italiano presso l’università di Bucarest, dove nel 1924 tiene a battesimo anche l’Istituto di cultura italiana; nel 1933, dopo un’esperienza di più di vent’anni in Romania, viene finalmente chiamato a Padova, dove fonda una delle prime cattedre di romeno in Italia. Sempre a Ortiz si deve l’istituzione di una lettorato: la prima lettrice è Nina Façon (1909–1974), già sua allieva a Bucarest, che lavora solo per un anno a Padova finendo vittima nel 1938 delle leggi razziali. Nonostante le persecuzioni il suo amore per l’Italia e la sua cultura non viene tuttavia meno: nel dopoguerra tiene per 24 anni, dal 1948 fino al pensionamento nel 1972, la cattedra di lingua e letteratura italiana a Bucarest, e come minimo risarcimento morale nel 1985 le viene intitolata una sala dell’Istituto di lingue romanze presso il Disll.

Sulle orme di Ramiro Ortiz molte altre personalità di spicco hanno contribuito all’insegnamento del romeno a Padova, tra cui Alexandru Niculescu (1928) e Lorenzo Renzi (1939), entrambi studiosi di linguistica nonché attivi ed entusiasti propagatori di contatti tra italiani e romeni. Padova diventa così un terreno fertile di incontro per le personalità del mondo culturale romeno e italiano, in particolare durante gli anni della dittatura, costituendo un punto di riferimento per l’esilio democratico romeno e offrendo il proprio sostegno agli studiosi in fuga dal regime. Nei primi giorni del gennaio 1990 la liberazione della Romania dal comunismo viene celebrata anche a Palazzo Maldura, alla presenza del rettore Mario Bonsembiante, con letture di poeti romeni contemporanei in lingua e in traduzione italiana. In seguito gli studi romenistici traggono un consistente vantaggio, nel 2007, dall’ingresso di Bucarest nell’Unione Europea: tra le personalità di spicco ospiti a Padova in questi anni si ricordano scrittori e poeti come Ana Blandiana, Romulus Rusan, Ileana Mălănciou, Mircea Cărtărescu, Matei Vişniec e Norman Manea, e studiosi come Florica Dimitrescu a Adrian Niculescu, Mihai Nasta, Maria Iliescu, Marco Cugno, Bruno Mazzoni, Luisa Valmarin e Mircea Anghelescu.

Oggi lo studio della lingua, della cultura e della letteratura romene ricevono una nuova consistente linfa dall’afflusso di tanti giovani, sia italiani, sia romene e romeni cresciuti o anche nati in Italia, interessati a conoscere e ad approfondire la lingua e la cultura del proprio Paese di origine. La comunità romena aderisce con entusiasmo alle iniziative proposte dall’università perché queste vengono recepite come un prezioso servizio culturale e come un importante motore di dialogo e di integrazione, all’insegna di una comune appartenenza europea. “Lo studio e l’insegnamento accademico del romeno, presente oggi in almeno 10 università italiane, e la pubblicazione della buona letteratura attraverso l’opera meritoria di diverse case editrici è essenziale per completare la conoscenza e l’integrazione reciproca – spiega Bruno Mazzoni, docente presso l'università di Pisa e traduttore tra gli altri di Cărtărescu, più volte indicato in questi anni come possibile vincitore del Nobel per la letteratura –. Non è un caso che l’Italia sia il Paese europeo dove l’insegnamento universitario del romeno è più diffuso”. Anche perché negli ultimi anni il Paese danubiano ospita sempre più imprese e lavoratori italiani; “All’inizio venivano pochi studenti italiani a fare periodi di scambio, oggi sono sempre di più e spesso in seguito desiderano fermarsi per un master o per lavoro” racconta Dana Feurdean, oggi docente di italiano presso la facoltà di economia dell’università Babeș-Bolyai di Cluj-Napoca, dopo essere stata a lungo lettrice di romeno a Padova.

Non si fermano intanto le celebrazioni: ancora in questi giorni è visitabile presso il Disll la piccola mostra a cura di Nicola Perencin e di Beatrice Rugi sulla storia dell’insegnamento del romeno a Padova, arricchita da teche con alcuni rari libri presenti nell’adiacente Biblioteca Beato Pellegrino: la ricorrenza è stata infatti l’occasione per un intenso lavoro di ricognizione su quella che è considerata la più importante biblioteca di libri romeni in Italia, forte di 8.600 volumi raccolti a partire dagli anni Trenta del secolo scorso, centinaia dei quali contenenti anche dediche e note degli autori.

Al fine di coinvolgere la cittadinanza venerdì 1° dicembre il Dipartimento organizza inoltre l’evento Colinde romene a Padova, incentrato su una tradizione sentitissima tra i romeni di tutto il mondo e praticata soprattutto in Transilvania: quella appunto delle colinde, antichissimi canti rituali legati al periodo di Avvento, al Natale e al solstizio d'inverno, con funzione augurale per il nuovo anno. Nella tradizione i colindatori vanno a cantare di casa in casa, nella notte; quindi, alle ore 17, passato il tramonto, un gruppo folklorico giunto appositamente dal piccolo villaggio di Cuzap in Transilvania guiderà chi vorrà accompagnarlo in una processione che attraverserà la città toccando il Duomo (ore 19:30 circa), la Basilica del Santo (20:30) e Santa Giustina (21:30), dove i il gruppo si esibirà nel transetto di San Luca, vicino all’antica icona costantinopolitana; in seguito, conclusa l'esibizione, il coro dei monaci "risponderà" a sua volta con un canto mariano. Un modo anche questo per continuare un confronto e una convivenza che durano da novant’anni, forse addirittura da duemila.

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