CULTURA

Romania 1989: la rivoluzione vilipesa

La rivolta inizia il 16 dicembre 1989 a Timișoara: in modo involontario e forse inaspettato, come in molti eventi storici fondamentali. Un gruppo di persone si riunisce spontaneamente intorno alla casa di László Tőkés, un pastore protestante che difende i diritti della minoranza ungherese, per protestare contro il suo trasferimento su pressione del governo.

“In realtà tutto inizia la sera del 15 dicembre 1989”, ricorda oggi Dan Octavian Cepraga, docente di lingua e letteratura romena presso l’università di Padova. “All’epoca sono già esule con la mia famiglia a Bologna, ma i testimoni oculari dicono che alcune persone che aspettano il tram nella fermata vicina si uniscono alla protesta intorno alla canonica e che Ion Monoran, un giovane poeta allora studente all’università di Timișoara – i poeti, almeno in questa prima fase della rivoluzione, hanno una grande funzione – grida  ‘abbasso il comunismo, abbasso Ceaușescu!’. Nasce lì la scintilla che poi si espande in tutta la Romania”.

Guarda l'intervista completa a Dan Octavian Cepraga

In pochi giorni le proteste arrivano a Bucarest, dove il 22 mettono spettacolarmente in fuga il dittatore Nicolae Ceaușescu e la moglie Elena. Fuga che si concluderà tragicamente il giorno di Natale con il processo sommario, la condanna a morte e l’esecuzione di entrambi. È la fine del regime comunista instaurato dalla seconda guerra mondiale: un sistema autoritario e autarchico che però, a causa delle frequenti rivendicazioni di autonomia da Mosca, per molto tempo fu guardato da occidente con un certo interesse.

Il cambio di regime in Romania segue di poco più di un mese la ‘caduta’ del Muro di Berlino, e per molti versi ne costituisce l’antitesi. Tanto la transizione tedesca era stata repentina ma ‘morbida’, tanto quella romena si mostra invece fin dall’inizio cruenta, con scontri di piazza e morti (che alla fine arriveranno a un migliaio). Tutto questo, paradossalmente, nel tempo ha gettato un’ombra sulla rivoluzione, tanto in Romania che all’estero. “Si tratta di un passaggio molto particolare per almeno due ordini di motivi – continua Cepraga nella sua intervista a Il Bo Live –; innanzitutto è stato l'unico crollo del comunismo allora avvenuto in maniera violenta e non attraverso una ‘rivoluzione di velluto’, come ad esempio in Cecoslovacchia, in Polonia o nella vicinissima Bulgaria. Per tante cause: la principale è il monolitismo del sistema Ceaușescu e il fatto che il dittatore non abbia capito in tempo che quel mondo si stava sgretolando e abbia quindi cercato di resistere. L'altra questione è il fatto che sulla rivoluzione non c'è una memoria condivisa:  tutt’ora in Occidente e anche presso l'opinione pubblica romena sono in molti a sostenere che si sia trattato solo di un grande imbroglio”.

La rivoluzione romena del 1989 è stata di un vero movimento di piazza, un momento importante anche per la società civile Dan Octavian Cepraga

Tutto insomma, secondo queste ricostruzioni (avallate in Italia da figure come Sergio Romano e Paolo Mieli), sarebbe il frutto di una congiura da parte della polizia segreta, la famigerata Securitate, e delle seconde linee del partito comunista, in testa il futuro presidente Ion Iliescu, che avrebbero sfruttato il movimento spontaneo per insediarsi al potere. Una tesi che, per lo studioso, “non può essere accettata così in toto, come suggeriscono gli studi dello storico Adrian Niculescu, il quale ha elaborato il concetto di ‘rivoluzione vilipesa’. Nei fatti del 1989 gli aspetti controversi non possono far dimenticare che si è trattato di un vero movimento di piazza, un momento importante anche per la società civile che così ha preso coscienza della propria forza”. Da allora infatti le manifestazioni spontanee di piazza sono rimaste centrali nella vita pubblica romena, come nel caso di quelle in seguito all’incendio della discoteca Colectiv, che nel 2015 portarono alle dimissioni del governo di Victor Ponta.

Oggi la Romania è un Paese stabilmente inserito nell’Unione Europea, come dimostra la recente riconferma del presidente filoeuropeo Klaus Iohannis. L’economia è in crescita e il grande esodo verso l’estero sembra essere finalmente rallentato. Allo stesso tempo segnali di scontento – ci ricordano le recenti affermazioni elettorali del partito di destra AfD – arrivano proprio dalla Germania orientale. A ricordare che forse la storia non dà verdetti, o se li dà non sono mai definitivi.

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