SOCIETÀ

Allarme Blu: il futuro degli oceani nelle nostre mani

L'8 giugno ricorre la giornata mondiale degli oceani e l'università di Padova ha organizzato un evento “Allarme Blu: Oceani: il futuro da salvare” che si inserisce nel progetto UniPadova Sostenibile e nel calendario del Festival dello Sviluppo Sostenibile.

La giornata è stata aperta da un ospite d'eccezione, Alex Bellini, avventuriero famoso per le sue traversate oceaniche a remi. “Il senso di fare un'avventura è creare conoscenza, levarsi dal velo di inconsapevolezza. In questa dimensione l'avventura diventa un bisogno fondamentale dell'essere umano di acquisire consapevolezza”.

Alex Bellini, esploratore. Intervista di Daniele Mont d'Arpizio

Purtroppo però sul fronte della consapevolezza sembra esserci ancora molto da fare. Nelle campagne di sensibilizzazione, che dovrebbero mobilitare i cittadini ma ancor più le classi dirigenti (politiche, imprenditoriali, finanziarie), le carte “danni all'ambiente” e “danni alla salute” sono già state ampiamente giocate, evidentemente (e purtroppo) senza grande successo. Si pensi che nel giro di pochi anni la produzione mondiale di plastica è passata da mezzo milione a 330 milioni di tonnellate annue, con un consumo annuo procapite che si aggira intorno ai 60-80 kg. Sono invece tra 8 e 10 le tonnellate di plastica che finiscono in mare ogni anno. Questi dati, riportati da Francesco Regoli, docente del dipartimento di scienze della vita e dell'ambiente del politecnico delle Marche, sono ancora meno confortanti se si pensa che il processo di degradazione della plastica in mare viene ulteriormente rallentato e quindi una bottiglia di plastica in mare resiste per 450 anni: quelle finite in mare negli anni '70 resteranno lì, in forma di microplastiche, fino al 2400.

In base alle traiettorie delle correnti oceaniche, la plastica si concentra in 5 zone sub-tropicali di convergenza detti gyres, enormi isole di plastica che arrivano fino ai 10 metri di profondità: quella a largo della California, nota come Great Pacific Garbage Patch, è grande tre volte la Francia.

La velocità con cui i cambiamenti climatici stanno avvenendo non è compatibile con i tempi evolutivi di risposta biologica degli organismi. Tomaso Patarnello

Quando Giulio Natta vinceva il premio Nobel per la chimica nel 1963 nessuno si aspettava che la plastica sarebbe stata associata a un incubo planetario. All'inizio si pensava fosse solo un problema di natura estetica per l'ambiente, oggi sappiamo che ogni anno muoiono 100 mila mammiferi marini e che le microplastiche modificano anche la composizione della sabbia e influenzano la determinazione del sesso delle tartarughe che sulle spiagge delle Hawaii depongono le uova.

Tomaso Patarnello, biologo evoluzionista dell'università di Padova, si è occupato di illustrare l'impatto del cambiamento climatico sugli oceani. “La velocità con cui i cambiamenti climatici stanno avvenendo non è compatibile con i tempi evolutivi di risposta biologica degli organismi”. L'ice fish è un pesce antartico privo di emoglobina, può sopravvivere solo all'interno del cosiddetto Polar front e non altrove, perché lì c'è molto ossigeno disciolto in un'acqua che mantiene le sue temperature a circa due gradi sotto zero. Un organismo come l'ice fish ci ha messo più di 20 milioni di anni a evolvere queste caratteristiche uniche e il previsto aumento di temperature oceaniche non ne consentirebbe la sopravvivenza. “Un altro problema è, con l'aumento della CO2 , l'acidificazione degli oceani e gli effetti sulle barriere coralline, fatte di carbonato di calcio. Se si abbassa il Ph delle acque i coralli si sbiancano (coral bleaching, ndr) perché muore la loro componente viva”.

Se ancora gli argomenti ambientalisti e sanitari non risultassero persuasivi, si potrebbe puntare sull'argomento economico.

Un concetto chiave è quello di servizi ecosistemici, ovvero quei prodotti che un ecosistema intatto fornisce alla biodiversità: cibo, materie prime (come il legno), principi attivi (come estratti di piante), regolazione del clima (assorbimento di anidride carbonica), protezione da erosione, e persino servizi culturali (ispirazione artistica e valori estetici). Tutti questi servizi possono essere quantificati in termini economici e si può stimare quanto costerà l'alterazione dell'ecosistema.

Le foreste di mangrovie ad esempio offrono servizi come produzione di legno, rifugio per diverse specie, assorbono anidride carbonica e le loro radici consolidano i fondali, dato che queste piante crescono sul limite tra terra e mare.

“Sono state fatte stime economiche sui mangrovieti: valgono 9.990 dollari all'ettaro” ha riportato nel suo intervento la Prof.ssa Rasotto, biologa marina dell'università di Padova. “Negli ultimi 40 anni sono scomparse il 35% di foreste di mangrovie soprattutto per farne siti di acquacoltura. Gli allevamenti di gamberi giganti (Paeneus monodon) hanno un giro di affari mondiale di 3 miliardi di dollari l'anno, e soprattutto in Indonesia si sostituiscono ai mangrovieti. Il valore economico di quei terreni varia da 8500 a 200 dollari”. I vantaggi di questo giro d'affari dunque sono molti ma vanno a vantaggio di pochi, mentre i costi di questa attività economica vengono pagati da tutta la comunità, che assiste alla perdita di valore dei terreni.

Negli ultimi 40 anni sono scomparse il 35% di foreste di mangrovie soprattutto per farne siti di acquacoltura. Maria Berica Rasotto

La corrente del Benguela è una corrente oceanica di acqua fredda che scorre dalla costa occidentale del Sudafrica e della Namibia verso nord e nordovest. Queste acque fredde, risalendo verso la superficie, portano dal fondale preziosi nutrienti tra cui fitoplancton, favorendo la crescita delle popolazioni di pesci e crostacei: è una delle 5 aree più pescose al mondo, dalle quali proviene il 25% di tutto il pescato mondiale. “In questa area dell'Africa meridionale però si producono anche i diamanti” ha ricordato la Prof.ssa Rasotto. “Le miniere sono terrestri, ma siccome le rocce diamantifere vengono trasportate dal fiume Orange, arrivano anche in mare e si accumulano sul fondale marino” Si stima che nel giro di 20 anni le miniere saranno esaurite e per questo sono già state attrezzate navi con aspiratori potentissimi che dragano i fondali per raccogliere e lavorare le rocce diamantifere. Oggi ancora non abbiamo dati disponibili sull'impatto sugli ecosistemi.

Una testimonianza preziosa di circolo virtuoso è stata portata da Analceto Dal Moro, capo dell'unità di energia e riciclo di Aquafil, un'azienda nata ad Arco in provincia di Trento nel 1964 e ora attiva in tre continenti, che lavora sul recupero delle reti da pesca per produrre un filato da impiegare nel settore tessile, operando interamente all'interno di una logica di economia circolare.

Anacleto Dal Moro, Aquafil. Intervista di Daniele Mont D'Arpizio

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