SOCIETÀ

Argentina senza pace: tra black-out e nuovo rischio di default

Non c’è pace per l’Argentina: ci mancava solo il colossale black-out elettrico che ieri ha interessato tutto il paese, oltre all’intero Uruguay e ad alcune regioni di Brasile, Paraguay, Cile, Bolivia e Perù. Un enorme guasto nel sistema d’interconnessione della società di fornitura elettrica Edesur, che ha completamente paralizzato i trasporti per tutta la giornata di domenica, prima che il guasto fosse riparato. Un paese al buio, metafora perfetta di quanto sta accadendo al paese albiceleste in materia economica e politica.

Un paese al buio, metafora perfetta di quanto sta accadendo al paese albiceleste in materia economica e politica

Perché l’Argentina è di nuovo scivolata in una profonda crisi economica: on the brink, come titolava pochi mesi fa il Financial Times, sull’orlo dell’ennesimo default della sua storia (clamoroso fu quello del 2001). L'inflazione continua a galoppare: +3,1% a maggio, +19,2% dall’inizio del 2019, +57,3% considerando gli ultimi dodici mesi, +160% nell’ultimo triennio. «Un livello inaccettabile», ha commentato il presidente della Banca centrale argentina, Guido Sandleris.

Inaccettabile non soltanto per gli economisti, ma per il paese reale, dal momento che a trainare il rialzo sono le tariffe di base, a partire da gas e, appunto, elettricità. Lo scorso aprile il governo è dovuto intervenire per congelare (per 6 mesi) il prezzo di 60 beni alimentari essenziali. Il costo della farina era già raddoppiato. Per acquistare un chilo di pane, mediamente, ormai non bastano cento pesos argentini, pari a circa 2 euro.

Problemi che vanno a colpire duro soprattutto sulla parte più debole del paese, sui poveri, sui disoccupati. Per pagare le bollette, si rinuncia ad acquistare altri beni. Per rientrare del costo delle bollette, le aziende aumentano il prezzo dei beni. Una spirale che scoraggia gli investimenti: il peso argentino, soltanto nel 2018, ha perso il 50,5% rispetto al dollaro americano, e quest’anno la svalutazione ha raggiunto un ulteriore 15%. E questo nonostante gli sforzi della Banca centrale per controllare l'inflazione (nell’estate del 2018 aveva alzato i tassi d’interessi fino al 60% per tentare, inutilmente, di frenare il crollo della valuta).

E nonostante il maxi prestito di 59 miliardi di dollari erogato dal Fondo Monetario Internazionale, il più alto mai concesso nella sua storia, che ha però imposto condizioni di austerità tali da spingere il paese verso una profonda recessione. «L’Argentina si trova in una situazione economica incredibilmente complicata» - ha dichiarato pochi giorni fa, a Washington, Christine Lagarde, direttore del Fmi. Che poi ha ammesso: «Credo che in molti, inclusi noi, abbiano leggermente sottovalutato la questione al momento di cercare di mettere in piedi un programma con le autorità argentine. L’inflazione, invece di stabilizzarsi e diminuire gradualmente, si è mostrata molto più resistente di quello che avevamo previsto». In un solo anno, tra il 2017 e il 2018, il rapporto debito/Pil è passato dal 56 al 91%. Attualmente si viaggia spediti verso quota 100.

L’Argentina si trova in una situazione economica incredibilmente complicata

La fuga degli investitori esteri

Da un lato la “leggera sottovalutazione”, dall’altro il 32% della popolazione argentina che vive al di sotto della soglia di povertà. E’ il differenziale economico che separa i numeri dalla vita reale. A fine maggio il paese si è fermato: uno sciopero generale di 24 ore indetto da tutti i sindacati per protestare contro le politiche economiche imposte dal presidente, Mauricio Macri (ex sindaco di Buenos Aires, ex presidente del Boca Juniors, la più blasonata squadra di calcio argentina), e per dire no all'ipotesi di un’ulteriore richiesta di credito al Fondo Monetario Internazionale, nel timore che questo passo potesse portare a ulteriori tagli alla spesa pubblica. Scuole chiuse, negozi chiusi, banche chiuse, trasporti fermi.

E’ il quinto sciopero generale da quando Macri s’è insediato, nel dicembre del 2015, con il suo bagaglio d’idee liberiste e di riforme, che dopo un iniziale, effimero, successo si sono rivelate un fallimento: appena insediato cancellò la tassa sulle esportazioni (soprattutto carne, mais e grano), oltre a togliere il limite all’acquisto e alla vendita di valuta estera. Sperava così d’incoraggiare gli investimenti esteri. Che sono in effetti arrivati, ma a breve termine e soltanto per fini speculativi. I risultati di questa doppia mossa sono stati drammatici: nel triennio 2016-2018 il Pil è calato dell’1,6%, il debito pubblico è schizzato alle stelle, più di 80mila posti di lavoro sono andati in fumo.

E i fondi esteri, ben conoscendo la volatilità dell’economia argentina, hanno pensato bene di rivolgersi altrove. L’inevitabile richiesta di aiuto al Fmi ha portato alla situazione attuale. Scrive ancora l’editorialista del Financial Times: «Quando Macri è stato eletto presidente, è stato salutato come un leader pro-mercato, pro-riforma, disposto a prendere le difficili decisioni politiche che alla fine avrebbero rimesso a posto l'economia in difficoltà e inflazionata del paese. Ad aprile 2019 il costo dell'assicurazione contro l'insolvenza del debito argentino è salito al livello più alto da quando Macri è entrato in carica tre anni e mezzo fa, certificando il titolo del paese come il secondo più rischioso del mondo dietro il Venezuela. L’esecutivo guidato da Macri sta commettendo l’errore di correggere le sue misure sulla base degli umori del suo elettorato. Condannando così al fallimento i provvedimenti d’urgenza che dovrebbero essere più coraggiosi e ortodossi, svincolati dalla campagna elettorale. E, in attesa di trovare una soluzione a questi problemi, la situazione non può che peggiorare».

