CULTURA

Il viaggio letterario di Mircea Cărtărescu

15 settembre 1973: in un appartamento nella grigia periferia di Bucarest un diciassettenne inaugura un nuovo quaderno. D’ora in avanti terrà un diario. Niente di più normale si dirà; in quel momento Mircea assomiglia a tutti gli adolescenti del mondo: ama i jeans e Bob Dylan, Jimi Hendrix e i Doors, è affamato di libri e gioca a fare il poeta con i compagni del circolo letterario scolastico. L’arte come adorazione della bellezza, ma anche ribellione verso una società ingabbiata nel socialismo reale, se possibile ancora più povero e disorganizzato di quello sovietico e ingrigito dalla stessa cappa di conformismo. Per il ragazzo la grafia minuziosa con cui riempie i notes di carta sottile ed economica, di quelli che si trovano negli spacci di Stato, rappresentano molto di più del resoconto delle sue giornate: sono il taccuino del suo viaggio interiore, il modo in cui sublimare e trasformare la realtà, in definitiva la sua prima opera da scrittore. E forse la più importante.

Da allora non sono cambiato, sono rimasto lo stesso di cinquant’anni fa – spiega con un filo di ironica civetteria nell’intervista esclusiva a Il Bo Live Mircea Cărtărescu, l’autore romeno più noto e tradotto al mondo –. La prima e l’ultima pagina del mio diario sono assolutamente identiche, non ho fatto progressi né dal punto di vista stilistico né su quello dei temi affrontati: una semplice rivoluzione non è bastata cambiare il mio stile”. Lo scrittore si trova in Italia per una tournée di conferenze durante la quale, dopo aver aperto il Festivaletteratura di Mantova, ha partecipato all’incontro organizzato in suo onore presso il Polo Beato Pellegrino dal Dipartimento di Studi Linguistici e Letterari (DiSLL) dell’università di Padova, durante il quale ha dialogato con il suo traduttore italiano Bruno Mazzoni (università di Pisa), Valentina Sturli (università di Chieti) e Francesco Brancati (università di Pisa).

Intervista e riprese di Daniele Mont D'Arpizio, montaggio di Barbara Paknazar

Considerato da tempo uno dei candidati più accreditati per il Nobel, Cărtărescu si è imposto all’attenzione del pubblico e della critica soprattutto come poeta, prima di concentrarsi sui racconti – riuniti nella raccolta Nostalgia, che ha contribuito alla sua fama all’estero, e nella recente recente Melancolia – e soprattutto sui grandi romanzi, come la trilogia di Abbacinante e Solenoide. Ha ricevuto numerosi riconoscimenti come l’Internationaler Literaturpreis di Berlino (2012), il Premio Gregor von Rezzori di Firenze (2016), il Premio Thomas Mann di Lubecca (2018) e da ultimo il prestigioso Premio FIL di letteratura nelle lingue romanze di Guadalajara (2022).

"Scrivo per il piacere di scrivere e per i miei lettori, non per i premi, anche se questi ovviamente mi fanno piacere”, commenta lo scrittore. Un piacere disciplinato e allo stesso tempo visionario, condotto con uno stile immaginifico e lisergico attraverso il quale lo scrittore narra se stesso in una realtà percepita come un incessante fluire di visioni e di rivelazioni. “Non mi considero uno scrittore importante ma sono un grande lettore – si schermisce Cărtărescu –. È attraverso la lettura che mi sono costruito, che ho saputo tutto quello che so, tanto da poter dire con Kafka che sono solo letteratura. Di più: attraverso la letteratura ho avuto accesso a me stesso, alla mia vera essenza”.

Più che uno scrittore importante, mi considero soprattutto un grande lettore e un diarista

Per quanto riguarda la situazione in Romania, caratterizzata dall’impetuoso sviluppo economico degli ultimi anni, lo scrittore e letterato si mostra moderatamente ottimista: “L’ingresso nell’Unione Europea e l’adesione alla Nato sono le cose migliori che ci siano mai capitate, oggi l’influsso della democrazia si riflette a tutti i livelli, compreso quello letterario – afferma risolutamente –. La cultura è libera, non è più rinchiusa in una sorta di prigione come ai tempi del passato regime, ed è possibile farsi un’opinione tramite i mezzi di informazione e internet. Tutto questo lo dobbiamo alla democrazia, e dobbiamo la democrazia all’Europa”. “Negli ultimi anni i progressi sono stati evidenti – prosegue –; quello oggi che stiamo attendendo è che cambino in qualche modo le persone, la mentalità della gente. La Romania risente ancora di certi modelli legati al passato, di una storia complicata della quale non è semplice liberarsi”.


Guarda il video dell'incontro con Mircea Cărtărescu


Cărtărescu – per usare le parole di Dan Octavian Cepraga, titolare presso l’università di Padova della cattedra di lingua e la letteratura romena fondata esattamente 90 anni fa – ha dato un contributo determinante prima ad aprire una breccia e poi ad abbattere quel muro di indifferenza che in parte ancora circonda autori e culture un tempo ritenute marginali. Proprio la marginalità può però diventare un risorsa per la creatività: “Il romeno è una lingua essenzialmente poetica, la poesia costituisce la sua spina dorsale e poeti sono i suoi autori più importanti – conclude Cărtărescu –. Sono molto contento di esprimermi in una lingua tanto complessa, ricca e piena di fascino, e non ho mai avuto nessun problema nel considerarmi marginale o provinciale. Le innovazioni spesso non arrivano dal centro ma dai margini, soprattutto in questo momento storico”.

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