SCIENZA E RICERCA

Plastica nel Po: misurarla non è facile

Quanta plastica transita nei fiumi? La realtà è che non lo sappiamo e provare a rispondere a questa domanda non è affatto semplice come potrebbe sembrare. A fine aprile, a Ferrara, sono stati presentati i risultati di un progetto che ha per lo meno provato a farlo. Si chiamava Monitoraggio Applicato alle Plastiche del Po (MAPP) e a promuoverlo sono stati la Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile e l’Autorità di Bacino distrettuale del fiume Po. Per poco meno di due anni, tra settembre 2021 e giugno 2023, il progetto ha provato a misurare la quantità di plastica che passa nel Po utilizzando tre diversi metodi: l’osservazione diretta dei rifiuti galleggianti (floating litter) da diversi punti lungo il corso del fiume, lo studio via GPS dei percorsi che i rifiuti galleggianti intraprendono e un tentativo della loro individuazione tramite l’analisi delle immagini satellitari. Nessuna delle metodologie ha permesso di raggiungere una risposta definitiva, ma sono uno dei pochi tentativi diretti di misurazione effettuati sul Po e sui fiumi in generale.

I limiti delle stime

Al progetto MAPP ha partecipato anche Simone Bizzi, esperto di geomorfologia fluviale dell’Università di Padova, che ha fatto parte del team che ha sperimentato l’analisi satellitare per individuare la plastica galleggiante. “Esistono diverse stime della quantità di rifiuti plastici prodotti in una determinata area”, spiega, “e si basano su una serie di indicatori come per esempio la densità abitativa e industriale, il PIL locale, ecc. per inferire quanta plastica viene prodotta” e, quindi, quanta di questa è lecito aspettarsi che finisca nei fiumi. Ma tra le stime e la realtà potrebbero esserci delle discrepanze significative. “Sappiamo che in mare c’è molta plastica”, continua Bizzi, “e l’abbiamo anche potuta misurare abbastanza accuratamente”. L’esempio più famoso è quello del cosiddetto Pacific Trash Vortex, un’isola di rifiuti di plastica nell’oceano che è ben visibile anche dal satellite, ma anche lungo le coste del Mediterraneo si possono vedere accumuli di rifiuti. Di conseguenza la domanda è quanta di questa plastica arrivi dai fiumi.

Per rispondere, all’interno del progetto MAPP si è escogitato un sistema piuttosto semplice, ma ingegnoso. In diversi momenti dell’anno e da diversi punti del corso del Po sono state rilasciate in acqua delle sfere galleggianti che contenevano un segnalatore GPS. In questo modo è stato possibile monitorare il loro viaggio nel corso dei giorni e delle settimane successive, simulando il comportamento dei rifiuti plastici galleggianti. Il risultato più interessante è che solo il 15% è arrivato al mare. In altre parole, solo una piccola parte della plastica che transita sul Po finisce davvero in mare. Dove finisce però l’altro 85%?

“I segnalatori GPS hanno permesso di individuare alcuni punti lungo l’asta del fiume dove questi oggetti galleggianti tendono a incagliarsi”, racconta Bizzi. Per esempio, nella seconda sessione di lancio dei segnalatori da Cremona alcuni si sono incagliati a pochi chilometri dalla città, altri hanno percorso molti chilometri e solo alcuni sono arrivati in uno dei rami nel Delta del Po. “Questo tipo di risultato è uno dei più interessanti del progetto”, spiega Bizzi, “perché ci fa capire come molti rifiuti vengono intercettati dalla vegetazione riparia”, cioè le piante che crescono lungo le rive del fiume. Inoltre, c’è una parte di questa plastica che si trasforma in microplastica e, quindi, diventa invisibile all’occhio nudo. “Con che velocità avvenga questo passaggio è una domanda aperta”.

 

Cosa succede con il fiume in piena

Il monitoraggio a vista del passaggio dei rifiuti plastici ha il vantaggio di essere quantitativo e preciso, ma non può essere effettuato continuativamente. In più, come si può leggere dal rapporto finale del progetto MAPP, e come ci conferma Bizzi, non è stato effettuato nelle condizioni di massima portata del fiume. Questo è il momento in cui la forza dell’acqua porta probabilmente con sé la maggior parte dei rifiuti galleggianti. Non solo, “è in questi momenti che da geomorfologo dei fiumi ipotizzo che ci possa essere una nuova movimentazione di quegli accumuli di fiumi lungo il corso”, ci spiega. In altre parole, quando il fiume ha più forza è ragionevole pensare che riesca a disincagliare almeno una parte degli oggetti intrappolati lungo le sue sponde che, così, riprendono il loro viaggio verso la foce.

Per provare ad approfondire i risultati fin qui raggiunti, a settembre dovrebbe partire un nuovo progetto di monitoraggio che sfrutterà due telecamere “smart” in grado di classificare in modo autonomo i tipi di oggetto galleggiante che vedono. Sono telecamere che sfruttano il deep learning, una tecnologia basata sull’intelligenza artificiale, e che permetteranno di monitorare in modo continuativo il fiume, misurando in modo più preciso quanta plastica vi transita. Se tutto verrà confermato, le due telecamere saranno piazzate una all’incirca a Isola Serafini, nel piacentino, e una all’altezza più o meno di Pontelagoscuro, nel ferrarese. 

Sebbene si tratti di un risultato che dovrà essere confermato dal possibile nuovo progetto, l’individuazione delle aree di accumulo dei rifiuti ottenuta dal progetto MAPP ha fornito un’indicazione significativa per due motivi. Il primo è che mostra dei punti precisi lungo il corso del fiume dove andare a scovare la plastica che non arriva al mare. Il secondo, più pratico, è che individua i tratti del fiume dove è più sensato eseguire delle pulizie dalla plastica. 

 

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