Il voto cruciale del 27 ottobre

Quindi un’economia che boccheggia. E una politica che non sembra avere un progetto credibile, né una prospettiva, per uscire dal tunnel della crisi. Il 27 ottobre in Argentina si terranno le elezioni presidenziali. E Mauricio Macri si ricandida alla guida del paese: candidatura inizialmente accolta con freddezza dai mercati, che sono apparsi invece rinfrancati dall’annuncio della candidatura a vicepresidente di Miguel Angel Pichetto, leader del Partito Giustizialista, peronista moderato: la Borsa ha messo a segno un +7% che non si vedeva da tempo. Il principale sfidante di Macri è Alberto Fernandez, esponente del kirchnerismo, un movimento che, nella sua peculiarità tutta argentina, può essere collocato nell’area del socialismo democratico. Fernandez, 60 anni, è stato Capo di Gabinetto dei Ministri sotto il governo di Néstor Kirchner (dal 2003 al 2007), governo che fu poi tenuto, fino al 2015, dalla moglie, Cristina Fernández de Kirchner: donna controversa, tuttora al centro di aspre battaglie politiche e processuali, accusata di corruzione, di aver intascato tangenti in cambio di contratti pubblici, e di aver raccolto durante la sua presidenza un patrimonio di circa 30 miliardi di dollari. Oggi è senatrice della Repubblica, e perciò protetta da un’immunità che l’ha tenuta distante dalle aule di giustizia. Ma è proprio lei a candidarsi, come vicepresidente, al fianco di Alberto Fernandez: «Dopo essere stata due volte presidente di questo paese e prima donna eletta come tale, sono convinta che l'ambizione personale debba essere subordinata all'interesse generale» - ha dichiarato la Kirchner nel presentare la sua candidatura. Attualmente è imputata in 11 processi. Nei suoi confronti sono stati emessi 5 mandati di arresto preventivo, mai eseguiti per l’immunità parlamentare.

Il sostegno Usa a Macri

Dunque Macri-Pichetto da una parte, Fernandez-Cristina Kichner dall’altra. Più altre coalizioni che al momento non dovrebbero entrare nella partita che conta. «Miguel Angel Pichetto è uno statista, ho sempre rispettato il suo impegno nei confronti della Patria e delle istituzioni», ha scritto Macri sul suo profilo Twitter. Lo stesso Pichetto ha rilanciato: «Una vittoria di Alberto Fernández e Cristina Fernández sarebbe un ritorno al passato». Macri, nonostante la burrasca economica, può contare sull’appoggio degli Stati Uniti, che vedono con favore le sue politiche liberiste, e sul sostegno delle comunità evangeliche, sempre più rivolte a destra (molto apprezzata la sua posizione contro la legalizzazione dell’aborto). Mentre Fernandez è visto con favore dalle fasce più povere della popolazione, anche se la presenza ingombrante della Kirchner, potrebbe oscurarne la figura. «Macri è il caos e per questo credo fermamente che bisogna tornare a mettere ordine in Argentina», ha scritto Cristina Kirchner nel suo libro “Sinceramente, presentato alla Fiera del Libro di Buenos Aires il mese scorso e già clamoroso successo di vendite.

Schermaglie politiche e vita reale

I sondaggi per il momento non dicono molto: un leggero vantaggio a favore di Fernandez (30% contro il 28 di Macri), con il 60% della popolazione ancora indeciso. Si voterà il prossimo 27 ottobre. La Costituzione argentina prevede che sia eletto presidente al primo turno il candidato che ottiene almeno il 45% dei voti, o il 40% con uno scarto non inferiore al 10 per cento sul secondo. Altrimenti, a novembre, si andrà al ballottaggio. E’ quindi assai difficile che qualcosa di sostanziale possa accadere, a livello economico, prima del passaggio elettorale. E questa, per gli argentini, non è una buona notizia. Anche perché gli indicatori dicono che il paese è allo stremo. Soprattutto, ripetiamo, nella sua parte più debole e fragile. Come i più piccoli, i bambini. L’Osservatorio del disagio sociale dell’Università Cattolica Argentina (Uca) ha appena presentato un Rapporto drammatico sull’infanzia. Più di un minore su due vive nella fascia di povertà. Uno su 3 non riesce a soddisfare le esigenze di base. E’ scritto nel Rapporto: «Il 29,3% (dei bambini) non riesce a soddisfare le esigenze alimentari per problemi economici, mentre il 13% vive direttamente l’esperienza della fame». Due minori su dieci non hanno accesso alle visite mediche, oltre 4 su 10 non hanno mai fatto una visita dentistica. Sempre 4 su 10 sono i minori (ma la cifra sale al 60% nelle cosiddette villas miserias, le periferie urbane, soprattutto attorno a Buenos Aires) che vivono in abitazioni senza acqua potabile o fognature. «E’ una catastrofe sociale e i minori sono le principali vittime: i politici devono farsi carico di questi problemi» - ha commentato il coordinatore dell’Osservatorio, il sociologo Agustín Salvia.

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